hero image

Cistite interstiziale: cos’è, cause, sintomi, cure

Malattia cronica complessa, è caratterizzata da sintomi variabili e difficili da inquadrare. Colpisce prevalentemente le donne tra i 30 e i 60 anni, comportando dolore e urgenza urinaria

Foto: iStock



La cistite interstiziale è una condizione clinica complessa e sfaccettata. Non si tratta di una semplice infezione delle vie urinarie, ma di un vero e proprio mosaico di sintomi, variabili da persona a persona, che rendono difficile non solo la diagnosi ma anche la comprensione del reale impatto epidemiologico. Non esiste un “marchio” clinico inequivocabile: ogni paziente racconta una storia diversa e proprio questa natura poliedrica rende la cistite interstiziale una sfida ancora più impegnativa per chi la studia, la cura e la vive.

Netta è la prevalenza femminile: «La sindrome colpisce le donne con una frequenza dalle 5 alle 10 volte superiore rispetto agli uomini, in particolare in un arco di età cruciale, compreso tra i 30 e i 60 anni», riferisce il professor Antonio Cisternino, responsabile dell’Unità operativa di Urologia al Santa Maria Hospital di Bari. «Quelli sono tre decenni che dovrebbero coincidere con il pieno della vita lavorativa, familiare e sociale, ma che in molti casi vengono segnati da dolore costante e da limitazioni concrete della propria quotidianità. Non di rado le persone sono costrette a programmare le loro giornate in funzione della presenza di servizi igienici lungo i percorsi abituali».

In tal senso, affrontare la cistite interstiziale significa parlare non solo di medicina, ma anche di dignità, autonomia e socialità.

Quali sono le cause della cistite interstiziale

La cistite interstiziale è una condizione cronica in cui la struttura portante della vescica risulta compromessa. È come una casa apparentemente solida: all’esterno sembra tutto regolare, ma all’interno compaiono crepe e infiltrazioni di umidità che ne minano stabilità e salubrità.

L’eziologia è multifattoriale e, nonostante i progressi della ricerca, non esiste ancora una spiegazione unica e definitiva. Uno dei meccanismi più accreditati riguarda la perdita della funzione di barriera dell’urotelio vescicale. «In condizioni normali, la superficie interna della vescica è protetta da uno strato di glicosaminoglicani che agisce come scudo nei confronti di sostanze potenzialmente irritanti presenti nelle urine», descrive il professor Cisternino. «Quando questo rivestimento si danneggia o si assottiglia, le sostanze irritanti penetrano negli strati più profondi della parete vescicale, innescando una cascata di infiammazione cronica e danno tissutale. Non sorprende, quindi, che alcuni trattamenti abbiano come obiettivo il ripristino di questa barriera, ad esempio attraverso l’utilizzo di acido ialuronico o composti simili».

Ma perché questa barriera si rompe? «È possibile che esista una predisposizione individuale, forse legata a fattori genetici non ancora identificati, che rende alcune persone più vulnerabili», ammette l’esperto. «Infatti non è raro osservare l’insorgenza improvvisa dei sintomi anche in giovani donne precedentemente in buona salute».

Un altro elemento cruciale è rappresentato dai mastociti, cellule del sistema immunitario con un ruolo chiave nei processi infiammatori e nel dolore cronico. «In condizioni di attivazione anomala, i mastociti rilasciano mediatori come istamina, proteasi, citochine e fattori di crescita, che alimentano ulteriormente l’infiammazione e alterano la funzionalità della vescica», racconta il professor Cisternino. «La loro presenza a livello del tessuto interstiziale vescicale è talmente caratteristica che, in ambito istologico, l’assenza di infiltrato mastocitario porta alcuni specialisti a parlare più genericamente di cistopatia cronica piuttosto che di vera cistite interstiziale».

Talvolta la malattia si associa a patologie autoimmuni: non è raro riscontrarla in persone con lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide o sindrome di Sjögren. Questo legame suggerisce un terreno immunologico comune, in cui una predisposizione di fondo può facilitare la perdita della barriera protettiva dell’urotelio vescicale.

