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Come valorizzare la propria voce con consigli della vocal coach

Ciascun suono che emettiamo ha una nota emotiva che il mondo esterno cattura e che è importante conoscere e valorizzare per dare un significato autentico ai nostri discorsi. Sulla scia degli insegnamenti di una vocal coach



La nostra voce, questa grande sconosciuta. Ci appartiene ma finché ci permette di parlare non ci curiamo molto dei suoi ingranaggi profondi. Né di farli funzionare bene né tantomeno di potenziarli, per il nostro equilibrio psicofisico. «Eppure, la voce è uno strumento intimo e dice tanto dell’animo di ciascuno», esordisce Elena Bresciani, cantante lirica, mezzosoprano e mentore di successo, che ha scritto a quattro mani con il chitarrista Renato Caruso il libro Canto del Benessere e Vibralchimia Interiore (Fingerpicking, collana Le Ruzzole), fresco di stampa.

«Quando chiacchiero con le persone, mi arrivano tante informazioni dal loro parlato e dalle loro inflessioni. La voce, infatti, viene influenzata dal contesto in cui nasciamo e cresciamo. Certe voci sommesse, flebili sono la risposta evidente, spesso, a un'educazione autoritaria e oppressiva».


305098Elena, che rapporto abbiamo con la voce?

«Difficile, spessissimo, perché ignoriamo la nostra vocalità. A tutti, più o meno, sarà capitato di ascoltarsi in una registrazione e rimanere scioccati: “Ma io ho quella voce lì?”. Invece, bisognerebbe fare pace con la propria voce. Conoscerla, accettarla e valorizzarla è una componente potente della propria autostima».


Quali sono le caratteristiche peculiari che la definiscono?

«Se dovessi dirlo tecnicamente, il timbro. Cioè quella parte della voce che è unica e ci identifica in maniera forte. Il colore timbrico è una caratteristica naturale, ma non è scontato che una persona si renda conto del proprio, dal momento che ci si ascolta troppo poco».


Il timbro, da cosa è dato?

«A definire l’identità della voce è la struttura delle corde vocali: la loro larghezza, lunghezza e la capacità di addursi in un certo modo. Poi, qualunque cavità di risonanza interna (lingua, faringe, palato duro e palato molle) interviene nell’espressività timbrica. Grazie a come si usa l’apparato vocale si può ottenere di più dalle caratteristiche timbriche».


Spesso diamo più importanza alle parole che alla voce, è giusto?

«In realtà, in ogni essere umano c’è una dinamica tipica nella musica: quando la voce sale e scende, anche se in modo inconsapevole, forma una specie di linguaggio paraverbale, lo stesso che anima la gestualità. Questo per dire che la voce comunica a prescindere dai termini usati, per esempio quando stiamo riflettendo tende a rallentare».


Quindi, possiamo intervenire sulla voce per comunicare al meglio?

«Sì, il processo è controllabile. Infatti, esiste una disciplina, il public speaking, che lavora sulle possibilità espressive che danno rilievo al discorso. Suggerisce, per esempio, che se si deve parlare in pubblico è fondamentale fare delle pause prima di determinate parole-chiave oppure accentuarle con un tono acuto o grave per dare rilievo a ciò che si dice.

I discorsi dei politici, i messaggi pubblicitari ma anche le omelie usano in modo consapevole questa tecnica per “fare presa” su chi ascolta. Seppure ci siano persone che istintivamente hanno queste competenze espressive, di fatto averne coscienza amplifica moltissimo le nostre potenzialità di comunicazione».


Cosa rende bella una voce?

«Tanto per chiarire, la bellezza vocale non è un dono speciale concesso a pochi, e neppure s’identifica con un timbro da usignolo. Qualsiasi voce è bella e può essere bella se “pulita” e chiara. Solo questi pregi ci sono realmente utili nella vita di tutti i giorni».


Perché?

«Con un timbro nitido diamo valore ai nostri discorsi, ci poniamo in una condizione di autorevolezza e conquistiamo una maggiore lucidità mentale. La voce, così, diventa uno strumento essenziale per affermare le nostre idee, per portare avanti i nostri progetti, per avere più sicurezza in noi stessi e farci riconoscere subito dall’interlocutore del momento. In altre parole, porta fuori la nostra verità in modo immediato. Una voce “argentina” è come se facesse cadere tutte le maschere che ci imponiamo a favore della nostra vera interiorità».


Qualche consiglio per conquistarla?

«Dal punto di vista specialistico, dobbiamo creare nella nostra cassa di risonanza uno spazio ampio tra il palato e la lingua, che invece, spesso, fa da tappo alla nostra vocalità. Tipico di questo intoppo è la voce nasale, per esempio. Aprire la cassa di risonanza, comunque, è alla portata di tutti, basta mettere in pratica qualche semplice esercizio.

Come fare le boccacce con la lingua fuori davanti allo specchio pronunciando le vocali in modo molto forte. Così, si sblocca la respirazione che, a quel punto, diventa più libera e più ampia. Ottimi risultati arrivano anche da un trucco vocale utilizzato dagli attori: ci si mette la matita in bocca e si cerca di parlare il più possibile. Fastidioso, ma una volta tolta la matita, la nostra voce sarà subito più limpida».


Altri consigli?

«Il più importante: dare spazio al silenzio, l’altra faccia della musica, la più importante. Quando parliamo con qualcuno, ricordarsi di fare delle pause non solo permette alla voce di riposare ma dà anche valore a ciò che si dice dopo. Il silenzio, infatti, genera anelito (forte desiderio) nell’interlocutore, che aspetta con maggiore bramosia le nostre parole, e pace interiore in noi stessi. Tenere la bocca chiusa ci permette infatti di stare nel presente, per evitare i pensieri incessanti che affollano la mente e raggiungere una maggiore consapevolezza di noi e delle nostre priorità».


Ma esiste una voce in particolare che favorisce il vero dialogo con gli altri?

«Pacata, accogliente, assertiva. Una voce che cura, cioè che ha una certa tenerezza nell’inflessione, e questo apre al dialogo. Ancora una volta, insisto sul concedersi momenti di silenzio tra una frase e l’altra che favoriscano il contatto vero con l’altro: danno spazio all’interlocutore e sono un ponte essenziale per passare dall’Io al Noi».


Insomma, il silenzio è propedeutico alla voce...

«Se ci pensiamo la parola, espressione massima e autentica della nostra emotività, proviene da silenzi ancestrali. La dimostrazione storica e antropologica viene dalle urla degli uomini preistorici, dai canti sacri dell’antichità ma anche dai primi gorgheggi e suoni gutturali dei neonati. Questi vocali sono nati ben prima delle parole».


Allora, una voce da applausi è...

«La nostra, e solo la nostra. Certifica chi siamo, cosa proviamo, come pensiamo, e per questo risulta gradevole alle orecchie degli altri. Può anche avere dei difetti, ma non ha importanza perché è una prova massima di autenticità».


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