Alfa-mannosidosi: che cos’è, quali sono i sintomi e come si cura

È una malattia metabolica ultra-rara, causata da un “errore” durante il processo di degradazione di alcune sostanze di scarto, che si accumulano nel corpo e provocano diversi danni: dai disturbi motori a una maggiore vulnerabilità alle infezioni




278660È una bellissima giornata di sole. Alexandros sta pedalando su un molo, lungo il mare della Grecia, quando avverte uno strano capogiro e cade in acqua. Gli era già successo di non sentirsi bene, ma adesso gli episodi stanno diventando sempre più frequenti. Un giorno, grazie a un medico americano, arriva la diagnosi: alfa-mannosidosi, una malattia rara che finisce per sconvolgere tutta la famiglia e poco per volta logora il giovane corpo di Alexandros, alle prese con difficoltà motorie, problemi di udito e un futuro incerto.

È la trama di Rare Land, il docu-film (vedi trailer in basso) firmato dal regista greco Efthimis Hatzis e realizzato in collaborazione con il Gruppo Chiesi, una delle più importanti aziende farmaceutiche italiane. Il titolo fa riferimento al viaggio che nessun genitore vorrebbe intraprendere, quello delle malattie rare, che conduce su lande ancora in parte inesplorate e sconosciute, capaci di intimorire chi deve affrontarle e fanno sentire smarriti, soli, increduli.



Nasce dall'assenza di un enzima

L'alfa-mannosidosi è una patologia metabolica ultra-rara: interessa circa una persona ogni 500 mila e rientra nella grande famiglia delle malattie lisosomiali che, come descrive il nome, colpiscono un particolare organello presente nelle nostre cellule, il lisosoma.

«In particolare, si tratta di una oligosaccaridosi», precisa la dottoressa Serena Gasperini, responsabile dell'Unità operativa Malattie metaboliche congenite presso il reparto di Pediatria dell'Azienda Ospedaliera San Gerardo di Monza, «dove si verifica un errore durante il processo di degradazione delle glicoproteine, componenti fondamentali delle nostre cellule che vanno incontro a un ricambio. Potremmo descrivere il lisosoma come una sorta di "inceneritore" che degrada tutte quelle sostanze che vanno dismesse, contribuendo anche al riciclo: macromolecole, microrganismi, frammenti cellulari, organuli invecchiati e altre componenti di scarto. In realtà, negli ultimi anni, abbiamo capito che il lisosoma fa molto di più e serve anche a mantenere l'equilibrio di molte funzioni cellulari».

Nel caso dell'alfa-mannosidosi, il lisosoma si inceppa perché manca un enzima (l'alfa-mannosidasi, appunto) e quindi non distrugge più le glicoproteine che derivano dal normale catabolismo cellulare. Queste, di conseguenza, si accumulano nel corpo e creano danni multi-sistemici, a carico di diversi organi e apparati.


Attenzione alle tappe della crescita

Subdola e spietata, l'alfa-mannosidosi non si manifesta in maniera evidente sin dalla nascita: in genere, i piccoli che ne sono affetti appaiono perfettamente sani, salvo poi sviluppare un ritardo psicomotorio durante i primi anni di vita. «I genitori iniziano ad accorgersi che i figli non raggiungono nei tempi giusti le comuni tappe dello sviluppo, come camminare o parlare», descrive l'esperta.

«Si tratta quindi di bambini con problemi di linguaggio e che si muovono male, per cui appaiono goffi rispetto ai loro coetanei. Inoltre soffrono spesso di ipoacusia, cioè sentono poco, e presentano una grande vulnerabilità alle infezioni, in particolare quelle respiratorie, per cui sviluppano spesso otiti, faringiti, bronchiti e polmoniti a causa di un difetto immunitario». Talvolta si verifica anche l'ingrossamento di fegato o milza, e sul volto mostrano lineamenti grossolani, con zigomi prominenti e alterazioni delle arcate dentarie, caratterizzate da denti molto distanziati: tutti questi dismorfismi compaiono progressivamente nel tempo.


L'ereditarietà: un fattore chiave

«L'alfa-mannosidosi ha un'ereditarietà che si definisce autosomica recessiva, dove entrambi i genitori devono essere "portatori sani" di un allele difettoso nel gene MAN2B1 affinché la malattia si manifesti», racconta la dottoressa Gasperini. «A ogni gravidanza, una coppia di portatori sani ha il 25% di possibilità di avere un figlio affetto da alfa-mannosidosi, per cui esiste un rischio di ricorrenza, nel senso che una famiglia può avere più figli affetti da questa malattia».

