Claudia Pandolfi, due volte mamma: «Date libertà ai figli»

La fiction s’intreccia con la realtà. La popolare attrice, impegnata nello schermo e nella vita nel ruolo di madre di giovanissimi, ci regala pillole di riflessione su come affrontare in famiglia lo tsunami dell’adolescenza



di Roselina Salemi

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Claudia Pandolfi (Foto Elisabetta A. Villa/Getty Images)


«Fare i genitori non è soltanto complicato e impegnativo, è stressante. Lo è sempre stato, ma oggi di più. Bisogna imparare l’esperanto delle emozioni. L’adolescenza, quando i figli cominciano a rivendicare le loro scelte può far paura». Claudia Pandolfi, popolarissima per i ruoli di Alice Solari di Un medico in famiglia e Giulia Corsi in Distretto di polizia, vista anche nella serie Netflix Baby, riassume così le convinzioni (sue) che ha trasferito nella protagonista della commedia surreale ma non troppo di Rolando Ravello È per il tuo bene (in streaming su Prime Video), remake di un film spagnolo del 2017, campione d’incassi.

Lì il problema sono i fidanzati delle figlie. La sua è innamorata di un noto sciupafemmine, coetaneo del padre, burbero operaio che non intende accettare la situazione. Un bel problema. Messa a dura prova dal carattere “ingestibile e selvatico” del marito, Claudia Pandolfi (Alice nella finzione) si fa in quattro per tenere assieme i pezzi della famiglia e fracassa piatti per sfogarsi.

Nella vita reale il temperamento è simile, senza lanci di stoviglie per fortuna, anche se, madre di due maschi, Gabriele (2016) e Tito (2006), ammette i momenti critici. Sull’essere genitori e affrontare l’adolescenza riflette parecchio, anzi usa le sceneggiature, da quella di Baby con le sue ragazzine inquiete, all’ultima interpretazione, quasi come sedute dall’analista.


Ci vuole spiegare meglio?

«Capire i figli è un’impresa. Decifrarli è un’impresa, e per farlo bisogna prima essere consapevoli di chi siamo, noi genitori. Conoscersi. Io l’ho sempre fatto e continuo a farlo confrontandomi con i personaggi che interpreto, altro che psicoanalisi. Grazie al mestiere che ho scelto, lavoro su me stessa, imparo a domare la mia impulsività, ad accettare l’evidenza. Può sembrare curioso, ma per fare i genitori bisogna essere un po’ attori. Sperimentare ruoli diversi, guardarsi da fuori. Un figlio non è l‘acqua dentro un bicchiere, non assume la sua forma. Cambierà di stato per sfuggirti, diventerà solido, diventerà vapore. Insomma, i figli crescono e tu, padre o madre, devi dare loro gli strumenti necessari, poi loro faranno da soli. Chi non capisce questo passaggio avrà problemi».


Lei come si regola?

«Io non posso che partire dalla mia storia. Ho avuto un papà meraviglioso che mi ha sempre detto: se è questo che vuoi (si riferiva a lavoro di attrice), fallo pure. Non ho avuto limiti, né pregiudizi. Ero vivace, sana, non bizzarra, ho iniziato la mia carriera quando non c’erano veline, internet e cellulari. Avevo 17 anni, ora ne ho 45. Sono sempre stata libera e credo perciò nella libertà dei figli. Credo che la loro salvezza valga tutto. Sono pronta, mi auguro, ad accompagnare Gabriele, 13 anni e mezzo, nella sua adolescenza. Ogni tanto penso: sta per tirar fuori i fucili. È un’acqua cheta, ma quella, si sa, smuove i ponti. Per ora, quando ce l’ha con me, dice soltanto: “Mamma, sei antipatica”. Forse sono antipatica…».


In questa età di passaggio come si riesce a comunicare? È faticoso?

«Lo stress dei genitori esiste. L’angoscia di fare la mossa sbagliata, di concedere poco o troppo. Il desiderio di disegnare il loro futuro. La necessità di vivere con un’epoca che ha abbattuto una quantità di schemi e regole. Come dice Woody Allen, la vita è una commedia scritta da un sadico, è meravigliosa e orrenda, e non c’è niente di facile. Ho miei momenti di nichilismo, di incertezza, di solitudine. Cerco di cogliere l’attimo giusto, di trovare la lunghezza d’onda per sintonizzarmi, e già questo è importante. Se mi sono arrabbiata troppo – l’ultima volta ho fatto una scenata per un costume bagnato – sono disposta a chiedere scusa, a spiegare quello che faccio. I figli si viziano al bene e al male, e si viziano anche al comunicare. Se insisti e continui a provarci, qualche risultato arriva. Non sono la madre dell’anno, (anche se non lancio i piatti come nel film) ma sono autentica».


