Perché se ti annoi vivi meglio ed evolvi

Che barba, che monotonia, è il tormentone collettivo della nostra società. Niente ci cattura se non è nuovo, luccicante e immediato. Gli spazi vuoti non sono ammessi. Quando invece ne abbiamo diritto per evolvere, come rivendica una studiosa



288296

Sempre legata al mal di vivere, sempre vista come un segnale negativo di declino dei tempi, dalla noia si fugge, anzi è obbligatorio scappare. Non è bene fermarsi, è l’imperativo che scandisce la vita di un bambino così come quella di un adulto, alla costante ricerca di giornate senza momenti liberi, di tempi calcolati, di continue sollecitazioni. Ma il rifuggire sempre da questa dimensione, nei giorni ordinari e pure vacanzieri, alla fine ha creato solo un equivoco pregiudizievole per il nostro equilibrio: tutti corrono lontano dalla noia, tutti ignorano che è un’occasione di crescita. Per capire, per capirsi, per pensare. Il messaggio lo lancia la psicologa Anna Silvia Bombi nel suo recente libro Il diritto di annoiarsi (ed. Il Mulino, 13 €), scritto insieme al collega Daniele Malaguti. L’abbiamo intervistata sul tema.


La noia non piace. Ma non serve a nulla?

È utile, invece, come qualsiasi altra emozione, che è sempre una sentinella indispensabile per regolare il nostro comportamento. Per esempio, la paura ci suggerisce di scappare, la rabbia di contrattaccare, la gioia di mantenere e intensificare una certa situazione. Mentre la noia avvisa che il frangente che stiamo vivendo non è congruo con i nostri bisogni di fondo. Quelli, in particolare, di agire e di essere impegnati in qualcosa. Noi, come tutti gli esseri viventi, abbiamo bisogno di fare qualcosa che deve essere specifico, che ci metta in contatto con il mondo esterno in modo appagante.


Dove sta lo sbadiglio?

Per la psicologia, nella noia c’è un aspetto cognitivo: subentra quando la nostra attenzione verso qualcosa o qualcuno fa cilecca. In questa “distrazione” pesano sia le effettive caratteristiche dell’attività intrapresa, che può rivelarsi deludente, troppo faticosa o snervante, ma anche fattori interni come la padronanza della situazione, la capacità di concentrazione e la pazienza, alcuni stati transitori tipo la stanchezza o un’invadente preoccupazione. È la nostra risposta alle circostanze in cui ci troviamo, che, ovviamente, affrontiamo con lo stato d’animo del momento e con le risorse interiori a disposizione. Facciamo l’esempio di un concerto: anche se abbiamo deciso di andarci liberamente, anche se lo troviamo piacevole, a un certo punto ci possiamo annoiare perché non conosciamo abbastanza l’autore e non ne afferriamo il valore, perché abbiamo sonno, perché la mente vaga su altro.


Alcuni, però, si stufano più di altri...

La “noia di tratto” è dentro di noi, ed è legata a certe caratteristiche di personalità. È il disagio ricorrente delle persone impulsive, poco capaci di concentrarsi o che non sono abituate ad aspettare. Questi individui non riescono a sopportare qualsiasi tempo vuoto, anche minimo – i 4 minuti che il caffè esca dalla moka, per esempio –, stritolati come sono dalla paura di non poter fare subito qualcos’altro.


Si tratta di una sensazione fine a se stessa?

Dal punto di vista psicologico, la noia è una forma di disgusto, seppure meno intensa, che spesso si associa a diverse emozioni: tristezza se siamo in casa soli e sfaccendati; rabbia verso qualcuno in ritardo a un appuntamento; rassegnazione se ci sentiamo impotenti in una certa situazione; apatia se niente sembra interessarci. Insomma, vista da quest’angolazione non sembra che ci sia molto di buono nella noia che, per questo, genera stress, impazienza, inquietudine, senso di spreco del tempo.


Quanto pesa il modello culturale contemporaneo?

