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La carne di vitello è un prodotto sano? Facciamo chiarezza

L’Unione europea ha appena lanciato una campagna informativa per mettere in luce i tanti pregi di una carne un tempo discussa




Se sfogli l’indice di un libro di cucina o sul web provi a cercare “vitello” ti trovi davanti una lista infinita di ricette che utilizzano questo tipo di carne, base di tanti piatti della nostra tradizione: dal vitello tonnato originario del Piemonte alla cima alla genovese, dal classico arrosto ai tortellini bolognesi.

Eppure, nonostante il pedigree culinario, la carne di vitello non se la passa bene ultimamente. Per questo l’Unione europea ha deciso di rilanciarla con una campagna di massiccia comunicazione informativa su tv e web e l’allestimento di un sito, dove si illustra la filiera di quella italiana e vengono proposte ricette più semplici rispetto ai classici regionali. Ma perché non è più in cima alle preferenze degli italiani? Si può considerare un prodotto sano?


Le cause della crisi
Se il vitello non finisce più così spesso dentro il carrello della spesa le cause sono da ricercare in due fattori: tempo e soldi.

«Da una parte c’è un’esplosione di interesse per la buona cucina, dall’altra c’è l’esigenza di semplificarsi la vita e le nostre ricette tradizionali a base di vitello sono tutte preparazioni lunghe e complesse», spiega François Tomei, direttore generale di Assocarni che riunisce le aziende di lavorazione e trasformazione del settore.

«Le nostre indagini, poi, rivelano come il consumatore medio, davanti al banco macelleria, non distingua i tagli e le relative qualità e il vitello ne fa spesso le spese». Un hamburger di manzo o un petto di pollo sono meno impegnativi e soprattutto più economici di un mangatello.

«La contrazione dei consumi dovuta ai costi», continua l’esperto, «ha avuto più peso dell’allarme sui danni delle carni rosse per la salute, ormai ridimensionato». È risaputo infatti che, della carne rossa, a far male è solo l’abuso. «Il vitello in particolare è un alimento molto importante per il suo elevato contenuto di proteine ad alto valore biologico», spiega la nutrizionista Simona Santini. «Contiene anche minerali essenziali per il buon funzionamento del metabolismo, e la vitamina B12, fondamentale per il sistema nervoso. E poi ferro, calcio, fosforo e magnesio, alleati della salute di ossa e denti. In più, rispetto alla carne di manzo è molto più magra».


Tracciata dalla stalla alla tavola
Ed è anche più sana che in passato. «La filiera della carne è uno dei fiori all’occhiello dell’agroalimentare italiano», assicura Tomei. «Un sistema di controlli all’avanguardia permette di tracciare una fettina dalla stalla al piatto, basta guardare il relativo codice esposto in macelleria».

Da quei numeri chiunque può risalire alla storia di un bovino, sapere dove è nato e cresciuto, cosa ha mangiato, chi lo ha portato al supermercato e come si è trasformato in un taglio pregiato. «I controlli medici sono rigorosi e obbligatori. I farmaci, antibiotici compresi, sono dati solo sotto stretto controllo medico, al bisogno e mai entro 90 giorni dalla macellazione per assicurare che non resti traccia nelle carni. La trafila è anche frutto dei controlli europei, oggi molto stringenti, e risponde al motto One Health, salute unica: il benessere degli animali che mangiamo, cioè, si riflette sulla nostra e per questo dobbiamo avere la stessa attenzione», conclude l’esperto.


I mangimi sono naturali
Anche l’alimentazione dei vitelli, che decenni fa era finita nel mirino per il ricorso agli ormoni che ingrassano in fretta la carne, oggi è curata in modo diverso. «I mangimi sono naturali e spesso derivano da filiera integrata, cioè sono prodotti nella stessa fattoria che alleva gli animali e sono tracciati anch’essi», spiega Tomei.

«Se arriva un mangime extraeuropeo contaminato per esempio da ogm si scopre subito. Che l’alimentazione sia migliorata lo dimostrano i dati sui valori nutrizionali: la carne prodotta oggi contiene la metà dei grassi saturi di 20 anni fa».


La scelta più ecologica
La carne di vitello italiana è anche in gran parte sostenibile. I pascoli grass fed, quelli in cui gli animali sono liberi di pascolare con la mandria e prendere il latte dalla mamma che rumina l’erba sono ancora la minoranza e producono pochi capi l’anno. «La maggior parte degli allevamenti italiani è ancora di tipo “confinato”, gli animali cioè stanno in spazi recintati ma sono alimentati in maniera controllata». Da noi non esistono i grandi allevamenti di tipo intensivo, quelli delle enormi stalle industriali all’americana, responsabili di gran parte delle emissioni di CO2 nell’atmosfera e di deforestazione in Amazzonia. In Italia la maggioranza degli allevatori sono piccole aziende. Per questo scegliere una carne locale è il primo passo per avere un prodotto sano non solo per noi ma anche per il pianeta.


Così è più buona

- Scegli il taglio per ogni esigenza: fesa, nodini e magatello per le cotture brevi, fiocco e collo per quelle più lunghe, noce e scamone per le tartare e il crudo.

- Il colore deve sempre essere rosato, la grana fine e il grasso visibile assente.

- Lasciala nella confezione o nell’incarto del macellaio e conservala nella parte più fredda del frigo per 2 o 3 giorni massimo. In freezer non più di 9 mesi ben chiusa (prima di cucinarla falla scongelare in frigo).

- Non cuocerla fredda di frigo, ne va della morbidezza. Portala a temperatura ambiente. Per girarla in cottura usa la pinza. Con la forchetta rischi di pungerla e far uscire i succhi che la mantengono morbida.


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Articolo pubblicato sul n. 40 di Starbene in edicola dal 17 settembre 2019



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