Testo raccolto da Simona Acquistapace
A ottobre 2013 è nata Emma, la mia secondogenita: una bella bambina di 4 chili. Gioia infinita ma, ahimè, le persone continuavano a cedermi il posto sul tram, perché dopo due mesi sembravo ancora incinta. Mi sono accorta subito che questa volta, diversamente che con il primogenito, l’ago della bilancia non calava durante l’allattamento. A marzo ho deciso di correre ai ripari e mi sono rivolta a Carla Lertola. Pesavo 79 chili per 1,70 m di altezza, ero in forte sovrappeso. La dottoressa mi ha proposto la Dieta Libera, impostata in modo da tenere conto del maggiore fabbisogno giornaliero richiesto dall’allattamento: circa 500 calorie in più, per un totale di 1900-2000.
Fai la tua domanda ai nostri espertiPotevo mangiare tanta pasta
La pancia era il mio grande cruccio. Per assottigliare più velocemente il girovita la dottoressa Lertola mi ha spinto a fare lunghe passeggiate con la carrozzina invece di stare ferma al parco seduta su una panchina. In compenso, non mi ha mai fatto mancare il cibo: finché ho allattato, ho avuto diritto a 100 g di carboidrati sia a pranzo sia a cena, oltre al secondo e alle verdure a volontà. La gente non credeva che io fossi a dieta, vedendomi mangiare i miei bei piattoni di pasta! Il peso calava costantemente: a ottobre ero arrivata a 66 kg, anche perché nel frattempo avevo smesso di allattare (Emma era cresciuta benissimo!) e la dietologa aveva ritarato la dieta scendendo intorno alle 1500 calorie, semplicemente riducendo un po’ le porzioni.
Ho imparato a organizzarmi
A quel punto lo stress ha messo a rischio il raggiungimento del traguardo finale. Sono tornata al lavoro full time. E con due figli e un marito che nel frattempo era diventato vegetariano, mi sono ritrovata a cucinare 4 pasti diversi. In più, per il mio menu dovevo pesare gli alimenti. Ho pensato di gettare la spugna, ma la dottoressa mi è venuta in aiuto. Mi ha detto che se mi fossi fermata lì, la mancata soddisfazione mi avrebbe fatto subito recuperare qualche chilo, vanificando gli sforzi fatti fino a quel momento. Ho tenuto duro e con un po’ di organizzazione il lavoro, da nemico, si è trasformato in un buon alleato: in ufficio, lontano dalla famiglia, è diventato più facile pensare al mio pranzo. Scendevo dal mio salumiere e mi facevo tagliare un bel panino, che farcivo con bresaola o mozzarella, oppure con roast beef o tonno al naturale. E mi portavo un sacchetto di carote da casa, con l’attrezzo per pelarle: in un attimo era tutto pronto.
La mia giornata tipo:
Ecco un esempio del menu giornaliero di Lidia durante l’allattamento.
>a colazione: 200 ml di latte parzialmente scremato con 40 g di biscotti (8 di quelli della sua bambina)
>a metà mattina: 200 g di fragole e frutti di bosco
>a pranzo: arrosto (5 fette tagliate sottili, 120 g) con patate al forno (300 g, una porzione), più insalata mista
>a merenda: 1 pesca e due albicocche (200 g)
>a cena: pasta con pesce spada e capperi (100 g di pasta e 150 di pesce), insalata di finocchi
>prima di dormire: uno yogurt alla frutta (per soddisfare la voglia di dolci).
Per condire: 6 cucchiaini d’olio extravergine d’oliva. Da bere: almeno 2 litri d’acqua
Sono tornata quella di una volta
E così si arriva ad aprile di quest’anno, quando la dottoressa Lertola ha detto “Ok, il peso è giusto!”. Ho raggiunto i 61 chili, riuscendo anche a ridefinire il punto vita. Mettendo in ordine l’armadio, ho trovato i pantaloni di prima delle gravidanze: stavo per buttarli, ma prima li ho provati. E non mi sono mai stati così bene.
Lidia Scavazza, 38 anni
Testo raccolto da Simona Acquistapace
Testo pubblicato sul n. 26 di Starbene in edicola dal 16/06/2015