La modernità ha portato con sé una diversa valutazione del tempo. Adesso, deve essere stra-riempito. Soprattutto quello libero, è troppo prezioso e non si può sprecare. Viviamo con la costante preoccupazione di adoperarne in modo proficuo qualsiasi briciola. Ma, alla lunga, questo stile di vita basato sulla frenesia di fare cose sempre diverse ci ha esposto alla noia perenne, e alle sue emozioni cugine: l’insoddisfazione, la frustrazione, il disappunto, la tristezza, tutte sensazioni sgradevoli poiché ciascuna di essa rafforza il segno che qualcosa nella nostra esistenza non va per il verso giusto.


Questa voracità di esperienze cosa ci ha portato?

Nel lavoro, in coppia, in famiglia, con gli amici adesso più che mai ci pesa moltissimo il ripetersi di copioni sempre uguali, quelle routine che rischiano di essere saturanti visto che, ai nostri occhi, non portano innovazione. Ma così abbiamo smarrito i due punti cardinali per non annoiarsi. Il primo ci guida a considerare che qualsiasi abitudine condivisa con gli altri non è necessariamente immutabile, si possono sempre trovare delle variazioni, anche piccole, all'interno di qualunque tran tran. Il secondo ci fa arrivare a un traguardo ancora più importante: la consuetudine non è mai una cosa a sé stante ma parte integrante di un progetto complessivo. Perciò, se è tot volte che rifacciamo quel lavoro in ufficio, che replichiamo la stesso scenario con il partner o con l’amica, non sentiamo più quel peso sfinente se si pensa al prodotto finito, al progetto di coppia, al valore di quella relazione. L’obiettivo delle nostre azioni dovrebbe essere generale e complesso.


Perciò, il pensiero può essere il migliore antidoto?

Una delle grandi sfide odierne è proprio di contrastare l’ingordigia con cui noi pretendiamo di moltiplicare la nostra realtà riempiendola a dismisura di fermenti di ogni genere. Contro questa tentazione grandiosa nelle intenzioni ma vana nei risultati, il pensiero può essere un grande rimedio contro il tedio. Alla gente, spesso, non viene in mente ma la riflessione può essere spinta in avanti a progettare, indietro a ripensare o collocata nel presente adattandosi alle circostanze. Non si valorizza mai abbastanza il tempo del “pensiero lento”, che è un grande amico quando ci stiamo per annoiare ci permette di essere noi a riempire il tempo che rallenta.


Che consigli dà in proposito?

L’immagine più vivida e concreta è il pensionato in panchina. Quello che è l’emblema di giornate infinite senza fare niente, in realtà da diversi studi risulta la persona che si annoia meno. Per sua, consapevole scelta. Ha deciso di contare solo su sé stesso e non si lascia condizionare dalla mancanza di spinte esterne, queste le ritrova nella sua interiorità. Ha capito che nella vita bisogna trovare, di volta in volta, un registro nuovo per andare avanti. Ha messo in pratica la flessibilità e, quindi, è abile a mostrare a se stesso che c’è sempre un’alternativa appagante.


Concentrarsi sulla propria unicità aiuta?

Se prendiamo a modello della nostra esistenza quello di persone con immense risorse economiche, con grandi successi personali o una fortuna nella quale non siamo incappati la noia prende la forma di un’ostilità, neanche troppo pallida, verso l’esistenza, niente ci sembrerà mai abbastanza. Contro la monotonia, abbiamo bisogno di uno sguardo su noi stessi più riflessivo, e meno competitivo. Essere capaci di non infastidirsi subito significa essenzialmente essere coscienti di ciò che siamo nella nostra realtà.


La noia può brillare di luce propria?

Sì. Se impariamo a oziare, in fondo, non abbiamo mai il tempo fermo. Quella pausa è diretta conseguenza della nostra scelta e le diamo un grande valore perché ci permette di entrare in connessione con ciò che portiamo nel nostro profondo. Invertendo le priorità, che bisogno c’è di correre? Ci siamo noi, e i nostri pensieri. Proviamo, una volta tanto, a darci il tempo di ascoltarli!


Fai la tua domanda ai nostri esperti

Leggi anche

Intervista a Thomas Santu: «Cambiare significa crescere»

In 21 giorni ringiovanisci e ti garantisci una vita lunga e felice

Come trasformare una ferita in una rinascita interiore