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La prima cura per chi soffre di Sclerosi laterale amiotrofica

Pazienti che soffrono di Sla con una specifica mutazione genetica del gene SOD1 sono stati trattati con un farmaco che ha permesso di registrare un forte rallentamento della malattia e in alcuni casi addirittura una stabilizzazione

credits: iStock



Fanno ben sperare i risultati di uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine. Perché riguardano la prima cura per chi soffre di Sla, Sclerosi Laterale Amiotrofica, con una specifica mutazione genetica del gene SOD1. Un bel successo. Si tratta, infatti, di una malattia dall’impatto drammatico: alla base c'è una degenerazione dei motoneuroni, cioè delle cellule nervose cerebrali e del midollo spinale che permettono i movimenti della muscolatura volontaria. Che porta inesorabilmente chi ne soffre a una graduale e progressiva disabilità.


I risultati dello studio

Lo studio è stato condotto in pochi Centri al mondo, dislocati in Germania, in Francia, nel Regno Unito e negli Stati Uniti. Per l’Italia ha partecipato l’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino. Sono state coinvolte 108 persone con una forma di Sla iniziale oppure intermedia. Tutti i pazienti avevano la mutazione del gene SOD1, che riguarda il 2% del totale di chi ha la Sla. Il farmaco che è stato utilizzato si chiama Tofersen e ha la capacità di agire selettivamente sull’RNA passeggero, bloccando la sintesi della proteina alterata.

«Nello studio abbiamo inserito innanzitutto i pazienti con la forma più aggressiva, sempre con la mutazione SOD1 e quindi gli altri, sempre mutati ma con un andamento più lento», spiega Adriano Chiò, Direttore del Centro regionale Esperto per la SLA dell’ospedale Molinette e professore del Dipartimento di Neuroscienze Rita Levi Montalcini dell’Università di Torino. «I risultati sono stati ottimi in entrambi i casi. A distanza di sei mesi dall’inizio della terapia, abbiamo registrato un forte rallentamento della malattia e per alcuni addirittura una stabilizzazione».

Ora, racconta il professor Chiò, lo studio si è concluso ma questi pazienti continuano il trattamento, che consiste in una dose una volta al mese. «Il farmaco viene somministrato mediante una puntura lombare», continua l’esperto. «Nel corso dello studio abbiamo monitorato i pazienti anche per quanto riguarda gli effetti collaterali e non abbiamo registrato particolari eventi avversi. Il farmaco è ben tollerato, iniezione compresa».


La ricerca va avanti

Nel frattempo, ha già preso il via un’altra ricerca che coinvolge i familiari di pazienti con la mutazione del gene SOD1, che a loro volta sono portatori della stessa mutazione. «Le ricerche ci hanno dimostrato che nei familiari mutati si verifica circa un anno prima dell’inizio dei sintomi un aumento del livello dei neurofilamenti, cioè delle proteine che costituiscono l’impalcatura delle cellule nervose come i motoneuroni», aggiunge il professor Chiò. «Sono come delle scosse telluriche che a livello fisico non si avvertono, ma che rappresentano la fase anticipatoria dello tzunami che è la SLA. Da qui, la ricerca di ora con Tofersen allo stesso dosaggio, per cercare di impedire che nei familiari sani mutati si sviluppi la malattia».


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