Altri fattori entrano in gioco sul piano neurologico. «Alcuni pazienti presentano infatti iperalgesie, cioè una percezione amplificata del dolore, o risposte dolorose a stimoli che normalmente non lo provocherebbero», aggiunge l’esperto. «È come se la vescica, in questi casi, diventasse “ipersensibile”, amplificando ogni segnale proveniente dal suo interno».

Negli ultimi anni un ulteriore protagonista si è affacciato sulla scena: il microbiota urinario. Per decenni si è creduto che la vescica fosse un ambiente sterile, mentre oggi sappiamo che non è così. Le ricerche hanno dimostrato che la presenza di una disbiosi urinaria (alterazione dell’equilibrio microbico) possa contribuire all’infiammazione cronica e dar inizio alla cistite interstiziale. Si tratta di un campo di studio ancora giovane, ma che promette di aprire nuove prospettive nella comprensione e forse anche nella cura della malattia.

Quali sono i fattori di rischio della cistite interstiziale

Il primo elemento da considerare è il genere: la cistite interstiziale colpisce soprattutto le donne, molto più frequentemente degli uomini. Anche l’età gioca un ruolo, con un picco nelle fasce fertile e peri-menopausale. Una storia di infezioni urinarie ricorrenti rappresenta un ulteriore fattore predisponente, mentre alcuni alimenti – come caffè, alcol e cibi piccanti – vengono spesso indicati come possibili aggravanti dei sintomi.

«Su questo punto, tuttavia, la questione rimane controversa: la stessa capsaicina, molecola caratteristica del peperoncino, è stata utilizzata in passato in ambito sperimentale come instillazione endovescicale per alleviare la sindrome dolorosa pelvica», indica il professor Cisternino. «Questo ci ricorda che ciò che peggiora i sintomi in alcuni pazienti in altri può avere effetti diversi e che la gestione deve sempre essere personalizzata».

Un ulteriore aspetto, non trascurabile, è quello psicologico. Lo stress, pur non essendo una causa diretta della malattia, ne amplifica i sintomi, creando un circolo vizioso che peggiora la qualità di vita. In molte pazienti la cistite interstiziale si associa ad altre condizioni croniche come la sindrome dell’intestino irritabile, la fibromialgia o l’emicrania, quasi a confermare una co-morbilità sistemica che va oltre la sola vescica.

Quali sono i sintomi della cistite interstiziale

Quando la struttura interstiziale della vescica si altera, anche la componente muscolare entra in sofferenza. La vescica sviluppa un ipertono, diventando rigida e dolorosa, come un muscolo cronicamente affaticato. Questo determina una condizione di affaticamento localizzato che spesso si intreccia con disfunzioni del pavimento pelvico e, in alcuni casi, con neuropatie come quella del pudendo.

Il sintomo più caratteristico è il dolore al basso ventre, che peggiora man mano che la vescica si riempie e diventa il tratto distintivo della malattia. A questo si aggiunge la necessità di urinare spesso, sia di giorno che di notte: anche piccole quantità di urina bastano per scatenare urgenza e fastidio, perché la vescica non riesce più a modulare correttamente la sua capacità di riempimento. L’atto stesso di urinare può diventare doloroso e difficoltoso: il bruciore e gli spasmi muscolari rendono lo svuotamento faticoso, come se la vescica e i muscoli del pavimento pelvico non riuscissero più a lavorare in sinergia.

Tutto questo non si limita alla sfera urologica. «La qualità di vita viene profondamente compromessa: le notti sono interrotte, il lavoro diventa difficile, la vita sociale si restringe, i rapporti sessuali vengono ostacolati dal dolore e l’umore risente pesantemente di questa condizione cronica», tiene a precisare l’esperto. «Ansia, frustrazione e depressione non sono rare e contribuiscono a creare un circolo vizioso che aggrava ulteriormente il quadro clinico».

Come si diagnostica la cistite interstiziale

Non esiste un singolo esame che da solo confermi la malattia: si tratta piuttosto di un percorso a più tappe, che inizia con l’esclusione di altre patologie in grado di provocare sintomi simili, prima fra tutte le infezioni urinarie e le neoplasie vescicali. «L’urinocoltura rappresenta il primo passo, fondamentale per verificare se vi sia un’infezione in corso: nella cistite interstiziale, infatti, le urine risultano di solito sterili», spiega il professor Cisternino. «A questo si aggiunge la citologia urinaria, utile per aumentare la sensibilità diagnostica e per escludere la presenza di cellule tumorali».

