Daniele Cassioli: «Come sviluppare la propria vista interiore»

Un campione di sci nautico non vedente ci insegna a guardare il mondo da un altro punto di vista, trasformando le fragilità che ci portiamo dentro nei nostri migliori alleati



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Riesci a immaginare una vita al buio? Vedere per un normodotato è una cosa banale, data per scontata. Ma se ti è mai capitato di avere un amico ipovedente, sai che chi è cieco spesso ha una marcia in più. Non solo sviluppa in modo superiore tutti gli altri sensi: acquisisce una diversa “visione del mondo”. È il caso di Daniele Cassioli: la cecità gli ha permesso di guardarsi dentro, sconfiggere la paura, diventare 25 volte campione del mondo di sci nautico e imparare a piacersi. Questa è la sua storia.


Lei è cieco dalla nascita. Ma questo paradossalmente le ha dato un atout, un vantaggio per guadagnare una seconda vista, come lei dice nel libro Insegna al cuore a vedere (De Agostini, 16,90 €). Cosa significa?

267738Non è semplice da spiegare. In realtà è stato un lungo percorso. Accettare la mia disabilità è stato difficile, soprattutto da piccolo, quando i miei amici uscivano a giocare a pallone o a divertirsi e io non potevo farlo. Con il tempo ho accettato ciò che mi è accaduto. La mia cecità è diventata una condizione e non una condanna. Mi spiego meglio: per molto tempo ho guardato con rabbia, frustrazione e a volte disperazione il fatto di non poter vedere. Poi ho capito che la via di uscita era accettare me stesso, il mio corpo, il mio modo di essere. E questo vale non solo per chi ha una disabilità, ma per tutti quei normodotati che non riescono a piacersi. Uno dei passi fondamentali per avere consapevolezza di sé e delle proprie risorse è costruirsi una valida cassetta degli attrezzi.


Cosa intende?

Immaginiamo che le nostre risorse fisiche e mentali siano rinchiuse in una metaforica cassetta degli attrezzi. Arriva sempre il momento in cui ci manca qualcosa, nel libro io faccio l’esempio del cacciavite, che può essere il successo, o l’amore o la perfezione in un’attività e via dicendo. La vista era il mio cacciavite: un attrezzo che non ho avuto ma che ho sempre pensato fosse la chiave della mia felicità. In questo modo non vedevo quante altre cose conteneva la mia cassetta: risorse nuove, vitali, che mi hanno regalato motivazione, resilienza e voglia di vincere. Fuor di metafora significa concentrarsi su quello che si ha e non ostinarsi ossessivamente su ciò che ci manca. Tecnicamente potremmo definirlo lo spostamento del focus, che ci consente di superare le nostre paure e di valorizzare il nostro potenziale nascosto.


La paura è un ostacolo alla nostra realizzazione?

Sì, la paura ripete se stessa e ti rende meno lucido: ti fa concentrare su ciò che non vuoi che accada, invece di desiderare uno scenario diverso. Se va male un esame, ti immagini che andranno male anche gli altri, e vale lo stesso per tutto ciò che facciamo. La paura è un sentimento istintivo, che spesso offusca e pervade gli altri sentimenti e io l’ho vissuta a lungo. A un certo punto mi sono detto: come sarebbe vivere senza questa visione pessimistica? E questo mi ha fatto cambiare prospettiva. Ho capito per esempio che il timore di qualcosa o qualcuno ha sempre il suo contrario. A un ostacolo che sembra insormontabile, si può contrapporre la fiducia, al timore di sbagliare il coraggio, all’ansia del giudizio la sicurezza. E queste sono competenze che si possono imparare e allenare. 


Come?

Diventando consapevoli delle nostre difficoltà. Non abbiamo controllo sul mondo, il Covid-19 per esempio ce lo sta dimostrando in modo chiarissimo. Però possiamo intervenire sul nostro stato d’animo, nel nostro approccio alla realtà, senza sprecare energie. Io per esempio ho passato molto tempo a cercare di curare la mia cecità e ho sprecato risorse preziose. Era una pista sbagliata. Farci carico dei nostri problemi significa accettarli e partire da lì per dare il massimo con quello che si ha. Occorre scegliere la strada che più ci assomiglia. In questo lo sport mi ha insegnato molto: se in gara hai di fronte un atleta molto preparato, per esempio, devi lavorare su di te. Non puoi controllare l’altro, la sua forza o la sua prestazione, ma puoi potenziare le tue risorse, attraverso impegno e concentrazione migliorando così la tua performance. Lo sport in fondo è un grande alleato per fare i conti con te stesso.


A proposito di concentrazione, quanto è contata nei tuoi successi?

Tantissimo. La fame di vincere ti porta a concentrarti: è una capacità che oggi stiamo via via perdendo, perché siamo abituati ad avere tutto e subito. Lo sport, come tutti gli obiettivi che dobbiamo raggiungere, richiede dedizione, fatica, impegno. E non sottovalutiamo l’importanza dell’attesa. Avere pazienza è una qualità importante: ci permette di osservare noi stessi e di valorizzare un traguardo. Meritare un obiettivo è un percorso: avviene solo attraverso dedizione, impegno, fatica e allenamento, mantenendo l’attenzione su ciò che vogliamo raggiungere.


Sei diventato 25 volte campione del mondo di sci nautico. Come ti sei avvicinato a questo sport?

Avevo 9 anni e stavo sciando sulla neve. Mi hanno consigliato di provare lo sci nautico e così, per caso, ho iniziato… ma se vedessi, non credo proprio che che lo farei!  Scherzi a parte, lo sport è il mio migliore amico: ha rappresentato la possibilità di uscire di casa, fare qualcosa di diverso dall’andare in ospedale e mi ha sempre divertito. Infine, mi ha permesso di scaricare la frustrazione e la rabbia: gli altri potevano giocare a pallone, correre, uscire da soli. Allenandomi, mi sono sentito uguale agli altri e mi ha consentito di sviluppare un sano spirito agonistico, imparando il valore dell’empatia e del fair play nella competizione.




Dalla parte dei bambini non vedenti

Daniele Cassioli nel 2019 ha fondato l’associazione Real Eyes sport ASD (www.sportrealeyes.it) con l’obiettivo di aiutare tutti i bambini non vedenti ad avvicinarsi allo sport.

«Inizialmente il nostro scopo è avviare questi bambini alla pratica motoria. Obiettivo della prima fase è portarli a contatto con  il movimento», afferma l’atleta. «Per fare un esempio da noi arrivano bambini che a 8 anni non hanno mai corso, calciato un pallone, fatto una capriola, non sanno cos’è un’altalena: non hanno alcuna competenza motoria. Quindi cominciamo a fargli prendere confidenza con il loro corpo e con quello che può fare. È la povertà di esperienza a generare la distanza tra un bambino ipovedente e un normodotato, non la cecità. Via via possono scegliere vari sport che insegniamo all’associazione: corsa, calcio, nuoto, tennis, baseball, surf, sci nautico, equitazione. La sede è a Gallarate, in provincia di Varese, ma operiamo a livello nazionale: Milano, Roma, Padova, Rimini, Parma, Padova, Torino e organizziamo weekend in giro per l’Italia, in Toscana o in Sicilia per esempio».


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