Dislessia e disturbi di apprendimento

La dislessia evolutiva è un disturbo specifico di apprendimento che riguarda la capacità di leggere in modo corretto e scorrevole. In chi ne è colpito è evidente una fatica nella lettura ad alta voce nonostante l’intelligenza sia nella norma e non si riscontrino altri fattori individuali (deficit neurologici e sensoriali, disturbi della sfera emotiva) o […]



La dislessia evolutiva è un disturbo specifico di apprendimento che riguarda la capacità di leggere in modo corretto e scorrevole. In chi ne è colpito è evidente una fatica nella lettura ad alta voce nonostante l’intelligenza sia nella norma e non si riscontrino altri fattori individuali (deficit neurologici e sensoriali, disturbi della sfera emotiva) o ambientali (svantaggio socio-culturale, inadeguata istruzione) in grado di spiegare il problema: in breve, le difficoltà di lettura sono significativamente inferiori a quelle attese. La dislessia, riscontrabile sia nel bambino sia nell’adulto, si riferisce allo sviluppo di abilità mai acquisite (la persona non ha mai imparato a leggere adeguatamente) e si differenzia dalla situazione in cui il disturbo indica la perdita delle abilità in seguito a danno cerebrale (dislessia acquisita). La dislessia riguarda la “decodifica” del testo scritto, cioè il riconoscimento del segno e la sua conversione in un suono, aspetto che va distinto dalla “comprensione” di quanto letto, cioè del suo significato. Per quanto riguarda la possibile esistenza di un disturbo specifico di comprensione accanto al profilo di dislessia, non è stato tuttora raggiunto un consenso tra gli esperti del settore. Così come gli altri disturbi specifici di apprendimento (disortografia e disgrafia per quanto attiene alla scrittura, discalculia per difficoltà legate al calcolo), la dislessia è una patologia di origine neurobiologica: questo vuol dire che si tratta di un elemento costitutivo, che accompagna la persona da sempre ed è evidente fin dai primi anni di scolarizzazione, ma anche che è espressione di un particolare corredo genetico ed è quindi trasmissibile assieme ad altri tratti distintivi della persona.

I dati ottenuti con particolari tecniche di indagine quali le neuroimmagini funzionali e in particolare la risonanza magnetica funzionale (fMRI) hanno evidenziato nei dislessici un diverso comportamento (attivazione) delle aree cerebrali coinvolte nell’elaborazione del linguaggio scritto. È importante sottolineare come, nel determinare la comparsa del disturbo, i fattori biologici interagiscano con quelli ambientali; altrettanto importante risulta la distinzione tra la dislessia e le semplici difficoltà di lettura (più lievi e di diversa natura) o variazioni nell’abilità di lettura. Va prestata attenzione a tutte le situazioni etnicoculturali particolari (immigrazione, adozione e così via), in cui è elevato il rischio sia di falsi positivi (persone a cui viene diagnosticato il disturbo, mentre la cattiva prestazione nella lettura sarebbe meglio interpretabile facendo riferimento al contesto) sia di falsi negativi (casi in cui non viene diagnosticato il disturbo, ritenendo che la storia personale sia sufficiente a spiegare i problemi di lettura).

In Italia si stima che i dislessici rappresentino circa il 2,5% della popolazione: almeno un milione e mezzo di persone (dati dell’Associazione Italiana Dislessia, 2007).


Sintomi

Fin dall’inizio del percorso scolastico, il bambino dislessico fa fatica nell’imparare a riconoscere le lettere dell’alfabeto scritto (grafemi) e a fissarne la corrispondenza con i suoni (fonemi). Inoltre le difficoltà tendono a persistere negli anni seguenti, a differenza di altre situazioni in cui il ritardo di apprendimento iniziale viene successivamente ben recuperato.

La lettura non diventa, come invece accade per la maggior parte dei coetanei, un processo automatico e continua a richiedere molte risorse di attenzione e cognitive. Nonostante l’impegno, però, il bambino rimane molto lento nella lettura ad alta voce e può compiere alcuni errori tipici:

  • inversione di lettere e sillabe (per esempio viene letto “li” al posto di “il”, “talovo” al posto di “tavolo”), problema che si verifica soprattutto con le sillabe complesse (-stra, -for, -sfo, -sva, -ris...);
  • sostituzione di lettere che differiscono per il loro “orientamento” spaziale (p/b, d/q, a/e, b/d...) oppure per piccoli particolari (m/n, f/t, c/e…);
  • sostituzione di lettere che corrispondono a suoni simili dal punto di vista uditivo (f/v, d/t, p/b, m/n, s/z, c/g, l/r);
  • omissioni di lettere, sillabe, parole e salti di riga (per esempio viene letto “pote” al posto di “ponte”, “pazzo” anziché “palazzo”).

