Cinque milioni di italiani soffrono di malattie reumatiche e, fra di loro, 700 mila sono colpiti da patologie così severe da comportare gravi problemi di disabilità.
Eppure, il 77% dei pazienti deve fare i conti con lunghissime liste d’attesa prima di potersi sottoporre a visite o esami specialistici nelle strutture pubbliche, e quasi 4 persone su 10 faticano a trovare uno specialista per le cure. A fare il punto su questi diritti negati è il secondo rapporto Apmarr-WeResearch “Vivere con una malattia reumatica”, appena presentato a Roma presso la Biblioteca del Senato.
«È ancora scarsa la diffusione sul territorio dei centri di reumatologia, ma questi pazienti non possono essere considerati di serie B», commenta Antonella Celano, presidente di Apmarr (Associazione nazionale persone con malattie reumatologiche e rare). «Spesso, per loro è difficile anche solo alzarsi dal letto la mattina, allacciarsi le scarpe o tenere in braccio i propri figli».
Le prospettive
Per fortuna, non è tutto grigio all’orizzonte. Buone notizie arrivano dal fronte delle cure, che si preannunciano sempre più mirate, efficaci e personalizzate.
«La grande rivoluzione è iniziata circa 15 anni fa con l’introduzione dei farmaci biologici, che sono stati progressivamente utilizzati per trattare diverse malattie reumatiche, come l’artrite reumatoide, l’artrite psoriasica, la spondilite anchilosante, il lupus eritematoso sistemico o le vasculiti», dice il professor Luigi Sinigaglia, presidente della Società italiana di reumatologia.
«Non si tratta però di terapie di prima scelta. Vengono impiegate solo dopo il fallimento di quelle di prima linea (cortisonici e farmaci che modificano il decorso della malattia come il metotrexato), anche se vanno intraprese entro sei mesi dall’esordio dei sintomi, perché dopo si instaura un danno difficilmente reversibile. I farmaci biologici sono in grado di bloccare il danno articolare, prevenendo la disabilità, ma non si tratta di trattamenti da fare a cuor leggero», avverte Sinigaglia.
«Serve un attento monitoraggio: possono infatti facilitare la comparsa di infezioni a causa di una riduzione delle difese immunitarie. Non a caso vengono dispensati solamente dagli ospedali e non dalle farmacie, in modo da monitorare il paziente al momento del ritiro, che avviene circa ogni due mesi».
Ne sono in arrivo di nuovi, tutti capaci di agire direttamente sui meccanismi patologici che stanno alla base delle malattie reumatiche.
Le molecole che verranno
«Promettenti sono anche le small molecules, molecole di sintesi che inibiscono alcuni enzimi implicati nella mediazione del segnale infiammatorio. Hanno il grande vantaggio di poter essere utilizzate per via orale, a differenza dei farmaci biologici che si somministrano per via endovenosa o sottocutanea», riferisce Sinigaglia.
Anche in questo settore ci saranno importanti novità nei prossimi anni, che incideranno favorevolmente sulla qualità di vita dei malati. Ma adesso la grande sfida è personalizzare sempre di più la scelta terapeutica. Esaminando le caratteristiche cliniche o sierologiche dei pazienti, sarà possibile scegliere il farmaco migliore per il singolo individuo.
«Anche in ambito reumatologico, infatti, si va verso una medicina di precisione. Nel nostro settore, però, a differenza di quanto accade in altre discipline come l’oncologia, l’ipotesi di utilizzare la genetica per compiere una valutazione personalizzata è agli albori e necessiterà ancora di molto tempo, per cui è necessario individuare altri elementi, clinici e di laboratorio, per migliorare l’appropriatezza delle cure».
Tra terapie fisiche e botulino
Accanto ai trattamenti farmacologici, il paziente potrà sempre ricorrere alla terapia fisica per trovare sollievo da rigidità e dolore articolare. Ma non si tratta, banalmente, di fare movimento.
