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Colpo di scena: le intolleranze non esistono

A fare dietro front è Attilio Speciani, uno dei principali sostenitori delle diete di esclusione. Il noto allergologo ci spiega le nuove scoperte

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C’è l’amica che non sopporta i lieviti, il collega che evita il nichel come la peste e l’altro che ha deciso di abolire il glutine. Siamo circondati da intolleranti, e il modello alimentare che si sta diffondendo è quello delle diete di eliminazione.

Quando si soffre di mal di pancia, gastrite o reflusso, si decide che un certo alimento è la causa dei disturbi e deve essere bandito. Molto spesso queste “intolleranze” vengono prima diagnosticate con test fantasiosi e poi certificate da “terapisti” non informati. Risultato? Una gran confusione e stili alimentari che non sono certo salutari. Lo afferma Attilio Speciani, famoso immunologo e allergologo, nel suo libro Le intolleranze alimentari non esistono (Edizioni Lswr, 18,90 €).


Dottor Speciani, lei è stato uno degli “scopritori” delle intolleranze: come mai oggi dice che non esistono?

«È vero, sono stato uno dei primi a parlarne, ma anni fa la scienza non aveva ancora fatto certe scoperte. Oggi sappiamo che ci sono le cosiddette infiammazioni dovute al contatto con certe sostanze, ma è sbagliato colpevolizzare il cibo fino a rinunciare a certi alimenti».


Quindi, le intolleranze?

«Quelle scientificamente riconosciute sono solo due: al lattosio (si verifica per mancanza di lattasi, un enzima che abbiamo a livello intestinale) e al glutine (dovuta alla celiachia, malattia immunologica importante). Per quasi tutti gli altri sintomi legati al consumo di cibi parliamo di infiammazione».


Ma perché dopo aver mangiato un certo alimento, ci viene la colite, la gastrite, la cistite…

«In questo caso non è un unico contatto a provocare l’infiammazione, ma un consumo eccessivo e ripetuto dello stesso cibo. Nessun alimento è nemico. È la modalità con cui lo consumiamo a esserlo, senza dimenticare possibili interazioni con altri cibi o con particolari cotture».


Non esistono quindi cibi veramente “colpevoli”?

«No. Gli unici responsabili siamo noi e il nostro modo di alimentarci. Un esempio. Dopo aver individuato, o per autodiagnosi o per consulto (spesso con terapisti non medici) che un certo alimento è la causa di un malessere ricorrente, si decide di eliminarlo. Ma un conto è scansare, come facevano gli uomini primitivi, un tubero che si rivelava velenoso, un altro rinunciare alla nostra alimentazione, che è tanto più sana quanto è più onnivora. Una reazione infiammatoria difficilmente ha un’unica causa».


Quindi le diete di eliminazione sono inutili?

«Non tanto inutili, quanto potenzialmente dannose, oltre che squilibrate. Quando si decide per un’eliminazione rigida, il risultato non sarà solo una dieta sbagliata ma anche un regime che, per compensare l’alimento soppresso, ci spingerà a consumare in eccesso un sostituto, innestando un’altra infiammazione».


Esiste un test sicuro?

«Il più attendibile è il Food inflammation test (in farmacia e in alcuni centri specializzati). Una semplice raccolta di sangue capillare permette di analizzare i livelli delle citochine infiammatorie e delle immunoglobuline G specifiche, radar che segnalano l’eccesso o la ripetitività di alcuni cibi nella dieta. Dai risultati lo specialista può suggerire il regime alimentare più indicato».


Come reintrodurre un cibo che abbiamo bandito?

«In realtà è semplice: basta adottare un’alimentazione molto varia, che preveda almeno 7 pasti liberi (con il cibo “incriminato”) sui 21 previsti in una settimana. Un sistema di rotazione che rieduca gradualmente il nostro organismo senza eliminazioni drastiche e poco salutari. Perché il percorso più corretto per raggiungere o recuperare un rapporto fisiologico con il cibo è variare il più possibile gli alimenti».


Ultima domanda: un “nemico” che a molti fa paura a tavola è il nichel. Timori fondati?

«Dipende. Questa sostanza (facilmente rintracciabile in pomodori, spinaci e pere) è per esempio fantastica per gli anemici, meno per chi soffre di dermatite da contatto. Anche in questo caso entrano in gioco molte variabili, come la cottura (è il caso delle mandorle tostate, infiammanti, mentre quelle seccate non lo sono) che possono scatenare nel tempo reazioni. Il nichel in sé non è un veleno, ma in certe quantità può dare fastidio a persone sensibili».


Dove fare il test

Vuoi fare il Food Inflammation Test per scoprire i cibi verso i quali sei più sensibile e adottare la dieta più equilibrata? Scopri le strutture che lo propongono su biomarkers.it o su recallerprogram.com (costo da 140 € circa).


Fai la tua domanda ai nostri esperti

Articolo pubblicato sul n. 16 di Starbene in edicola dal 2 aprile 2019




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