In alcuni casi l’errore di decodifica comporta la produzione di altre parole aventi un loro significato (come è il caso di errori visivi del tipo “mattina”/“matita” o morfologici come “andare”/“andato”), in altri casi vengono invece prodotti neologismi, cioè parole inesistenti (“corvo” diventa “carvo”, “pasto” “spato” e così via). Sono spesso presenti anche errori di accentazione e di raddoppiamento (errori fonetici) nella decodifica di gruppi grafemici complessi a ortografia non trasparente (-sc, -gn, -gl, -gh). Sebbene in letteratura siano presenti numerose ipotesi relative ai diversi sottotipi di dilessia (fonologica, superficiale ecc), attualmente non esiste un consenso unanime in merito alle possibili classificazioni.

La difficoltà nella lettura, più o meno grave, si accompagna spesso a problemi nella scrittura (ortografia e aspetto grafomotorio), nel calcolo e talvolta in altre attività mentali (inversione di cifre, memorizzazione di informazioni in sequenza, gestione nel tempo e nello spazio).

Attualmente non ci sono evidenze sull’esistenza di un’unica causa comune a più disturbi specifici di apprendimento (per esempio per dislessia e discalculia), i quali perciò vanno interpretati come indipendenti (comorbilità).

La contemporanea presenza di più disturbi in assenza di una relazione causale tra essi comporta anche, a livello di intervento, la necessità di proporre attività distinte, specifiche per le diverse caratteristiche cognitive: in caso di compresenza di dislessia e discalculia, allora, andranno eseguiti esercizi specifici per ciascun disturbo.

La dislessia (non specifica) può anche presentarsi in presenza di altre patologie (disprassia, disturbo del comportamento e dell’umore, disturbo da deficit di attenzione/iperattività, disturbo d’ansia e così via), quando queste non sono sufficienti a spiegare il deficit di lettura. In tal caso è importante riconoscere la situazione di co-occorenza senza inferire nessi causali dalla condizione clinica del disturbo di apprendimento. Spesso l’insuccesso scolastico genera scarsa autostima e demotivazione verso l’apprendimento. Il disagio psicologico è maggiore nel caso in cui le difficoltà specifiche non vengano individuate precocemente e gli errori vengano attribuiti a scarso impegno, distrazione, disinteresse.


Diagnosi

La diagnosi precoce della dislessia è importantissima ed è parere clinico condiviso tra gli esperti che più tardi la difficoltà del bambino viene riconosciuta, più è complesso il protocollo di aiuto. La diagnosi deve essere fatta da specialisti esperti, mediante appositi test che permettano di capire la natura e l’origine della fatica che il bambino compie nell’apprendimento della lettura, evitando gli errori più comuni e soprattutto la colpevolizzazione del bambino stesso.

L’impressione comune secondo cui il bambino “non impara perché non si impegna” o l’attribuzione della causa a problemi psicologici sono errori di valutazione che possono determinare una dinamica psicologica pericolosa dal punto di vista educativo, alla base di sofferenze, frustrazioni, demotivazione, disistima e altre problematiche.

Relativamente alla definizione del profilo diagnostico i punti condivisi dalle diverse associazioni cliniche e di ricerca nel nostro paese sono i seguenti:

  1. somministrazione di prove standardizzate di lettura a più livelli (parole, non-parole, brano);
  2. valutazione congiunta dei due parametri rapidità/correttezza;
  3. compromissione significativa di almeno uno dei due parametri menzionati.

La proposta più recente (2007) indica che, in caso di caduta significativa a una sola prova, sia il giudizio clinico a determinare la decisione di formulare o meno la diagnosi di dislessia, tenendo in considerazione l’intero quadro osservativo.

Nel rispetto della variabilità individuale dei ritmi di apprendimento, l’età minima in cui è possibile effettuare la diagnosi di dislessia coincide con il completamento del secondo anno di scuola primaria, ma già dalla fine del primo, in presenza di profili funzionali compromessi e di fattori di rischio (ritardo o deficit del linguaggio in età prescolare, familiarità per il disturbo di lettura) è possibile porre una ragionevole ipotesi diagnostica.