«Il percorso riabilitativo va pianificato in base alle caratteristiche individuali, alle diminuite capacità funzionali, allo stadio precoce o avanzato della patologia e alla sua fase acuta, post-acuta o di remissione», precisa il dottor Franco Cosignani, fisiatra, direttore del Dipartimento di riabilitazione specialistica e neurologica del Gruppo Multimedica.
«Resta valido l’utilizzo di ortesi, tutori e ausili per ridurre le deformità, distribuire in maniera uniforme il carico sulle articolazioni e migliorare la mobilità, così come vengono prescritti esercizi attivi e passivi per mantenere o riacquistare un’autonomia funzionale soddisfacente».
Da qualche anno, poi, viene utilizzata la tossina botulinica per trattare la spasticità focale, ovvero l’anomalo ed eccessivo aumento del tono muscolare in uno specifico distretto del corpo: in questo caso, la tossina viene iniettata in modo del tutto indolore per esercitare un’azione rilassante a livello della giunzione neuro-muscolare, cioè del punto in cui la fibra nervosa incontra il muscolo ordinandogli di muoversi e contrarsi.
Fra le ultime novità c’è anche la crioterapia, che si è rivelata utile per alleviare il dolore articolare: sfruttando l’azione analgesica del freddo, infatti, si può effettuare una crio-sauna a bassissime temperature (anche -180 °C per circa tre minuti) oppure beneficiare dell’azione “glaciale” solo localmente, nelle parti interessate dal dolore.
Il futuro è nelle cellule
Ma ci sono orizzonti ancora più innovativi. «Per esempio, si sta studiando la possibilità di sfruttare il trapianto di cellule staminali adulte, come avviene nella cura dei tumori del sangue, per trattare malattie reumatiche sistemiche, dalla sclerodermia al lupus eritematoso sistemico», racconta il dottor Cosignani.
«In particolare, l’interesse dei ricercatori riguarda le cellule mesenchimali, presenti in molti tessuti dell’organismo e capaci di rigenerare i tessuti danneggiati e di interagire con il sistema immunitario, controllando i processi infiammatori».
In parallelo, si stanno sperimentando infiltrazioni di gel piastrinici, speciali “centrifugati” ricavati dalle piastrine che amplificano la naturale capacità auto-rigenerativa del corpo nel trattamento di muscoli, tendini e articolazioni lesionati.
«Ma la vera guarigione viene demandata a un futuro, penso, non molto lontano, quando riusciremo a intervenire geneticamente sulla fonte dell’alterazione immunitaria o potremo combinare l’utilizzo di più farmaci innovativi», conclude l’esperto.
L’approccio è più “pesante”
Se in passato la strategia terapeutica consisteva nel proporre farmaci più “leggeri” per poi cambiarli gradualmente in caso di mancata risposta, oggi si tende a partire subito con trattamenti robusti, tenendo sotto controllo l’evoluzione del quadro clinico. Questo ha garantito grandi successi in termini di qualità di vita e di remissione della malattia reumatologica, sempre più prolungata nel tempo.
Rigidità sotto la lente
La rigidità articolare, così come il dolore o la stanchezza generale, sono sintomi che oggi vengono valutati con maggiore attenzione dagli specialisti al momento di prescrivere un percorso di cura.
Fino a qualche anno fa, invece, contavano soprattutto indagini cliniche (radiografie, ecografie articolari, tac, risonanze magnetiche, etc) e parametri di laboratorio (valori nel sangue come ves o pcr), che talvolta traevano i medici in inganno perché mostravano un miglioramento non avvertito dal paziente, ancora alle prese con sintomi soggettivi che limitavano autonomia e funzioni motorie.
Oggi, invece, la percezione soggettiva del dolore, così come le eventuali manifestazioni psicologiche di ansia e depressione, aiutano a guidare la scelta terapeutica.
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Articolo pubblicato sul n. 49 di Starbene in edicola dal 19 novembre 2019