Barbara Bonansea: “Noi che stiamo scrivendo la storia del calcio”

Dolce fuori dal campo, micidiale sotto rete. Goleador della Nazionale femminile, si racconta a Starbene



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(Testo raccolto da Piero Giannico)


Abbiamo riportato l’Italia del calcio femminile ai Mondiali vent’anni dopo l’ultima qualificazione. Giocheremo in Francia, l’anno prossimo. Sarebbe stata una festa al completo se solo i ragazzi della Nazionale maschile avessero battuto la Svezia qualche mese fa. Sappiamo tutti, invece, come sia andata a finire: esclusi dai Mondiali che si stanno giocando in Russia. Peccato!

Per quanto mi riguarda, mai avrei immaginato un futuro su un campo da calcio, per di più un futuro di successo. Oltre al sogno della qualificazione ai Mondiali conquistato con la Nazionale, in questa stagione ho vinto lo scudetto con la Juventus Women (la sezione femminile della Juve, ovvero la squadra per cui ho sempre tifato).

La mia prima tifosa è mia madre

E pensare che mia mamma Maria Maddalena non voleva che giocassi a calcio, per paura che mi facessi male. Lo considerava il classico sport da uomini. Nulla di femminile, niente eleganza.

Oggi è lei la mia prima tifosa, mi segue passo passo in tutto e non si perde nemmeno una mia partita, perché ha capito che anche le donne possono fare emozionare tirando calci a un pallone. Adesso poi, che siamo diventate (quasi) il vanto della Nazione!

I nostri gol, come quelli che abbiamo messo a segno contro il Portogallo per qualificarci ai Mondiali, hanno dimostrato che anche noi ragazze possiamo raggiungere traguardi impensabili, nonostante il calcio femminile non sia considerato uno sport professionistico. Altro che i milioni di euro che guadagna Cristiano Ronaldo (a proposito, è lui il mio calciatore preferito e uno dei miei sogni è incontrarlo).

Noi donne, però stiamo provando ad alzare la voce, a chiedere più diritti, i diritti che hanno i lavoratori, a cominciare da quello al periodo di maternità.


Quell'infortunio nel momento clou

Come ho cominciato? Gioco a calcio da quando avevo 5 anni. Ho iniziato nel Bricherasio, squadra di un piccolo centro della Val Pellice, alle porte di Torino, la stessa dove giocava mio fratello maggiore Giorgio. Ma da ragazza immaginavo che sarei finita a lavorare in azienda e invece la vita ha cambiato il mio cammino.

Ed eccomi qui a fare l’attaccante esterno. Nonostante i grandi timori di mia madre, mai un infortunio serio, al massimo una banale contrattura. Fino a quest’anno, quando sono rimasta fuori tre settimane per un paio di lesioni al bicipite femorale. Stavo male psicologicamente, perché mi sono fermata nel momento in cui la Juventus, in lotta per lo scudetto, aveva bisogno di me: quello stop non ci voleva proprio.

Ho sofferto e pensavo solo a rientrare più velocemente possibile. Ho dato il massimo anche se non ero in campo: sono rimasta vicina alla squadra, ho seguito rigidamente la tabella di riabilitazione del fisioterapista, ho continuato a mangiare in modo corretto. Insomma, a essere un’atleta. Proprio come se stessi giocando. E sono rientrata in extremis per la penultima gara di campionato. È stata una liberazione. I successi raggiunti poco dopo il mio rientro sono stati il coronamento di sacrifici e rinunce.

La volta che ho messo i tacchi

Non ho mai sofferto la fatica, non fumo, non ho vizi, conduco una vita normale, da ragazza normale. Fare vita da atleta, almeno per me, nel quotidiano significa evitare le serate in discoteca, dormire tra le otto e le nove ore di sonno a notte e non saltare mai un allenamento. Soprattutto quando giochi in Serie A, e a maggior ragione nella Juventus, lo stile di vita è la prima regola.