Ecco perché nei nuclei dove già esistono dei casi (fra nipoti, cugini o figli) è bene effettuare una diagnosi genetica prenatale (tramite villocentesi) o addirittura preimpianto, una tecnica relativamente recente che consiste nell'individuare la presenza di anomalie cromosomiche o patologie genetiche nei gameti (ovociti e spermatozoi) oppure negli embrioni prima che vengano trasferiti nell'utero.


Come si arriva alla diagnosi

Purtroppo l'alfa-mannosidosi è una patologia insidiosa e difficile da riconoscere per cui passa spesso inosservata, al punto da essere spesso diagnosticata da adulti: «In età infantile infatti, di fronte ai sintomi poco specifici, medici e pediatri ipotizzano ritardi costituzionali oppure altre malattie genetiche, indirizzandosi verso accertamenti diversi», ammette la dottoressa Gasperini.

Con il tempo, però, l'alfa-mannosidosi diventa una malattia prevalentemente neurologica e psichiatrica: «Gli adulti manifestano psicosi, alterazioni scheletriche invalidanti, smettono di camminare intorno ai 20-30 anni, necessitano di continua assistenza e talvolta sviluppano infezioni che possono diventare causa di morte precoce». Eppure, la diagnosi sarebbe relativamente semplice, perché basta quantificare nelle urine la secrezione di oligosaccaridi ricchi in mannosio. «Successivamente a questa determinazione, si procede con il test genetico per identificare le mutazioni tipiche della malattia».


Quanto impatta sulla famiglia

L'alfa-mannosidosi non ha solo un tremendo impatto su fisico e mente dei pazienti, ma comporta anche pesanti ricadute psicologiche sui famigliari, che vedono i loro figli diventare sempre più fragili e non autosufficienti. «Fra l'altro, sin dall'inizio questi bambini tendono a isolarsi e hanno problemi scolastici, oltre a una scarsa socialità per colpa dell'ipoacusia che peggiora nel tempo», racconta l'esperta.

«Ovviamente, questa malattia può essere più o meno severa, perché esiste una variabilità fenotipica dovuta alle mutazioni genetiche che stanno alla base della patologia. Minore è la quantità "attiva" nel corpo dell'enzima alfa-mannosidasi, più grave è il quadro clinico, anche se tutte le situazioni sono comunque destinate a evolvere verso un inesorabile peggioramento».


Le strategie a disposizione

Attualmente non esistono cure risolutive per l'alfa-mannosidosi, per cui il trattamento si limita spesso alla gestione o al controllo dei sintomi, per esempio con l'uso di protesi acustiche, sedute di logopedia, fisioterapia e l'affiancamento di un supporto scolastico. «Fino a qualche tempo fa, l'unica strategia terapeutica consisteva nel trapianto di cellule staminali ematopoietiche, che ha mostrato risultati contrastanti ma comunque necessita di una diagnosi precoce», racconta l'esperta. «Ecco perché si punta a sensibilizzare l'intera classe medica, e quindi pediatri, genetisti, neuropsichiatri infantili, audiologi e logopedisti, perché intercettino quanto prima la malattia.

Da qualche anno, poi, l'Agenzia europea per i medicinali ha approvato una terapia enzimatica sostitutiva prodotta da Chiesi Farmaceutici: il principio attivo, velmanase alfa, va somministrato settimanalmente per via endovenosa ed è in grado di degradare gli oligosaccaridi, facendo le veci dell'enzima mancante e rallentando, quindi, le complicanze non neurologiche dell'alfa-mannosidosi».


Le nuove prospettive

Cosa si intravede all'orizzonte? «Un futuro in cui ci sarà sempre più spazio per i trattamenti combinati, dove per esempio l'utilizzo della terapia enzimatica sostitutiva farà da ponte al trapianto o a un'eventuale terapia genica, che ha come obiettivo correggere il "difetto" presente nel DNA», ipotizza la dottoressa Gasperini.

«Credo che una svolta importante sia più vicina di quanto immaginiamo, ma ovviamente i protocolli di approvazione richiedono tempo e risorse. La guarigione è un obiettivo reale, però un goal da raggiungere è per lo meno la possibilità di non dover più dipendere da un farmaco. Nel frattempo, avere a disposizione una terapia fondamentale come la terapia enzimatica sostitutiva può garantire a ogni età di rallentare e ridurre le complicanze di una malattia progressiva, in previsione di terapie innovative future. Per le famiglie continueranno a essere importanti tutti quei piccoli traguardi di ogni giorno: il fatto che un bambino impari a mangiare da solo o che riesca a fare un disegno rappresenta un regalo di estimabile valore, che rivoluziona la qualità della vita».


(Foto tratta da Rare Land Dossier)


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