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Ma serve fare psicoterapia nella terza età?

La risposta è sì. E lo sanno bene i tanti anziani che decidono di farla, per affrontare le trasformazioni del corpo e le paure scatenate dal tempo che passa

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Oggi, dopo una certa età, non si pensa più solo al corpo e a come farlo funzionare, nonostante gli acciacchi. Si è capito che occorre prendersi cura anche della mente, delle emozioni e delle dinamiche relazionali.

Non a caso, negli ultimi anni, le richieste di un supporto psicologico da parte di over65 sono aumentate, spingendo geriatri e psicoterapeuti a considerare in maniera diversa l’approccio alle esigenze interiori di una fascia della popolazione sempre più numerosa e longeva, circa 13 milioni di italiani.


È l’inizio di un nuovo ciclo

Che il trend sia d’attualità lo dimostra il fatto che è appena stato presentato il primo Libro Bianco sui bisogni psicologici degli anziani, curato dall’Ordine degli psicologi della Lombardia. «Dieci anni fa non sarebbe venuto in mente a nessuno, perché questa fascia di popolazione aveva caratteristiche molto diverse da quelle odierne», commenta Gianluca Castelnuovo, professore di psicologia clinica dell’anziano all’Università Cattolica di Milano e curatore del testo.

«Oggi, non solo esiste la psicogeriatria, non solo il sostegno psicologico è diventato parte della gestione delle cronicità in ospedale e nelle strutture per anziani, ma gli studi privati accolgono un numero sempre maggiore di over65. Molti stereotipi sono caduti: prima le persone si sentivano condannate all’invisibilità, alla sopportazione e all’immobilismo. Ora non è più così».

Prosegue Maria Rapolla, responsabile di psicogeriatria del Centro Sant’Ambrogio del Fatebenefratelli di Cernusco sul Naviglio: «Questo periodo esistenziale viene vissuto dai diretti protagonisti non come il tratto finale della vita, ma come l’inizio di un ciclo differente, di una fase da attraversare nel migliore dei modi, non a margine della società ma con ruoli moderni. La psicologia dunque può rispondere in maniera efficace a questi nuovi bisogni».

Anche perché la Società italiana di geriatria e gerontologia ha fatto slittare la definizione “terza età” dai 75 anni in poi.


Il lavoro degli esperti? Stimolare

Ma a una certa età qual è la motivazione che porta sul lettino dello psicologo? «Gli ultrasessantenni si trovano spesso in una situazione in cui rimangono improvvisamente soli, smettono di lavorare, magari escono di meno e iniziano a preoccuparsi di più per la propria salute», prosegue la dottoressa Rapolla.

«A fronte di una condizione cognitiva ancora ottima, i problemi possono essere di varia natura, ma a differenza di un tempo, oggi ci sono sempre più persone che decidono di trovare attivamente una soluzione. E questo è sicuramente la dimostrazione di una nuova vitalità».

La psicologia dell’invecchiamento, infatti, promuove il benessere mentale, sostenendo l’autostima, l’equilibrio emotivo a fronte di inevitabili trasformazioni, fornendo spunti per vivere anche una rinnovata sessualità. Inoltre, stimola le funzioni cognitive e spinge alla socializzazione. E il lavoro che gli esperti sono chiamati a svolgere con un paziente attempato è molto diverso.

«Si tratta di una psicoterapia supportiva e relazionale. Non di un percorso psicoanalitico del profondo», aggiunge Rapolla. «A 65 anni ci si conosce già e, comunque, non è necessario rimettersi in discussione. Servono invece spunti e stimoli per ridare qualità alle giornate. Per reinventarsi anziché rassegnarsi al senso di inadeguatezza».


Ci sono problemi specifici

Certi temi sono fondamentali: come superare un lutto, accettare la pensione, affrontare la paura della morte. «Tutti passaggi che creano disagi che è giusto affrontare con gli strumenti adatti. La figura dello psicoterapeuta diventa centrale perché aiuta chi è in difficoltà a liberare le emozioni», conclude il professor Castelnuovo.

«Il lavoro sulla reminiscenza, per esempio, è importantissimo: attraverso i ricordi si riesce a fare il punto su quanto di bello c’è stato nella propria vita, a focalizzare le proprie risorse, ma anche ad affrontare sensi di colpa, ferite, sentimenti non chiariti».

Il passo successivo? Capire che entrare nello studio di uno psicologo non è un capriccio né un gesto che deve far paura, ma un tassello fondamentale per il benessere di cui ogni persona ha diritto.



Per essere liberi d’invecchiare

«Mi fermo in attesa di una dolorosa invisibilità?», si chiedeva la sociologa Marina Piazza nel giorno del suo 70° compleanno. Non si è fermata, ha cambiato passo. E ora ci regala un nuovo saggio La vita lunga delle donne (Solferino, 16 €): un’analisi lucida della dimensione in cui, ora, possono trovarsi le over65.

Dalla lettura emerge che questa è l’età in cui ci è data la possibilità di ripensarsi, di reinventarsi e di interrogarsi su cosa riserva questa tappa della vita.

“La vecchiaia è un passaggio che fa paura se ci consideriamo oggetti che smettono di suscitare desiderio e ammirazione, ma non se ci pensiamo come soggetti pronti a scoprire che ci sono ancora molte cose bellissime da fare. Non felici di invecchiare, ma libere di invecchiare”, scrive l’autrice.



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Articolo pubblicato sul n. 44 di Starbene in edicola dal 15 ottobre 2019


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