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Che fine ha fatto il sangue dei cordoni ombelicali?

È la domanda che si fa chi ha utilizzato una bio-banca appena fallita: la CryoSave. Ma l’interrogativo è anche un altro: serve davvero conservarlo?

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Dove sono finiti i nostri campioni? Circa 15 mila famiglie italiane sono vittime dell’affare CryoSave, banca dati privata con sede principale in Svizzera che si occupa della raccolta e conservazione di sangue cordonale.

Per la società e diverse sue filiali, compresa quella italiana, in estate si è aperta la procedura fallimentare. E i genitori sono rimasti senza riferimenti. Intanto, la stessa CryoSave aveva affidato in una sorta di subappalto 56 serbatoi, pari a circa 300 mila campioni, al gruppo Pbkm FamiCord, che ha spostato il materiale a Varsavia, in Polonia.

La FamiCord ha iniziato a contattare le famiglie italiane, spiegando loro che potevano mantenere il vecchio contratto oppure stipularne uno nuovo a 89 € l’anno. Ha inoltre fissato per il 10 novembre un incontro pubblico con i suoi manager. Ma è ancora difficile dire se tutti i clienti CryoSave rientrino nel gruppo.

«Il numero esatto di campioni non è al momento noto e stiamo procedendo con una verifica manuale che richiederà alcuni mesi», spiega Tomasz Baran, medico e membro del board di FamiCord Group, interpellato da Starbene. A fine ottobre, però, il colpo di scena. Si fa viva la CSG-Bio Sa di Ginevra (controllata dal fondo americano Myrisoph Capital), che nel frattempo ha assunto il controllo del marchio e delle attività di CryoSave.

«FamiCord è solo una parte terza e sta contattando le famiglie illegalmente. I campioni sono di nostra proprietà e molto presto i laboratori in Svizzera saranno nuovamente pronti per accoglierli. A breve forniremo dettagli e contatti alle famiglie», ci ha risposto Mai Ibrahim, direttore operativo di CSG-Bio SA. La questione è ancora lontana dal risolversi. Ma il consiglio, per i genitori, è evitare di firmare un nuovo contratto finché non avranno certezze su condizioni, stato dei campioni e controparte.


I dubbi sui reali utilizzi
Intanto si è riaperto il dibattito: ha davvero senso conservare il cordone per se stessi, sperando in potenziali cure future? Oltre ai clienti finiti nel crack CryoSave, la domanda interessa circa 40 mila famiglie italiane (tante sono quelle che negli ultimi dieci anni hanno depositato il cordone in banche estere per uso personale).

I dubbi sono tanti e provengono da più parti. In una nota recente, firmata dai direttori generali del Cnt (Centro nazionale trapianti) e del Cns (Centro nazionale sangue), si spiega che l’uso delle staminali per un donatore diverso dallo stesso paziente è una pratica consolidata, ma ci sono molte meno evidenze che possa servire in senso autologo (su se stessi).

In più, si discute sui reali utilizzi di queste cellule. «Il cordone ombelicale contiene cellule ematopoietiche, ossia staminali non ancora completamente differenziate, che possono solo diventare cellule del sangue e del sistema immunitario: globuli rossi, bianchi e piastrine», afferma il dottor Martino Introna, responsabile del Centro di terapia cellulare Gilberto Lanzani dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

«Nessun esperimento pubblicato e validato è finora riuscito a far diventare quelle cellule altro come, per esempio, fegato o cervello. Quindi, fatte salve eventuali potenzialità future, oggi il sangue cordonale conservato si può usare solo per le patologie che necessitano del trapianto di midollo osseo, come mielomi o leucemia.

Le staminali ematopoietiche hanno il vantaggio di sapersi riprodurre velocemente ma si possono tranquillamente recuperare dalle banche dati pubbliche». Ed essendo vietata in Italia la conservazione privata, sarebbe arduo far ritornare in patria un campione; serve un’autorizzazione concessa di volta in volta dal Ministero (legge 219/2005). Eppure, tanti genitori si sono convinti della scelta, consigliati da medici e ginecologi.


La difesa delle bio-banche private
«Non è vero che il cordone contenga solo cellule staminali ematologiche», risponde la biologa cellulare Irene Martini, direttore scientifico di SmartBank Scientific e di Sorgente, due società in partnership nello servizio di banking per i clienti italiani, che conservano i campioni in un laboratorio del Regno Unito.

«È risaputo come ci siano cellule staminali mesenchimali, che possono ricreare tessuto osseo, cellule T-regolatorie, soppressorie e monociti chiaramente coinvolti nel recupero del danno neurologico. Tutte, in diversi studi, hanno mostrato proprietà rigenerative e antinfiammatorie, specialmente nei pazienti colpiti da patologie neurologiche dovute a ipossia o altri traumi avvenuti nel periodo neonatale. Non proponiamo miracoli e sappiamo bene che molti meccanismi ancora ci sfuggono. Ma la mia società invia i pazienti presso il centro medico dell’Università Duke, negli Usa, non in un laboratorio clandestino.

Buona parte degli ematologi tradizionali non ha neppure la curiosità di informarsi». La nota congiunta Cnt-Cns ammette, in effetti, come diverse ricerche abbiano rilevato le proprietà rigenerative delle staminali. Ma che queste, in realtà, si possano recuperare dal sangue durante tutta la vita. In sostanza, non ci sarebbe bisogno di pagare migliaia di euro per la pratica della conservazione cordonale.


L’appuntamento ad Arese

Grazie al lavoro di un gruppo Facebook chiamato “Genitori Cryo Save”, il 10 novembre 2019 si terrà un incontro pubblico all’auditorium Aldo Moro di Arese (Milano), durante il quale i rappresentanti della FamiCord cercheranno di rispondere ai dubbi delle famiglie. Saranno presenti Jakub Baran, presidente del gruppo, e la responsabile italiana Renata Zbiec (occorre informare della propria partecipazione scrivendo a [email protected]).


Il nostro paese è fra i più rigidi

In Italia la conservazione privata del cordone è vietata e le società che la propongono inviano sempre i campioni all’estero. Si può contribuire, invece, alle 18 banche pubbliche che attualmente custodiscono oltre 40 mila unità di sangue, per lo più a disposizione della collettività. Il divieto vige anche in Francia e Lussemburgo; in Olanda non esistono banche private ma non sono vietate, mentre in Germania, Svizzera, Polonia, Grecia, Danimarca e Regno Unito sono ammesse entrambe le forme.


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Articolo pubblicato sul n. 47 di Starbene, in edicola dal 5 novembre 2019

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