L’esperta di comunicazione non verbale Susana Fuster nel libro Figli che tacciono, gesti che parlano, sostiene l’importanza di decifrare le micro-espressioni, le smorfie, non solo le affermazioni. Lei come se la cava?

«Io cerco di essere al corrente, di capire che cosa succede. Oggi la società è piena di stimoli, di linguaggi in continua evoluzione, ci sono i social, sei molto esposto. I modelli di comportamento arrivano da moltissime direzioni, non puoi metterti a proibire e basta. I no ci possono stare, ma all’interno di una logica. Ai genitori si chiede uno sforzo supplementare. Nel film È per il tuo bene, tre padri non capiscono (e rifiutano) l’autonomia delle figlie. C’è quella che ama un’altra ragazza, quella che ama il rapper e la mia, un coetaneo del padre. Non sono situazioni così pazzesche, capitano nella vita di tutti i giorni. Ma sì, i figli hanno un codice, sono d’accordo, e se li giri, trovi il libretto delle istruzioni. Più che mettere loro sotto la lente di ingrandimento, devi metterti tu in ascolto, fare periodicamente degli “aggiornamenti di sistema”. Niente è acquisito una volta per tutte».


Ci fa un esempio delle sue scelte, del suo modo di essere madre?

«Sono orgogliosa di come Gabriele ha vissuto la nascita di Tito, il fratellino nato quando lui aveva dieci anni. Non c’è stato l‘”accollo”. Non ho ragionato pensando: è abbastanza grande per occuparsi di lui e abbastanza piccolo per obbedire senza discutere. Ho pensato il contrario. È grande per capire e piccolo per fargli sentire il “peso” del fratello. E questo ragionamento ha pagato, oggi, nel rapporto tra loro e con me».


Pensa di superare l’adolescenza di suo figlio Gabriele senza drammi?  Ci sono storie tremende di rifiuto dei genitori, di ribellione, di rabbia anche in famiglie molto normali. C’è un consiglio che darebbe?

«Io so che tutto può succedere. Il processo di demolizione del genitore ci deve essere (basta che non faccia troppo male, che non ci vada troppo pesante, almeno lo spero). Aspetto al varco. So che Gabriele mi metterà in discussione ed è giusto così. L’ultimo “aggiornamento” sarà un rapporto tra adulti. Comincio, rispettando la sua privacy e consiglio a tutti di farlo. Sembra scontato, ma non sa quante madri entrano nella camera dei figli senza bussare e frugano con la scusa del riordino! Non bisogna invadere quel piccolo spazio privato, anche se ci può essere la curiosità o la tentazione. Io penso che il rispetto ti ritorni, alla fine. Gabriele ha un temperamento fantastico, non farà cose terribili. Magari mi darà uno sciroppo soporifero, toh….».



COME CAPIRE IL LINGUAGGIO DEI LORO GESTI

Esiste il naso di Pinocchio? Che cosa significa se tuo figlio dice sì, ma poi incrocia i piedi e le braccia? Se fa quel sorrisetto indecifrabile che non promette bene? Ah, saperlo! Ma oggi è possibile con l’aiuto di Susana Fuster, terapeuta spagnola esperta di comunicazione e comportamento non verbale. Il suo libro Figli che tacciono, gesti che parlano – Come capire ciò che gli adolescenti dicono senza parole (14,90 €) appena uscito da Salani, è ricco di fotografie di posture e smorfie, disegni e schemi, che permettono di “tradurre” le microespressioni, e perciò di migliorare l’empatia.

Camminare con i pugni chiusi è segno di preoccupazione, nascondere le mani durante una conversazione indica scarso coinvolgimento, stare seduti all’indietro esprime rifiuto. Il corpo parla e non mente, sostiene Fuster. Basta prestare la giusta attenzione a quello che dice. E studiare. Siete pronti?



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Articolo pubblicato sul n. 20 di Starbene, in edicola e nella app dal 14 luglio 2020


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