Rifarsi il seno dopo la mastectomia: la chirurgia ricostruttiva

È un intervento diventato di routine, a volte eseguito durante la stessa seduta operatoria di asportazione del tumore



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La ricostruzione della mammella dopo un intervento per un tumore al seno, è oggi divenuta di routine. «In questi anni abbiamo visto un notevole incremento di operazioni ricostruttive, eseguite nella stessa seduta operatoria di asportazione del tumore mammario», spiega il professor Alberto Luini, chirurgo senologo.

«Ho fatto parte del gruppo di lavoro che, dieci anni fa, allo IEO ha messo a punto la tecnica “nipple sparing”: l’intervento rimuove tutta la ghiandola mammaria ma conserva l’involucro esterno della mammella, la sua cute, ma soprattutto il complesso areola-capezzolo, dopo un’attenta verifica che non siano presenti cellule tumorali nella zona. Oggi di queste operazioni ricostruttive se ne fanno decine di migliaia e gli effetti estetici sono buoni, con un impatto visivo ma anche psicologico che per la paziente è fondamentale».

Per ridare volume al seno in questa prima fase si inserisce il cosiddetto espansore. «È un impianto con una valvola non visibile (rimane nella piega del seno) che permette di inserire del liquido per incrementare gradualmente il volume mammario», spiega Luini.

«A ogni controllo si aumenta la grandezza: questa operazione va avanti per alcuni mesi dopodiché, a distanza di circa un anno dall’intervento si inserisce la protesi definitiva. Se invece il seno non operato è di piccole dimensioni, è possibile evitare l’espansore e si mette subito l’impianto definitivo».


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