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Cos’è la prosopagnosia, la malattia di Brad Pitt

La star soffre di una malattia che gli impedisce di distinguere i volti di familiari e amici. Scopri come si diagnostica, in che modo si può tenere sotto controllo e cosa c’è dietro la capacità più o meno spiccata di memorizzare un viso



Potrebbe sembrare la classica scusa di chi, per strada, finge di non riconoscerci e tira dritto. Invece la prosopagnosia è un vero e proprio deficit cognitivo, che rende incapaci di riconoscere i visi delle persone note e, talvolta, addirittura il proprio volto, quando ci si guarda allo specchio o si osserva una foto. Di recente Brad Pitt ha acceso i riflettori sulla malattia, esprimendo – in una lunga intervista sul mensile GQ – tutta la sua frustrazione per le conseguenze sociali della patologia di cui soffre da anni, visto che le persone si offendono quando vengono “ignorate”. Un disturbo davvero particolare.

«È un deficit di riconoscimento dei volti, riferito alla modalità visiva: ciò significa che un viso non viene riconosciuto quando è unicamente osservato, mentre può essere identificato se viene associato ad altre modalità sensoriali, come udito, tatto o indizi extrafacciali», spiega la dottoressa Giulia Petrillo, neuropsicologa e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale al Poliambulatorio delle Terme di Castrocaro. «Per esempio, una persona con prosopagnosia è facilitata se ascolta la voce di chi ha di fronte, se ne sfiora la barba oppure se ne osserva l’andatura o il taglio di capelli».


Prosopagnosia, la forma grave e quella più lieve

Il termine deriva dal greco – prosopon (faccia) e a-gnòsis (senza conoscenza) – ed è stato coniato nel 1947 dal neurologo tedesco Joachim Bodamer: «Nella sua forma più grave, detta apercettiva, la prosopagnosia impedisce alle persone di distinguere tutte le facce, che vengono viste come cerchi privi di significato, perché la loro è una forma di agnosia, un disturbo che determina l’incapacità di riconoscere gli elementi più familiari mediante gli organi di senso », racconta la dottoressa Petrillo. «Esiste poi la forma associativa, meno severa, dove il volto viene percepito come tale, ma non è riconosciuto come noto, anche se magari si tratta di un parente, un amico o un conoscente».


Prosopagnosia, quali sono le cause

Sono tante le cause di prosopagnosia. Nella forma acquisita, il motivo sta in una lesione cerebrale che coinvolge l’area fusiforme facciale (dall’inglese fusiform face area), una zona situata nella parte posteriore del cervello che è specializzata nel riconoscimento dei volti.

«La connessione tra quest’area e altre più posteriori e anteriori consente di ricavare tutte le descrizioni visive che permettono a un particolare faccia di essere discriminata da altri volti, conosciuti o sconosciuti. A compromettere la connessione di questa zona con il lobo occipitale, deputato a interpretare gli stimoli visivi, o con una porzione più anteriore possono essere traumi cranici, ictus e interventi di asportazione di tumori cerebrali, ma anche il deterioramento cognitivo tipico delle demenze frontotemporali», spiega l’esperta. Nella forma congenita di prosopagnosia, invece, le connessioni fra queste aree non funzionano al meglio sin dalla nascita, per cui a giustificare il problema non ci sono lesioni di natura neurologica, ma piuttosto fattori di tipo genetico ed ereditario.


Come si diagnostica la prosopagnosia

Prima di arrivare alla diagnosi di prosopagnosia, è necessario escludere altre problematiche attraverso una serie di indagini neurologiche e neuropsicologiche. «Innanzitutto, con la risonanza magnetica all’encefalo o altri esami strumentali è possibile capire se l’area coinvolta dal problema è proprio quella deputata al riconoscimento dei volti», specifica la dottoressa Petrillo.

«In seconda battuta, soprattutto quando il problema è associativo e non apercettivo, è bene escludere un disturbo di memoria, tipico ad esempio dell’Alzheimer, dove è piuttosto frequente non riconoscere più i famigliari. Ecco perché servono dei test che indaghino la memoria generale, al di là dei volti, e altri che sfruttino le fotografie di visi noti, magari di personaggi famosi, per capire l’associazione che viene fatta con la rispettiva identità».


Come si interviene

Non esiste una cura per la prosopagnosia, con cui è necessario convivere mettendo in atto delle strategie compensatorie, che consistono per esempio nell’imparare a riconoscere una persona dal tono della voce, dal taglio di capelli, dal modo di gesticolare o di camminare.

«Pur non trattandosi di soluzioni definitive, queste tecniche sono comunque utili e consentono di vivere meglio le relazioni interpersonali», commenta Petrillo. In effetti, questo deficit può essere fortemente limitante dal punto di vista sociale, visto che i volti rappresentano gli stimoli visivi più importanti per l’uomo: oltre a trasmettere aspetti come il genere, l’identità e le informazioni di tipo emotivo, il viso è anche uno dei primi “pezzi di mondo” che impariamo a riconoscere da piccoli. «Dopo pochi giorni di vita, infatti, i bambini sono già in grado di distinguere il volto della mamma da quello di un estraneo, per cui si tratta di un elemento atavico».


A volte è “altro”

La prosopagnosia non va confusa con l’incapacità di ricordare i nomi delle persone quando le vediamo per strada oppure ne vediamo il volto in fotografia. «Questa sensazione può capitare a tutti, e non sempre nasconde una situazione patologica: a volte, per esempio, basta incontrare una persona al di fuori del normale contesto in cui siamo abituati a vederla per andare in confusione. Nella prosopagnosia, invece, è proprio il volto a non poter essere riconosciuto. Per fortuna, non si tratta di una condizione così diffusa, perché solo il 2% circa della popolazione ne è interessata, per lo meno nella forma congenita», conclude la dottoressa Petrillo.


Altri casi celebri

Oltre a Brad Pitt, anche Enrica Bonaccorti ha confessato di soffrire di prosopagnosia, che la porta a isolarsi e a non frequentare più i salotti televisivi: durante un evento Fininvest non ha riconosciuto Fedele Confalonieri, a cui ha chiesto di cosa si occupasse nella vita. Pare ne fosse affetto anche Luciano De Crescenzo, che raccontava spesso le sue gaffe, come il giorno in cui si presentò a sua sorella.


Essere fisionomisti: un vero dono

C’è chi ti vede una volta e non ti dimentica più, e poi c’è chi ti incontra ogni giorno eppure fatica sempre a riconoscerti. La capacità di distinguere un volto familiare si sviluppa sin dall’infanzia e, secondo la scienza, è un’abilità più complessa rispetto a quella di ricordare il nome di qualcuno. Ciò che rende fisionomisti è lo spessore dell’area fusiforme facciale: più è sottile, più la persona è abile a riconoscere la fisionomia di un soggetto. In base alle ricerche, i fisionomisti sanno guardare il mondo (volti compresi) nel suo insieme, per cui sono più empatici, istintivi e portati a intrecciare buone relazioni interpersonali.



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