Diabete di tipo 1: cos’è, cause, sintomi, diagnosi, cure

È una malattia cronica che richiede attenzione e cure quotidiane, ma non è più una condanna. Rispetto al passato, chi convive con questa condizione può contare oggi su strumenti all’avanguardia, percorsi personalizzati e una rete di assistenza che guarda non solo al controllo della malattia, ma anche al benessere complessivo della persona



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C’è una forma di diabete che può colpire improvvisamente, anche in piena infanzia, e non ha legami diretti con il peso corporeo, l’alimentazione o la sedentarietà. È il diabete di tipo 1, una malattia autoimmune che si manifesta quando il sistema immunitario – per cause ancora non del tutto chiarite – inizia a distruggere progressivamente le cellule beta del pancreas, deputate alla produzione di insulina.

L’insulina è un ormone essenziale per la vita: permette al glucosio di entrare nelle cellule, dove viene usato come fonte di energia. «Senza insulina, il glucosio si accumula nel sangue e non riesce a essere utilizzato dai tessuti, provocando uno squilibrio che può diventare rapidamente pericoloso», spiega la professoressa Raffaella Buzzetti, presidente della Società Italiana di Diabetologia. «Quando la quantità di cellule beta ancora funzionanti scende sotto una soglia critica, l’organismo non è più in grado di regolare la glicemia: è a quel punto che compaiono i primi sintomi, portando alla diagnosi in fase avanzata, quando il danno autoimmune è ormai già avvenuto».

Per fortuna, il volto del diabete di tipo 1 sta cambiando. Grazie ai continui progressi della ricerca scientifica, si è compreso che la malattia non inizia con i sintomi, ma attraversa una lunga fase preclinica in cui il processo autoimmune è già attivo, anche se silente. Questa fase può durare mesi o anni e può essere riconosciuta attraverso la presenza nel sangue di autoanticorpi specifici, veri e propri “campanelli d’allarme” che segnalano l’attacco alle cellule pancreatiche prima ancora che la glicemia si alteri.

Quali sono i sintomi del diabete di tipo 1

Uno degli aspetti più insidiosi del diabete di tipo 1 è che non sempre si manifesta subito con sintomi evidenti. «La malattia può rimanere silente per mesi o addirittura anni», evidenzia la professoressa Buzzetti. «Durante questo periodo, il sistema immunitario inizia a distruggere lentamente le cellule beta, ma i livelli di zucchero nel sangue possono rimanere normali».

Solo quando la quantità di cellule pancreatiche distrutte è molto elevata compaiono i sintomi classici: sete intensa, bisogno di urinare spesso, stanchezza, perdita di peso.

«Per fortuna, la scienza ha fatto enormi progressi», tiene a sottolineare l’esperta. «Oggi è possibile individuare la malattia prima ancora che si manifesti, grazie alla presenza di autoanticorpi nel sangue. Proprio questo è il cuore di una delle più importanti novità che riguardano il diabete di tipo 1: lo screening precoce».

Cos’è lo screening precoce 

Recentemente un’importante associazione scientifica internazionale – l’American Diabetes Association – ha proposto una classificazione del diabete di tipo 1 in tre stadi. Il primo è quello in cui si trovano nel sangue due o più autoanticorpi, ma la glicemia è ancora normale. Nel secondo stadio compaiono alterazioni della glicemia (disglicemia), ma non ci sono ancora sintomi. Infine, il terzo stadio è quello in cui la malattia si manifesta con una sintomatologia evidente.

Sapere tutto questo ha permesso di anticipare la diagnosi, evitando situazioni drammatiche come la chetoacidosi diabetica, una complicanza grave e potenzialmente mortale. «Così, in Italia, è arrivata un’importante novità», ricorda la professoressa Buzzetti. «Grazie alla legge 130/24, il nostro Paese è diventato il primo al mondo a introdurre lo screening gratuito per il diabete di tipo 1 nei bambini e nei ragazzi fino a 17 anni. Una svolta storica che permette di migliorare la qualità di vita delle famiglie».


Qual è l’incidenza del diabete di tipo 1

La diffusione del diabete di tipo 1 è in aumento a livello mondiale. Dal 1990 al 2019 l’incidenza globale è passata da 400 a 514 casi ogni 100.000 abitanti, con un incremento del 28% in trent’anni.

Nonostante questo trend in crescita, la mortalità è diminuita grazie ai miglioramenti nella diagnosi precoce, nei trattamenti e nel monitoraggio continuo. Nel 1990 si registravano 4,74 decessi ogni 100.000 pazienti, contro i 3,54 del 2019. Un segnale positivo che testimonia i progressi della medicina e delle tecnologie applicate alla gestione della malattia.


Chi colpisce il diabete di tipo 1

Sebbene sia comunemente associato all’infanzia, il diabete di tipo 1 può insorgere a diverse età.