Un esame cruciale è la cistoscopia, che però deve essere eseguita in anestesia o in sedazione. La procedura ambulatoriale, spesso proposta come “mininvasiva”, non è in realtà adeguata: la vescica contratta e dolente raramente consente di osservare reperti significativi, e il disagio per la paziente è elevato. «In sedazione, invece, è possibile praticare l’idrodistensione, ovvero la dilatazione della vescica sotto controllo endoscopico», illustra l’esperto. «In alcuni casi, questo permette di evidenziare lesioni caratteristiche, come le ulcerazioni di Hunner, rare ma altamente specifiche, o la comparsa di emorragie puntiformi diffuse, considerate segni della malattia».

La diagnosi però si costruisce soprattutto attraverso una anamnesi approfondita e un colloquio accurato con la paziente. Non bastano i questionari validati, che comunque esistono: ogni donna porta con sé una storia personale fatta di abitudini, contesto sociale, esperienze lavorative e vissuti emotivi che non possono essere ridotti a uno schema predefinito. All’anamnesi si affianca poi un attento esame obiettivo, che può rivelare dolorabilità pelvica, contratture del pavimento pelvico o segni di sindrome miofasciale. In centri specializzati è possibile ricorrere anche a test più avanzati, come la ricerca di biomarcatori urinari, ma si tratta di strumenti ancora in fase di studio, che non fanno parte della pratica clinica quotidiana.

Come si cura la cistite interstiziale

Una volta posta la diagnosi, il passo successivo è impostare un percorso terapeutico che sia personalizzato, realistico e soprattutto sostenibile nel tempo. «La prima azione concreta è la relazione di fiducia con la paziente: rassicurarla, darle strumenti di comprensione e sostegno emotivo, aiutarla a gestire lo stress», dice l’esperto. «È fondamentale farle acquisire consapevolezza della propria condizione e aiutarla a sviluppare capacità di coping, ossia strategie pratiche e mentali per affrontare i sintomi e ridurre l’impatto sulla vita sociale e professionale».

Anche lo stile di vita ha un ruolo centrale. La dieta va modulata con attenzione, riducendo cibi e bevande potenzialmente irritanti, mentre l’attività fisica deve essere calibrata: se praticata in modo eccessivo può peggiorare l’ipertono muscolare pelvico, ma forme mirate di movimento dolce e rilassante possono aiutare. Una parte importante della gestione è rappresentata dalla riabilitazione del pavimento pelvico, che attraverso esercizi mirati aiuta a sciogliere le contratture muscolari responsabili di parte del dolore e attenuare l’urgenza minzionale.

Sul piano farmacologico si parte in genere con farmaci come la solifenacina, a cui possono seguire antimuscarinici, come la ossibutinina, che riducono la contrattilità vescicale e attenuano i sintomi. Nei casi più complessi si ricorre a instillazioni endovescicali con acido ialuronico, eparina, anestetici locali o, dove disponibile, dimetilsulfossido (DMSO), che hanno lo scopo di ricostruire la barriera protettiva della mucosa e ridurre l’infiammazione.

«In presenza di lesioni specifiche individuate in cistoscopia è possibile intervenire con procedure endoscopiche mirate, come la coagulazione o l’asportazione», riferisce il professor Cisternino. «Solo nei casi più estremi, quando i sintomi sono ingestibili e le terapie conservative hanno fallito, si arriva a interventi chirurgici radicali, fino alla sostituzione della vescica o alla derivazione urinaria. Oggi, però, la ricerca si muove verso approcci innovativi: biomarcatori capaci di migliorare la diagnosi precoce, terapie di precisione personalizzate, ma anche strategie sperimentali con cellule staminali o nuovi fattori di crescita. L’obiettivo è trasformare una condizione patologica e clinica complessa in una sfida sempre più vincente e curativa per i pazienti».


Fai la tua domanda ai nostri esperti


Leggi anche

Come curare la cistite ricorrente: ora c'è il vaccino

Incontinenza urinaria e sport: cosa fare se hai piccole perdite di urina

Cistite da stress: cos’è, cause, sintomi, cure