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Abbiamo dimenticato l’arte della convivenza

Ci lamentiamo di essere soli, ma poi siamo sempre più insofferenti verso gli altri. È il grande paradosso della nostra società, osservano gli esperti

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Insofferenza. Tanta, tantissima insofferenza. A stare con gli altri, in compagnia per quattro chiacchiere, a cena con i parenti, fare la coda al supermercato, con il marito, e pure con noi stessi. Non sappiamo più convivere e condividere. In Io, tu, noi. Vivere con se stessi, l’altro, gli altri (Utet, 14 euro) lo psichiatra e psicoanalista Vittorio Lingiardi sostiene che oggi siamo come intrappolati. Desideriamo amici calorosi, buone relazioni in ufficio, rapporti affettuosi in famiglia. Ma nello stesso frangente la difficoltà a confrontarsi, a stare insieme, è enorme. E di questa tracimante intolleranza possiamo autoincolparci.

Perché la convivenza con gli altri nasce dentro di noi, dunque da noi nasce l’intolleranza a stare in società. «Il mondo delle convivenze è circolare e concentrico. Se non viviamo con noi stessi, dialogando con i molti aspetti che ci abitano, non sappiamo vivere con il mondo», spiega l’autore. Oggi più che mai: siamo rigidi, individualisti e non riusciamo a trovare un equilibrio tra la curiosità di scoprire l’altro e la paura del confronto, tra la nostalgia del passato e l’inevitabile evoluzione della vita.

Anche per effetto della mancanza sempre più forte di rapporti reali e fisici. «Con l’avvento di una società più fluida e lo sviluppo delle relazioni virtuali con le sue multiple connessioni, non si capisce più chi siamo (non c’è più un sé unico, centrale e coeso) visto che mostriamo in rete una molteplicità di facce», commenta lo psicoanalista. E la frantumazione d’identità accompagnata dalla velocità nell’aprire e chiudere le finestre virtuali (una mail di lavoro mentre mandiamo un messaggio a un’amica), non fa altro che «aumentare le difficoltà di convivere, di riconoscere l’altro, di abitare il mondo».


La felicità è reale solo se condivisa
«I sintomi di questa malattia collettiva sono sotto gli occhi di tutti», continua Marzia Cikada, psicologa e psicoterapeuta. «Mi viene in mente lo scrittore Calvino, che raccontava, ne Le città invisibili, come l’inferno è quello che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Attenzione, però: chiudere sempre di più gli spazi comuni – anche minimi, come il saluto ai conoscenti – e vedere l’altro come un “nemico” ci toglie risorse interiori importantissime per il nostro benessere. Per citare un grande classico come il film Into the wild - Nelle terre selvagge, “cerchiamo noi stessi in solitudine ma la felicità è reale solo se condivisa». Altrimenti, come sta succedendo, c’è sofferenza e tristezza, impotenza e frammentazione. Non a caso, oggi la dimensione esistenziale prevalente è investita da un grande paradosso: vedo moltissime persone che fanno fatica a stare con la gente ma, nel contempo, soffrono la solitudine, perché non riescono a godere neanche della propria compagnia».


Si riparte dall’empatia
Si è smarrita, in definitiva, l’arte della convivenza. Peraltro, per una distrazione solo all’apparenza formale. Trascuriamo quei gesti cordiali, quelle parole cortesi che abbelliscono una giornata. Fermarsi con un anziano alla fermata del bus, rivolgersi alla barista, chiedendo come sta. «Ci dimentichiamo che rappresentano occasioni di umanità, piccole perle che rendono più ricca la nostra vita», dettaglia la psicoterapeuta. «Invece con il telefono in mano tiriamo dritto e gli altri, semplicemente, non esistono. La dimensione di comunità, quello che siamo insieme, si appiattisce sotto i nostri bisogni. Il buongiorno, il sorriso sono ormai una rarità».

Mentre in questo falò che è la società del piacere da soddisfare in fretta, dell’obiettivo da raggiungere, dell’egoismo cieco, servirebbe un’instancabile azione quotidiana per il noi. Dalla riscoperta dell’empatia, in poi. «Raccontiamoci, proviamo interesse per chi abbiamo accanto. Se facciamo spazio l’uno all’altro, scopriremo che esistiamo solo se qualcuno ci vede», suggerisce la dottoressa Cidaka. «Pure la negoziazione il confronto continuo sono ingredienti di condivisione e, quindi, felicità». E con l’individualismo, come la mettiamo? Un po’ fa bene, ci ricorda di noi, ci spinge alla determinazione necessaria. Ma in quantità sopportabile dagli altri.


Sempre più connessi, sempre più isolati

Secondo i dati presentati al congresso internazionale, “Uscire dalla solitudine – Costruire relazioni” di Telefono Amico onlus ci sentiamo sempre più soli. L’associazione, solo nel 2018, ha ricevuto oltre 13mila chiamate da persone che soffrivano la mancanza di relazioni. «Sono uomini, soprattutto, tra i 45 e i 65 anni, spesso single. Hanno semplicemente bisogno di contatto, fatto assai singolare in un momento di iperconnesione come il nostro», spiega Cristina Rigon, vicepresidente di Telefono Amico onlus. Secondo la ricerca, poi, è cresciuto il numero di giovani che raccontano di sentirsi soli nonostante abbiano, apparentemente, molte relazioni. Aspetto che, per i ricercatori dell’Università di Austin, inciderebbe anche sulla salute. Chi ha rapporti sociali e riesce a convivere serenamente con chi lo circonda tende a essere fisicamente e mentalmente più sano.


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Articolo pubblicato sul n. 4 di Starbene in edicola dal 7 gennaio 2020

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