TUBE OSTRUITE
Il 5% delle cause di infertilità femminile è dovuto alla chiusura delle tube di Falloppio, che impedisce all’ovulo di scendere verso l’utero per venire fecondato. «Il problema si verifica a causa di infiammazioni e infezioni ricorrenti (pelviche o vaginali) a carico di germi quali la Clamydia, il Gonoccoco o gli Enterococchi», spiega il dottor Antonio Canino, ginecologo presso l’ospedale Niguarda di Milano. «Anche quando l’infezione viene curata, non è possibile sapere, in quel momento, se ha lasciato delle conseguenze “anatomiche” sulle tube, che oltre a chiudersi modificano la loro forma diventando tortuose. Solo quando il bimbo non arriva sorge il sospetto che possano essere ostruite».
Come si interviene - «Durante l’isterosalpingografia, (l’esame che, grazie a un mezzo di contrasto iniettato nella cavità uterina, consente di visualizzare l’interno dell’utero e delle tube), il radiologo inserisce un filo-guida sulla cui punta si trova un catetere a palloncino», spiega il dottor Stefano Pieri, dirigente medico della radiologia interventistica dell’ospedale San Camillo di Roma. «Spingendo il cateterino lungo le tube, si “forzano” le pareti dall’interno fino a farle riaprire. Così viene rimosso l’ostacolo meccanico al concepimento e la probabiilità di restare incinta, nei mesi successivi, sfiora l’80%». L’intervento si esegue in anestesia locale e day-hospital.
VARICOCELE
Interessa il 15% degli uomini tra i 18 e i 40 anni e si manifesta con senso di pesantezza al bacino, dolore e gonfiore inguinale. È il varicocele, la principale causa di infertilità maschile, diffusa soprattuto tra i giovani dediti a sport che sollecitano la muscolatura pelvica, come l’equitazione e il body-building. «Provoca la dilatazione delle vene che compongono il “plesso pampinoforme”, situato sopra ai testicoli», spiega Antonio Canino. «Il ristagno del sangue in queste vene (soprattutto le spermatiche interne) provoca un surriscaldamento dei testicoli. Questo finisce per alterare la produzione degli spermatozoi, che avviene normalmente a una temperatura più bassa di quella corporea. Il costante aumento di 3-4 gradi porta, infatti, alla formazione di spermatozoi poco mobili e vitali, deformati (ad esempio, senza coda) e di numero inferiore a quello richiesto per avere un buon potere riproduttivo».
Come si interviene - «In anestesia locale, si inserisce, in una vena alla piega del gomito, una piccola sonda di due millimetri di diametro che, attraversando diverse vene, scende verso il plesso pampinoforme», spiega il dottor Stefano Pieri, sottolineando che l’ospedale San Camillo ha la più grande casistica europea di interventi di questo tipo. «Per visualizzare bene il percorso della sonda, viene iniettato un mezzo di contrasto che rende le immagini radiologiche molto chiare. Raggiunte le vene spermatiche e le loro diramazioni, si inietta una soluzione a base di sodio-tetradecilsolfato che, provocando un’infiammazione chimica, chiude le pareti venose nel giro 15 giorni. Così il sangue non ristagna più nei testicoli e si ha una rapida ripresa della fertilità». L’intervento non è doloroso, viene eseguito in day-hospital e dura circa mezz’ora. È quindi meglio tollerato dell’intervento di legatura delle vene, che richiede due-tre giorni di ricovero.
FIBROMI UTERINI
I più insidiosi per le future mamme sono i fibromi sottomucosi, cioè quelli che crescono all’interno della cavità uterina, dove si impianta l’ovulo fecondato. «Queste formazioni aumentano rapidamente di volume perché sono molto vascolarizzate », puntualizza il dottor Antonio Canino. «Occupando lo spazio in cui deve annidarsi l’embrione, ostacolano la gravidanza, causando spesso interruzioni spontanee: la cosiddetta poliabortività».
Come si interviene - «Il filo-guida, inserito a livello dell’arteria femorale (nella piega inguinale) o in quella brachiale del gomito, arriva all’arteria uterina», puntualizza il dottor Stefano Pieri. «Sotto guida radioscopica, si inietta il mezzo di contrasto e si rilasciano dalla punta del catetere tanti “granellini”. Sono particelle di alcool polivinilico che, seccando le arterie, bloccano l’afflusso di sangue al fibroma. Non più irrorato e nutrito, questo va incontro a una progressiva involuzione fino a ridursi sensibilmente di volume». La sua riduzione a 2-3 centimetri al massimo, che avviene nei 3-6 mesi successivi all’intervento, fa sì che non ostacoli più la gravidanza. L’embolizzazione del fibroma (è questo il nome esatto), “fotografata” step by step dai raggi X, richiede una notte di degenza e dà buoni risultati nel 99% dei casi.
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Articolo pubblicasto sul n. 13 di Starbene in edicola dal 15/03/2016