Paracetamolo in gravidanza? Remuzzi: “Allarme eccessivo”
La medicina indica prudenza e uso responsabile, non l’abbandono del farmaco: il paracetamolo resta il farmaco di scelta in gravidanza per trattare febbre e dolore. Ma va usato con giudizio, alla dose efficace più bassa e per il minor tempo necessario
di Valentina Menassi
Dopo che la statunitense Food and Drug Administration (Fda) ha annunciato che apporrà una nuova etichetta di avvertenza sul Tylenol, il paracetamolo usato negli Stati Uniti, così come in altri farmaci contenenti questo principio attivo, citando una "possibile associazione" tra l'autismo nei bambini e l'uso del farmaco durante la gravidanza, è bastata una frase per accendere il panico. Donald Trump ha puntato il dito contro il paracetamolo, sostenendo un legame tra l’assunzione in gravidanza e il rischio di autismo. Un’affermazione capace di diffondersi rapidamente sui media e di insinuare dubbi nelle future mamme, già spesso esposte a informazioni contrastanti sulla sicurezza dei farmaci.
Il tema è particolarmente delicato: il paracetamolo è, infatti, il farmaco da banco più utilizzato al mondo per febbre e dolore, considerato da decenni il più sicuro in gravidanza. Per questo, le parole di Trump e la nuova etichetta della FDA hanno sollevato un polverone mediatico che rischia di avere effetti concreti sulla percezione pubblica e sui comportamenti delle pazienti.
Allarme eccessivo
Dal mondo scientifico arriva però una frenata. Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, intervistato da Starbene, interviene per riportare il dibattito sui binari delle evidenze: «Ritengo che l’allarme sia eccessivo rispetto alle conoscenze attuali. Le affermazioni pubbliche di questo tipo, specie se semplificate, possono creare paura ingiustificata. Il paracetamolo rimane, quando indicato, il farmaco di scelta in gravidanza per trattare febbre e dolore; è importante però usarlo con giudizio, alla dose efficace più bassa e per il minor tempo necessario».
Un richiamo alla cautela che evidenzia come il problema non sia il farmaco in sé, ma il rischio che messaggi semplificati e non supportati da solide basi scientifiche alimentino ansie ingiustificate.
Le evidenze scientifiche
Le ricerche sul tema non mancano, ma i dati a disposizione sono tutt’altro che conclusivi. «Esistono diversi studi osservazionali che hanno trovato associazioni tra esposizione prenatale al paracetamolo e un modesto aumento del rischio di alcuni disturbi neuroevolutivi. Tuttavia questi studi presentano molti limiti: non possono provare causalità, sono esposti a confondimento (per esempio, la febbre o l’infezione per cui è stato preso il farmaco può essere essa stessa un fattore di rischio), non controllano per fattori genetici o familiari che sono determinanti. Analisi più robuste all’interno delle famiglie non confermano queste osservazioni», dice l'esperto.
Tra i primi lavori sul tema, per esempio, figura lo studio di Streissguth e Treder (1987), che aveva rilevato una possibile associazione tra l’uso in gravidanza di aspirina e paracetamolo e lievi decrementi di QI e attenzione nei figli. Più di vent’anni dopo, lo studio di Brandlistuen e Ystrom (2013), basato su un ampio campione norvegese e controllato tra fratelli, ha suggerito che un’esposizione prolungata al paracetamolo in gravidanza potesse essere associata a ritardi nello sviluppo motorio e della comunicazione nei bambini.
A oggi gli studi sviluppati per cercare di comprendere la possibile associazione tra l’uso di FANS in gravidanza e lo sviluppo neuronale hanno portato a risultati contrastanti, con conclusioni che a volte identificano un possibile rischio.
Le indicazioni delle agenzie
A confermare questa lettura ci sono anche le principali agenzie regolatorie internazionali. L’orientamento rimane chiaro: il paracetamolo può essere usato in gravidanza, purché si seguano regole di buon senso. «Il paracetamolo può essere usato in gravidanza quando necessario e secondo le linee guida: la dose minima efficace per 3-5 giorni. Questa peraltro è una regola di buonsenso che vale sempre e per i farmaci che eventualmente si assumono in gravidanza», sottolinea Remuzzi.
In altre parole, la medicina continua a indicare prudenza e uso responsabile, non l’abbandono del farmaco.