Curare i minori: cosa dice la legge

A Milano i giudici hanno vietato a una coppia di portare all’estero la propria bambina per curare un tumore. Fino a che punto mamma e papà possono decidere sulla salute di figli minorenni? Un’esperta ci spiega come stanno le cose



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pediatra donna con bambino


di Oscar Puntel


I giudici del Tribunale dei minori di Milano hanno vietato a una coppia di portare la loro bambina di 3 anni all’estero, per curare un tumore. Sarebbe stato un inutile viaggio della speranza. La decisione è partita da una segnalazione dell’Istituto nazionale tumori.

Le condizioni emotive dei genitori avevano portato a interrompere le cure in corso per seguire una “terapia molecolare” in Israele, ma per i giudici non c’erano certezze sulla sua efficacia. Ora la bambina sta proseguendo le terapie in un altro ospedale italiano.

Possiamo immaginare l’ansia e le preoccupazioni che i genitori vivono quando hanno un figlio che soffre, specialmente di patologie gravi. Ma fino a che punto possono dissentire dalle terapie e dall’approccio seguito dal team medico? Hanno  o no il potere di decidere?

«Da un punto di vista giuridico, i genitori (o coloro che esercitano la responsabilità genitoriale) acconsentono o dissentono circa i trattamenti medici, le terapie e gli interventi che riguardano i loro figli», spiega Sara Patuzzo, esperta della Consulta deontologica, dentro la Federazione dell'Ordine dei medici.

Fissato questo principio, ci sono le eccezioni.


QUANDO SI FINISCE DAL GIUDICE

Diciamo subito che i genitori hanno senz'altro la possibilità di libera scelta del medico. Se non c’è un rapporto di fiducia o se si ritiene che il professionista non sia competente, possono cambiarlo», spiega la dottoressa Patuzzo. «Tuttavia, il medico "sollevato" può chiedere l’intervento dell’Autorità giudiziaria quando valuta che il “cambio”, la nuova terapia, il tempo che si potrebbe sprecare, rappresentano un “costo” eccessivo in termini di salute per il minore».

«Se i medici o qualsiasi persona esterna pensano che i genitori stiano rifiutando un trattamento ritenuto scientificamente necessario per il minore, possono portare il caso davanti a un giudice, il quale può sospendere o limitare la responsabilità genitoriale e darla a un terzo soggetto (anche lo stesso medico che gestisce il caso), perché acconsenta la terapia o l’intervento», chiarisce Patuzzo.

Ma si può arrivare davanti al giudice anche «quando i genitori insistono e chiedono procedure mediche sui minori che i medici ritengono futili o scientificamente non accettabili». E il giudice, fatte le sue valutazioni nell’interesse della salute del minore, «può intervenire sempre sulla responsabilità genitoriale, per limitare casi di accanimento terapeutico».


IL MINORE PUÒ DECIDERE?

I documenti deontologici dicono che è compito dei medici coinvolgere il minore, anche piccolo, in una decisione che riguarda la sua salute. Quindi su una scelta importante (come può essere una terapia o un intervento) anche un bambino ha voce in capitolo. Certo, questa “voce” va pesata.

«Secondo la bioetica, un bambino è un soggetto morale, una persona a tutti gli effetti: quindi va ascolatato e tenuto in considerazione», dice la dottoressa Patuzzo. Ma come è possibile che un bambino possa valutare quello che è giusto per lui? «I documenti deontologici prescrivono che i dottori spieghino ai più piccoli in che cosa consiste la loro malattia, con l’accortezza di usare un linguaggio appropriato». Tanto più il minore è “grande”, vicino all’adolescenza, tanto più il suo pensiero verrà preso in considerazione.

5 marzo 2017

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