Dott. Federico Baranzini
Psichiatria - Federico Baranzini
Psichiatra e psicoterapeuta, ho sviluppato un approccio alla sofferenza mentale di tipo integrato che cerca di tenere conto sia degli aspetti biologici che di quelli più prettamente psico-socio-relazionali
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Psichiatria - Federico Baranzini
Buongiorno e grazie per aver portato un contributo con una domanda che tocca un tema di nicchia ma assai rilevante nella pratica clinica quotidiana, ossia il trattamento farmacologico del disturbo dismorfico corporeo (BDD). Mi fa piacere che lei abbia voluto condividere la sua esperienza, perché permette di discutere in modo più approfondito di un disturbo ancora troppo poco conosciuto, nonostante la sua forte carica invalidante e l’alto impatto sul funzionamento quotidiano. La vortioxetina, come forse sa, è un antidepressivo ad azione multimodale che ha dimostrato buoni risultati nel trattamento della depressione maggiore, in particolare per la sua capacità di migliorare le funzioni cognitive e il tono dell’umore senza effetti collaterali sessuali marcati. Tuttavia, nella mia esperienza clinica e anche secondo le linee guida più autorevoli, non rappresenta una prima scelta per il disturbo dismorfico corporeo, che ha una struttura sintomatologica molto vicina al disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) e richiede un approccio farmacologico mirato su quella dimensione. Da questo punto di vista, gli SSRI ad alto dosaggio (come fluoxetina, sertralina, fluvoxamina o escitalopram) sono considerati il trattamento di prima linea per il BDD. Questo perché sono in grado di modulare in modo più incisivo la componente ossessiva e intrusiva dei pensieri legati all’immagine corporea, spesso accompagnati da compulsioni più o meno manifeste. Nella mia pratica clinica, ho seguito diversi pazienti con quadri simili al suo che hanno tratto beneficio sostanziale da una terapia con SSRI, spesso dopo fallimenti parziali con altri antidepressivi meno specifici per questo spettro sintomatologico. Per quanto riguarda invece Norcapto, cioè nortriptilina, entriamo in un territorio diverso. Nortriptilina è un triciclico che viene usato soprattutto per la depressione con caratteristiche somatiche, in pazienti con sintomi resistenti, dolore cronico o in quadri misti. Tuttavia, non è un farmaco che abbia una documentata efficacia specifica nel disturbo dismorfico corporeo. Nella mia esperienza, e anche secondo la letteratura, i triciclici come nortriptilina trovano indicazione soprattutto in contesti in cui siano presenti aspetti di rallentamento, anergia o dolore somatico, ma non rappresentano una scelta razionale né efficace nel modulare le componenti ossessivo-compulsive del disturbo. Per questo motivo, se fosse un mio paziente, le direi che il passo più naturale sarebbe considerare un SSRI ad alto dosaggio, da valutare con attenzione insieme al suo psichiatra, tenendo conto della sua storia farmacologica pregressa, della tollerabilità ai farmaci, e della presenza di eventuali comorbidità. L’uso della psicoterapia, risulta inoltre fondamentale, spesso in modo complementare alla farmacoterapia, nel migliorare il vissuto corporeo e ridurre l’evitamento sociale. Ricordo un caso recente in cui una giovane donna, che inizialmente molto scettica verso l’uso di SSRI, ha avuto un netto miglioramento dei sintomi ossessivi e dell’isolamento sociale con sertralina 200 mg/die e psicoterapia individuale focalizzata sull'immagine corporea. Il miglioramento è stato lento ma costante, confermando quanto sia importante insistere su trattamenti mirati e costruiti sulla specificità del disturbo. La vortioxetina può non essere sufficiente per trattare in modo efficace un disturbo dismorfico corporeo. Un passaggio verso un SSRI mirato appare, in questo contesto, più coerente con le evidenze cliniche e le linee guida. Spero di esserle stato utile nell'orientare meglio la sua riflessione. Le auguro sinceramente di poter trovare una combinazione terapeutica che le consenta di stare meglio e di recuperare un rapporto più sereno con sé stesso e con il proprio corpo. Cordiali saluti, Federico Baranzini Psichiatra e Psicoterapeuta a Milano
