Dopo un parto cesareo molte donne possono ritrovarsi a fare i conti con un problema spesso sottovalutato: le aderenze post-operatorie. Non si tratta di un fenomeno raro né esclusivo del cesareo, perché può manifestarsi in seguito a qualsiasi intervento chirurgico che interessi la cavità addominale.
«Le aderenze sono ponti di tessuto fibroso che si formano tra organi e strutture che normalmente dovrebbero muoversi liberamente l’una sull’altra», spiega il dottor Giovanni Testa, direttore della Struttura complessa di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Città di Aprilia. «La loro presenza può provocare dolore cronico, sensazioni di fastidio e limitazioni funzionali, talvolta anche a distanza di anni dall’intervento originale, influenzando la qualità della vita in maniera significativa».
Cos’è un’aderenza e come si forma
Le aderenze sono tessuto cicatriziale che si sviluppa durante il naturale processo di guarigione. «Nel caso del cesareo, il taglio attraversa fino a sette strati di tessuto, dalla cute fino alla parete uterina», descrive il dottor Testa. «Anche la superficie dell’utero, una volta incisa per estrarre il neonato, diventa un’area di cicatrizzazione. È proprio in questa zona che può svilupparsi il tessuto fibroso, che può legarsi agli organi vicini come intestino, visceri addominali o parete pelvica».
Il meccanismo è del tutto fisiologico: durante la riparazione di una cicatrice, il corpo genera un processo infiammatorio che stimola la produzione di collagene e la formazione di tessuto fibroso. Quest’ultimo è più rigido e meno elastico dei tessuti originali e, se stabilisce contatti tra organi vicini, può limitarne la mobilità naturale. «Non sorprende quindi che alcune donne avvertano dolore addominale, pelvico, lombare o durante i rapporti sessuali», osserva l’esperto. «Anche la motilità intestinale può essere compromessa: contrazioni dolorose, stitichezza o gonfiore possono essere conseguenze dirette delle aderenze».
Perché alcune donne sono più predisposte
Non tutte le donne sviluppano aderenze allo stesso modo: la loro comparsa dipende da una combinazione di fattori biologici e chirurgici. Età, tipo di intervento, tecnica operatoria e persino la soglia individuale del dolore influenzano la probabilità di formazione.
«Nelle donne più giovani, i tessuti hanno una capacità rigenerativa più rapida e una cicatrizzazione più intensa, caratteristiche che possono facilitare la formazione di aderenze», spiega il dottor Testa. «Anche la qualità dell’intervento è cruciale: un campo operatorio pulito, senza residui di sangue o materiali estranei, riduce in modo significativo il rischio di queste connessioni fibrose». Perfino una piccola quantità di sangue intrappolata tra due superfici può comportarsi come una colla naturale, favorendo l’adesione dei tessuti e la nascita di cicatrici interne.
Pure la percezione soggettiva del dolore gioca un ruolo fondamentale. Alcune donne possono avvertire sintomi significativi già con aderenze di modesta entità, mentre altre possono convivere con estese connessioni fibrose senza percepire alcun fastidio. «La sede e il tipo di tessuto coinvolto influenzano direttamente le manifestazioni cliniche», sottolinea l’esperto. «Un’aderenza che coinvolge l’intestino o che collega l’utero alla parete addominale può causare dolore cronico, interferire con la motilità intestinale e, nei casi più complessi, compromettere la fertilità, ostacolando il normale passaggio dell’ovulo attraverso le tube di Falloppio».
Quali sono le conseguenze delle aderenze post-cesareo
Le conseguenze delle aderenze post-cesareo possono essere varie e spesso insidiose. Il dolore si manifesta frequentemente a livello dell’addome, del basso ventre, della zona lombare o del coccige e può peggiorare durante attività fisiche, salti o movimenti improvvisi. «Possono comparire stitichezza, alterazioni della motilità intestinale, disfunzioni del pavimento pelvico e dolore durante i rapporti sessuali», indica il dottor Testa. «Nei casi più complessi, le aderenze possono complicare interventi futuri o ostacolare gravidanze: se coinvolgono le tube di Falloppio, aumentano il rischio di infertilità o di gravidanze ectopiche, cioè di impianti dell’embrione fuori dall’utero».