Noi ci alleniamo tutti i giorni dal lunedì al venerdì, dalle due alle tre ore a seduta. E il sabato giochiamo. Il martedì allenamento doppio: uno tecnico la mattina e una seduta di forza in palestra il pomeriggio utilizzando le macchine isoinerziali che permettono di allenare sia la fase di contrazione del muscolo sia quella di stiramento.

Lo so che molti ritengono le calciatrici troppo mascoline. Ma è un pregiudizio. Io ho voluto contribuire a sfatarlo: nel 2016, quando ho ritirato il premio come miglior giocatrice italiana al Gran Galà del calcio, unica donna tra i più famosi colleghi maschi, mi sono presentata indossando un vestito nero lungo e scarpe con i tacchi (le metto molto raramente perché mi creano fastidi a polpacci e caviglie). Il mio vero vezzo femminile, comunque, sono i capelli. Dai tempi in cui giocavo a Brescia a oggi li ho fatti crescere e in partita li lego e li blocco sulla fronte con una bandana colorata.

Anche noi facciamo gruppo

Molti mi chiedono se il rapporto tra calciatrici è come quello tra calciatori. Se noi donne riusciamo davvero a fare gruppo o se prevalgono gli individualismi. Prima di arrivare alla Juve, sono stata in altre due squadre. Il Torino, dove c’erano giocatrici vecchio stampo e nello spogliatoio vigeva un po’ di sano nonnismo, ma eravamo comunque una squadra omogenea e affiatata.

A Brescia, ho trovato invece un gruppo simile alla Juventus, senza un vero un leader di spogliatoio, ma il concetto di squadra era tutto. E non può che essere così: non dobbiamo essere per forza amiche, ma dobbiamo avere la consapevolezza di essere prima di tutto una squadra, per dare il massimo. Quando inforchiamo i parastinchi e scendiamo in campo, il nostro compito è onorare la maglia che indossiamo.

Cosa mi aspetto dal futuro

Sappiamo che ogni partita diventa uno spot, per le singole squadre, ma anche per tutto il calcio femminile, per il movimento. Un match è possibilità di attrarre sponsor, nuovi investitori e il calcio femminile nel giro due-tre anni avrà lo stesso appeal di quello maschile. Ne sono convinta.

Sale la competitività del campionato e avremo una Nazionale ancora più forte, anche grazie ai Mondiali, oltre a vivai meglio strutturati. Finora durante il campionato venivano a vederci due o tremila spettatori a partita. Ma già l’anno prossimo quando noi della Juventus disputeremo la Champions League il numero di tifosi sono certa che si triplicherà. Il solco è tracciato. Non ci resta che continuare a scrivere la storia del calcio femminile.



Un movimento in ascesa

Sono 23.196 le calciatrici tesserate per la Federcalcio (12.129 le under 18) e 659 le società registrate, delle quali 64 partecipanti ai campionati nazionali (Serie A e B). Sono 455 in tutto le gare ufficiali disputate dalla Nazionale italiana di calcio femminile nella sua storia: 257 le vittorie, 75 i pareggi e 123 le sconfitte.

Solo nell’ultimo anno le azzurre sono scese in campo in sette occasioni, perdendo solo una volta e imponendosi quattro volte. Dalla prossima stagione i campionati femminili di A e B non saranno più sotto la Lega dilettanti ma faranno riferimento a una nuova divisione della Figc, la Federcalcio.

Tuttavia, ciò non significa ancora che le donne siano riconosciute come professioniste al pari dei loro colleghi uomini. Boom di ascolti anche in tv per le azzurre con 1.482.202 di telespettatori per Italia-Portogallo, il match decisivo per la qualificazione ai Mondiali 2019 giocato l’8 giugno e trasmesso da Raisport.


Articolo pubblicato sul n° 28 di Starbene in edicola dal 26 giugno 2018


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