La scelta degli strumenti di valutazione è lasciata alla discrezionalità del clinico, purché i test utilizzati possiedano accettabili caratteristiche psicometriche (adeguata popolazione di riferimento, norme aggiornate, presenza di soddisfacenti indici di attendibilità e validità). La procedura necessaria per la diagnosi clinica prevede una prima fase di orientamento in cui, tenendo conto dell’anamnesi, del bilancio di salute operato dal pediatra e delle altre informazioni raccolte, si valuta il livello intellettivo e si somministrano le prove specifiche di lettura, in modo da verificare la presenza dei criteri di inclusione.

In una seconda fase sarà possibile procedere alla conferma diagnostica mediante l’esclusione puntuale della presenza di malattie sensoriali, neurologiche, cognitive e di gravi psicopatologie.

È opportuno completare il quadro diagnostico dal punto di vista funzionale, approfondendo sia gli aspetti deficitari sia quelli integri nelle altre abilità fondamentali o complementari (percettive, prassiche, attentive ecc.).


Corso evolutivo e prognosi

La prognosi del disturbo va considerata a più livelli:

  • evoluzione a distanza dell’efficienza del processo di lettura;
  • qualità dell’adattamento;
  • presenza di un disturbo psicopatologico;
  • avanzamento nella carriera scolastica.

I dati di ricerca sono incoraggianti: su dieci persone con diagnosi certa di dislessia in età evolutiva, sette recuperano la capacità di usare la letto-scrittura nel corso della scolarizzazione e solo tre di esse continuano ad avere pesanti conseguenze in età adulta (Stella, 2004).

Gli esiti sono però ben diversi se il recupero è totale (due su dieci hanno prestazioni di lettura pari ai normolettori) o se il soggetto è “compensato” (continua a lamentare difficoltà soggettive di lettura non evidenziate dalle prove, oppure legge sufficientemente bene per studiare ma risulta ancora deficitario in velocità o correttezza).


Fattori di rischio

Due sono i principali fattori che predicono il rischio di deficit di lettura:

  1. presenza di un disturbo del linguaggio in età prescolare;
  2. presenza di problemi di lettura nei familiari (familiarità).

È frequente che un bambino che abbia imparato a parlare con ritardo consistente rispetto ai coetanei manifesti successivamente difficoltà nell’apprendimento della letto-scrittura, pur avendo avuto un buon recupero linguistico; entrambe le manifestazioni sono da considerarsi effetto della particolare struttura neurobiologica coinvolta. Un’adeguata rieducazione in età prescolare non sembra poter evitare la dislessia, ma sicuramente contribuisce a ridurre il deficit e consente un miglior avvio all’alfabetizzazione. A livello scolastico, già nell’ultimo anno di scuola dell’infanzia andrebbero condotti screening da parte degli insegnanti stessi con la consulenza di professionisti esterni; in caso di persistenti difficoltà, anche se alcune attività pedagogiche mirate possono contribuire al potenziamento dei prerequisiti, è opportuna la segnalazione ai genitori e l’invio ai servizi sanitari per l’età evolutiva. Per quanto riguarda l’anamnesi familiare, in assenza di diagnosi sono da considerarsi indicatori di rischio ripetute bocciature e la riferita incapacità di leggere e scrivere (Consensus Conference, 2007).


Trattamento

Un trattamento è da ritenersi efficace se migliora il processo più di quanto atteso dall’evoluzione naturale. Va regolato sulla base del profilo emerso dalla diagnosi, va effettuato il più precocemente possibile e va interrotto quando non sposta la prognosi naturale del disturbo.

Dalle evidenze disponibili, i trattamenti più efficaci nel contrasto alla dislessia sembrano essere al giorno d’oggi quei programmi che, anche sotto forma di software, consentono di recuperare la correttezza e automatizzare la lettura attraverso la presentazione temporizzata di brani che possono essere letti per sillabe, morfemi, parole.


Strumenti compensativi e dispensativi

In base al progetto riabilitativo, va deciso quando e come usare appositi strumenti compensativi, vale a dire quei supporti tecnologici che possono semplificare le attività complicate dal disturbo dislessico (sintesi vocale, videoscrittura, facilitazioni informatiche e così via). A scuola è fondamentale invece l’utilizzo di strumenti dispensativi, come prescrive la circolare Prot. n. 4099/A/4 emanata dal Ministero della Pubblica Istruzione il 5/10/2004 (vedi riquadro), che raccomanda agli insegnanti di adottare adeguate misure sia nella realizzazione delle attività sia in fase di valutazione. Esiste inoltre una proposta di legge (www.aiditalia.org/it/una_legge_per_la_dislessia.html) per riconoscere la dislessia in modo sistematico e regolamentato, riferendosi agli analoghi progetti messi a punto in altri stati della Comunità Europea. [D.L.]