Attenzione anche al dolore percepito nella zona lombare o sacrale, che non sempre ha origine dalla colonna vertebrale. «Molte pazienti lamentano mal di schiena o tensioni muscolari che, a un esame più approfondito, risultano legate a tessuto cicatriziale addominale che limita la mobilità interna degli organi», aggiunge l’esperto. In questi casi, la percezione del dolore può essere subdola, cronica e spesso difficile da collegare immediatamente al cesareo precedente.
Come si arriva alla diagnosi
Per affrontare il problema, il primo passo fondamentale è ottenere una diagnosi accurata. Le moderne tecniche di imaging, in particolare l’ecografia tridimensionale, consentono di visualizzare con grande precisione la presenza e le caratteristiche delle aderenze: la loro posizione esatta, lo spessore, la vascolarizzazione e gli organi coinvolti.
«Avere un quadro dettagliato non solo aiuta il medico a comprendere meglio la situazione clinica, ma diventa uno strumento indispensabile per i professionisti che eseguono trattamenti manuali, come fisioterapisti e osteopati», spiega il dottor Testa. «Sapere esattamente dove intervenire permette di lavorare in maniera mirata, ottimizzando la mobilità dei tessuti, riducendo la rigidità e alleviando i sintomi in modo più efficace».
Cosa fare in caso di aderenze post-cesareo
Non esistono metodi infallibili per prevenire la formazione di aderenze post-cesareo, ma alcune strategie chirurgiche e post-operatorie possono ridurne significativamente l’incidenza. Un intervento eseguito con cura, mantenendo il campo operatorio pulito e minimizzando la presenza di sangue o residui, rappresenta il primo passo fondamentale. Quando le aderenze si formano, esistono approcci non invasivi che si sono dimostrati efficaci: fisioterapia, osteopatia, massaggi specifici, coppettazione, ultrasuoni e onde d’urto contribuiscono a migliorare l’elasticità del tessuto cicatriziale, favorire lo scivolamento degli organi e ridurre dolore e rigidità.
«Le manipolazioni esterne si concentrano sul tessuto cicatriziale e sulle aree circostanti, ripristinando mobilità e alleviando la tensione sui visceri», spiega il dottor Testa. «In molti casi i fisioterapisti esperti riescono a percepire le aderenze attraverso la palpazione e a intervenire con precisione, aumentando l’elasticità dei tessuti e facilitando movimenti più fluidi, sia nello sport sia nelle attività quotidiane». Questi trattamenti, oltre ad alleviare i sintomi, giocano un ruolo importante nella prevenzione della cronicizzazione del dolore, migliorando la qualità della vita delle pazienti.
Quando è necessaria la chirurgia
Nei casi più complessi, quando le aderenze coinvolgono intestino, utero o altre strutture vitali, può essere necessario un intervento chirurgico. «L’obiettivo è liberare le aderenze che ostacolano il funzionamento fisiologico degli organi e prevenire complicazioni gravi come l’occlusione intestinale o problemi riproduttivi futuri», racconta il dottor Testa. «Tuttavia, anche dopo un intervento chirurgico, esiste il rischio che nuove aderenze si formino, poiché si tratta di un processo intrinseco di cicatrizzazione del corpo».
Accanto ai trattamenti medici, lo stile di vita gioca un ruolo fondamentale. Una buona idratazione, un’alimentazione equilibrata e il controllo del peso corporeo aiutano a ridurre la pressione sui tessuti addominali e favoriscono la mobilità degli organi.
«L’attività fisica graduale e mirata contribuisce a mantenere elasticità e tonicità muscolare, supportando indirettamente la gestione delle aderenze», conclude l’esperto. «La chiave è una gestione personalizzata, guidata da professionisti esperti, che consideri il corpo nella sua interezza e rispetti le differenze individuali. Nessuna donna deve sentirsi sola di fronte a questo problema: con un approccio mirato, è possibile ridurre il dolore, ripristinare la mobilità e migliorare la qualità della vita anche a distanza di anni dal cesareo».
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