Psichiatria - Federico Baranzini
Buongiorno, da quanto scrive i sintomi sembrano configurare un quadro clinico che va ben oltre un semplice disturbo di adattamento. Il suo vissuto di impotenza, inefficacia personale, desiderio di fuga, astenia, insonnia non responsiva, associato a difficoltà cognitive, richiede un approfondimento diagnostico. Alla luce di quanto descritto, sì, è assolutamente indicato consultare uno psichiatra, meglio se anche psicoterapeuta. Potrebbe essere necessario rivalutare il quadro clinico, la diagnosi e il piano terapeutico. Cordiali saluti, Federico Baranzini Psichiatra e Psicoterapeuta a Milano
Psichiatria - Federico Baranzini
Buongiorno, grazie per aver scritto e per aver condiviso un aspetto così delicato ma diffuso. Non è semplice riconoscere e raccontare una paura legata all’assunzione di farmaci, e il fatto che lo faccia dimostra quanto desideri affrontarla e curarsi. Se ho capito bene, le è stato prescritto il Prozac (fluoxetina), da assumere a giorni alterni, ma questa indicazione ha riattivato una forte fobia che la accompagna da tempo: una vera e propria ansia legata al solo pensiero di assumere medicinali. Sta già seguendo una psicoterapia, ma sente che la paura è troppo intensa per permetterle di iniziare la terapia farmacologica. Nella mia esperienza clinica ho incontrato diversi pazienti con una condizione molto simile alla sua. La paura di deglutire farmaci, o di ciò che il farmaco potrebbe provocare, può avere diverse origini: esperienze passate spiacevoli, ipersensibilità agli effetti collaterali, o semplicemente una forma di ansia anticipatoria molto potente. In alcuni casi può trattarsi di una fobia specifica, che va trattata con la stessa cura e gradualità con cui si affrontano altre forme di paura. Quello che spesso aiuta è un approccio basato su esposizione graduale: non partire subito con il farmaco, ma costruire una familiarità progressiva con l’idea e il gesto dell’assunzione. Un modo molto utile, in questo senso, può essere iniziare con integratori naturali, chiaramente sotto la guida di un medico. Ad esempio, utilizzare per un periodo capsule contenenti solo vitamine, melatonina o altri preparati anche a valenza ansiolitica, aiuta a riprendere fiducia nel proprio corpo e nel gesto stesso del prendere una compressa. Questo passaggio intermedio, che ho utilizzato spesso con alcuni miei pazienti, consente di normalizzare gradualmente l’atto di deglutire un prodotto senza il peso dell’ansia legata al “principio attivo”. In parallelo, si lavora in psicoterapia sull’aspetto emotivo e cognitivo della paura, e questo doppio livello – uno pratico e uno psicologico – porta spesso a risultati buoni in tempi non troppo lunghi. Accanto a questo, alcuni professionisti oggi iniziano a utilizzare anche strumenti di realtà virtuale per aiutare le persone a esporsi gradualmente alle situazioni che temono. In contesti protetti e guidati, si simula il momento dell’assunzione, proprio per aiutare il paziente a ridurre la risposta di allarme. È una possibilità in più, che magari può valutare con il suo terapeuta. Il punto fondamentale è che non è necessario “buttarsi” subito. Anzi, forzarsi troppo può rafforzare la paura. Procedere per gradi, con piccoli passi, è spesso la via più sicura e rispettosa dei suoi tempi. Le suggerisco di parlare con chi la segue in psicoterapia di questa possibilità. L’ho visto accadere più volte: pazienti inizialmente paralizzati dalla paura, che sono poi riusciti a iniziare una cura e ad avere un significativo miglioramento. Anche per lei può essere possibile, senza fretta, con il giusto sostegno. Spero che queste riflessioni le siano utili e le auguro davvero di trovare presto un modo per affrontare e superare questa difficoltà. Cordiali saluti, Federico Baranzini Psichiatra e Psicoterapeuta a Milano

