Extrasistoli: cosa sono e perché non bisogna sottovalutarle

Forma di aritmia più comune, le extrasistoli nella maggioranza dei casi sono innocue. Cosa fare se diventano troppo intense o frequenti



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di Giorgia Martino

Una sensazione improvvisa, come se avessi il cuore in gola, seguita da una percezione di vuoto nel petto. È l'extrasistole, cioè "battito aggiunto". Nella maggior parte dei casi non desta preoccupazione e può essere dovuta a stress, esercizio fisico intenso, abuso di sostanze eccitanti come caffeina e nicotina, consumo eccessivo di alcol e bibite gassate, stati febbrili o squilibri elettrolitici. Ma non è detto: ci sono cause patologiche in grado di rendere le extrasistoli più complesse da affrontare.


Come nascono le extrasistoli

Prima di spiegare in che modo si genera un'extrasistole bisogna comprendere il funzionamente del cuore. Per pompare sangue, il muscolo cardiaco ha bisogno di contrarsi: questa fase si chiama "sistole", il successivo rilassamento "diastole". Tali movimenti si alternano di continuo, alimentati da impulsi elettrici che nascono dal nodo seno-atriale (NSA, situato nella parte superiore dell'atrio destro) e si propagano prima attraverso gli atri e poi nei ventricoli. Nel momento in cui avviene un'extrasistole le contrazioni che precedono la distensione sono doppie anziché singole, e avvengono quando l'impulso elettrico non proviene dal nodo seno-atriale ma da aree diverse, come atri (extrasistoli atriali o sopraventricolari), ventricoli (extrasistoli ventricolari) e giunzione atrioventricolare (extrasistoli giunzionali).


È grave? Dipende da diversi fattori

Si può dire che le extrasistoli sopraventricolari sono le più frequenti e quelle ventricolari, in alcuni casi, possono evolvere in problemi come tachicardia o fibrillazione ventricolare, che rappresentano vere emergenze. Ma non è detto che le prime siano sempre "benigne" e le seconde "maligne" in assoluto. «Tutto dipende da causa, sede di origine, numero e velocità delle salve», spiega il professor Francesco Vetta, cardiologo e Professore di Nozioni di malattie dell'apparato cardiovascolare presso l'UniCamillus di Roma.

«La forma più comune è rappresentata dalla fibrillazione atriale, un'aritmia sopraventricolare strettamente legata a un aumento del rischio di ischemia cerebrale. Meno frequenti le cosiddette tachicardie da rientro, in cui si manifestano dei circuiti reciprocanti all'interno del nodo atrio-ventricolare; oppure si sfruttano vie accessorie congenite in grado di favorire un rientro dell'impulso elettrico che, a sua volta, può provocare tachicardie a una frequenza così elevata da poter degenerare in sincopi o, nei casi più gravi, arresti cardiaci», puntualizza l'esperto. La pericolosità delle extrasistoli, quindi, non dipende tanto dall'origine (sopraventricolare, ventricolare o giunzionale), quanto dalla complessità: come sono associate fra di loro, se si presentano organizzate "in salve" (più extrasistoli sequenziali), provocano tachicardia e se quest'ultima è troppo duratura e accelerata.


In che modo intervenire

Non sempre le extrasistoli hanno bisogno di una cura, ma quando la terapia diventa essenziale deve puntare a eliminare la causa che le ha provocate. «Tutti, nel corso della vita, abbiamo sensazioni di cardiopalmo che vengono spesso definite come uno sfarfallio nel petto e cuore in gola», commenta il professor Vetta. «La presenza di extrasistoli non è necessariamente l'espressione di una cardiopatia, potendo risultare al contrario il segno di uno stato funzionale anche correlato, in certi casi, a patologie di altri organi o apparati: nei disturbi digestivi, per esempio, spesso sono presenti extrasistoli; inoltre, alcuni problemi della tiroide possono provocare extrasistolia fino alla comparsa della fibrillazione atriale», continua l'esperto. In queste situazioni le eventuali cure passano dalla causa principale, di cui l'extrasistole è solo un sintomo.

Quando invece le extrasistoli sono dovute a problemi cardiaci con presenza di tachicardie importanti, la strada da percorrere è quella farmacologica (un esempio sono gli "antiaritmici"), oppure basata sullo studio elettrofisiologico del cuore e sull'ablazione. «Nel caso di extrasistoli sopraventricolari o ventricolari più marcate, bisogna capire quale meccanismo le attiva», sottolinea Vetta. «Ciò è possibile attraverso uno studio elettrofisiologico che utilizza degli elettrocateteri per mappare alcune zone all'interno del cuore. In questo modo si può riuscire a identificare la presenza di circuiti elettrici anomali che provocano la tachicardia da rientro e procedere con l'ablazione della via accessoria, distruggendola e curando tali forme di aritmia», spiega il cardiologo. 


I controlli da fare

Un cuore capriccioso può dare sintomi evidenti, ma anche rimanere silenzioso a lungo. Per questo è importante andare periodicamente dal cardiologo. Quali test fare? «Bisogna iniziare da quelli base: anamnesi ed esame clinico, elettrocardiogramma, ecocardiogramma (per escludere situazioni di cardiopatia strutturale), ECG dinamico delle 24 ore», suggerisce l'esperto.

Un altro strumento per studiare il funzionamento del cuore è l'ECG da sforzo, noto anche come test ergometrico. Si tratta di un esame molto utile per capire qual è la reazione del muscolo cardiaco agli sforzi intensi (un dato che il classico ECG non individua) e prevede che il paziente pedali in sella a un cicloergometro o cammini su una pedana mobile. «Durante questo test si controlla il comportamento di quelle aritmie ventricolari la cui frequenza elevata può provocare anche un danno funzionale al cuore, riducendo la sua capacità contrattile nel tempo», conclude il professor Vetta.


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