Gli studi hanno individuato tre principali picchi di esordio: intorno ai 5 anni, tra i 10 e i 14 (in coincidenza con la pubertà) e dopo i 20 anni. Questo rende fondamentale non escludere la possibilità di un diabete di tipo 1 anche nei giovani adulti, in cui talvolta viene erroneamente diagnosticato come diabete di tipo 2. «Anzi, il 50% per cento del diabete autoimmune si manifesta dopo i 30 anni di età», tiene a precisare la professoressa Buzzetti.

Quali sono le cause

Il diabete di tipo 1 nasce da una combinazione complessa di fattori genetici, ambientali e immunologici, che ancora oggi rappresentano una sfida per la ricerca medica. A differenza del diabete di tipo 2, dove il sovrappeso, la scarsa attività fisica e uno stile di vita poco sano sono elementi chiave, nel diabete di tipo 1 la causa principale è un malfunzionamento del sistema immunitario.

Dal punto di vista genetico, esistono specifici geni che aumentano la predisposizione a sviluppare questa malattia autoimmune. In particolare, alcune varianti dei geni che regolano il sistema immunitario, come quelli appartenenti al complesso maggiore di istocompatibilità (HLA), sono associate a un rischio più elevato. Tuttavia, avere queste varianti genetiche non significa inevitabilmente ammalarsi: molti portatori non svilupperanno mai il diabete, indicando che da soli i geni non bastano per scatenare la malattia.

Qui entra in gioco l’ambiente, che può agire come “innesco” o fattore scatenante. Sebbene non sia ancora possibile indicare con certezza quali siano tutti questi elementi ambientali, diverse ipotesi sono supportate da studi scientifici. Tra i potenziali fattori scatenanti ci sono infezioni virali, come quelle causate da virus enterovirus, che sembrano innescare una risposta immunitaria anomala nel pancreas. Alcuni virus potrebbero alterare le cellule beta o attivare il sistema immunitario in modo tale da farlo agire contro se stesso.

Altri possibili fattori ambientali includono alcune proteine presenti nell’alimentazione nei primi mesi di vita, l’esposizione a sostanze chimiche, stress importanti o cambiamenti nel microbiota intestinale, l’insieme di batteri e microrganismi che popolano il nostro intestino. Anche quest’ultimo gioca un ruolo fondamentale nel modulare il sistema immunitario e alcune ricerche suggeriscono che uno squilibrio nella flora intestinale possa contribuire a favorire la risposta autoimmune contro le cellule pancreatiche.


Come si cura il diabete di tipo 1

Una volta diagnosticato, il diabete di tipo 1 non può essere curato definitivamente, ma può essere gestito nel modo migliore possibile. «Da qualche anno, stiamo vivendo una vera e propria rivoluzione», assicura la presidente della Sid. «Monitoraggio continuo della glicemia, microinfusori, app intelligenti, penne smart e insuline sempre più efficaci rendono la vita delle persone con diabete molto più semplice e sicura».

Le nuove linee guida raccomandano il monitoraggio continuo della glicemia per tutti i pazienti con diabete di tipo 1 e consigliano anche i microinfusori con sistema ad ansa chiusa – veri e propri mini-pancreas artificiali – anche per chi ha già un buon controllo glicemico.

Il risultato? Meno ipoglicemie, maggiore stabilità, più serenità nella vita quotidiana. Tuttavia, come è stato sottolineato durante il recente congresso nazionale Panorama Diabete, che si è svolto a Riccione dal 18 al 21 maggio, ci sono ancora differenze regionali nell’accesso a queste tecnologie: è importante lavorare per garantire a tutti gli stessi diritti, ovunque si trovino.

Quali sono le novità

La vera frontiera del diabete di tipo 1 è l’immunoterapia. Il protagonista si chiama teplizumab, un anticorpo monoclonale che agisce sul sistema immunitario rallentando il processo autoimmune. I primi risultati sono promettenti: nei pazienti in stadio 2 (quelli con autoanticorpi e glicemia alterata ma ancora senza sintomi), teplizumab è riuscito a ritardare di circa tre anni l’esordio del diabete. Una finestra di tempo preziosa, che può essere utilizzata per preparare il paziente, monitorarlo meglio e avviare un trattamento tempestivo.

Attualmente teplizumab è disponibile per uso compassionevole, ma rappresenta già una svolta importante. E non è il solo: sono in fase di studio nuove terapie sperimentali che puntano a modulare la risposta immunitaria, evitando la distruzione delle cellule pancreatiche.

«Un’altra strada che la scienza sta percorrendo riguarda le terapie cellulari sostitutive, ovvero la possibilità di rigenerare o trapiantare cellule beta sane che producono insulina», conclude la professoressa Buzzetti. «Le sperimentazioni in corso sembrano aprire la strada a un futuro in cui, magari, non sarà più necessario fare iniezioni quotidiane. Un futuro ancora da costruire, certo, ma che è già iniziato».



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