Dopo una mastectomia, per molte donne si apre una fase delicata, fatta di sfide fisiche ed emotive. Non è solo il corpo a cambiare, ma anche il modo in cui ci si guarda, ci si sente, ci si riconosce. È in quel momento che le scelte mediche si intrecciano profondamente con il vissuto personale e tra le decisioni più significative c’è la ricostruzione del seno. Un passaggio che non riguarda soltanto l’immagine riflessa allo specchio, ma soprattutto il desiderio di ritrovare un senso di interezza, di riappropriarsi della propria femminilità e di voltare pagina con forza e dignità.
Negli ultimi anni, la medicina rigenerativa ha conosciuto sviluppi straordinari, aprendo la strada a soluzioni sempre più rispettose del corpo e della storia personale di ogni paziente. Tra queste, una delle più rivoluzionarie è la crioconservazione del tessuto adiposo autologo: in parole semplici, il proprio grasso corporeo viene prelevato, trattato e conservato per essere riutilizzato anche a distanza di mesi o anni, con l’obiettivo di ricostruire il seno in modo naturale e duraturo.
«Il cosiddetto lipofilling è una procedura assolutamente consolidata e sicura, con una solida base scientifica alle spalle e senza effetti collaterali nel lungo periodo», spiega il professor Roy De Vita, primario di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva presso l’Istituto Nazionale dei Tumori “Regina Elena” di Roma. «Del resto, stiamo parlando di grasso proprio: non si introduce nulla di artificiale o estraneo».
Dalla protesi al lipofilling
La strada più battuta per ricostruire il seno dopo una mastectomia è quella dell’inserimento di protesi in silicone, che nel corso del tempo necessitano di revisioni perché la copertura dell’impianto protesico tende ad assottigliarsi. Il lipofilling, ovvero il trapianto del proprio tessuto adiposo, viene in grande aiuto. «In questa procedura, il chirurgo preleva il grasso da zone come addome o fianchi, lo purifica accuratamente e lo re-inietta nel seno», spiega il professor Roy De Vita. Il risultato è un seno più morbido se ricostruito con protesi e grasso, del tutto naturale se ricostruito solo con grasso.
Ma anche il lipofilling ha i suoi limiti. Trattandosi di un trapianto vero e proprio, il tessuto ha bisogno di attecchire nella nuova sede e ricevere nutrimento dai tessuti circostanti: questo significa che deve essere trasferito in piccole quantità per evitare che le cellule al centro della massa muoiano, essendo troppo lontane dal tessuto vitale.
«Per questo, il lipofilling richiede più interventi, distanziati tra loro di almeno tre mesi, ognuno dei quali prevede un nuovo prelievo di grasso», spiega il professor De Vita. «Anche se si tratta di procedure brevi che non necessitano di ricovero, restano comunque interventi chirurgici veri e propri, con un impatto fisico ed emotivo non trascurabile. Questo è particolarmente rilevante quando si devono affrontare tre o quattro sedute in caso di ricostruzione ibrida, cioè con protesi e grasso, o addirittura fino a nove o dieci in caso di ricostruzione esclusivamente con tessuto adiposo».
Quando il freddo diventa una risorsa
Per superare questo limite, la ricerca si è concentrata per anni su una soluzione tanto semplice quanto ambiziosa: prelevare il grasso una sola volta e poi conservarlo per poterlo riutilizzare quando necessario. Ma trasformare questa intuizione in realtà si è rivelato tutt’altro che semplice. «In tanti ci hanno provato, ma per anni nessuno è riuscito nell’intento: il grasso congelato non sopravviveva, perdeva vitalità e, di conseguenza, non poteva più essere utilizzato», racconta il professor De Vita.
Oggi, però, la situazione è cambiata. Grazie a una tecnologia innovativa tutta italiana, sviluppata clinicamente in centri di eccellenza, è finalmente possibile crioconservare il tessuto adiposo in modo efficace. Durante il primo intervento, il chirurgo effettua un ampio prelievo di tessuto adiposo in un singolo intervento, che viene eseguito in anestesia locale e sedazione in regime di One Day Surgery. Il grasso viene poi trattato con estrema precisione in laboratorio, suddiviso in piccole dosi – chiamate aliquote – e conservato a -180 °C nella banca autorizzata. Ogni aliquota rappresenta la quantità ideale per un singolo innesto e può essere scongelata all’occorrenza, anche a distanza di mesi o anni, senza bisogno di nuovi prelievi.
A quel punto, le sedute successive non sono più veri e propri interventi chirurgici. Avvengono in ambulatorio, a volte senza nemmeno la necessità di anestesia locale, senza ricovero e senza altre liposuzioni. «È un cambiamento epocale: non si parla più di chirurgia, ma di semplici procedure ambulatoriali, paragonabili a un trattamento estetico come il filler», sottolinea l’esperto. «Ed è un sollievo enorme per pazienti oncologiche che hanno già affrontato percorsi lunghi, difficili, fisicamente e psicologicamente impegnativi».
Il grasso è “vivo”
Ma il valore del tessuto adiposo non si misura solo in termini di volume. Il grasso corporeo, infatti, è una risorsa biologica eccezionale: al suo interno si trovano cellule staminali molto particolari – tra cui i periciti e le cellule MUSE (Multilineage-differentiating Stress-Enduring) – dotate di un grande potenziale rigenerativo. A differenza delle cellule embrionali, infatti, non presentano alcuna problematica etica e, soprattutto, sopravvivono perfettamente al processo di crioconservazione.
«Il tessuto adiposo non è solo un riempitivo», spiega il professor De Vita. «È un vero e proprio attivatore di rigenerazione. Dopo lo scongelamento, conserva intatta la sua struttura biologica, compreso il microambiente vascolo-stromale, che è fondamentale per la sopravvivenza e l’integrazione nei tessuti riceventi». Il risultato è molto più che estetico: il grasso trapiantato non si limita a colmare un’assenza, ma stimola i tessuti a rigenerarsi, migliora la qualità della pelle e migliora il trofismo cellulare.
Una tecnologia tutta italiana
Alla base di questa innovazione c’è un’eccellenza tutta italiana: Lipobank, un’azienda che ha studiato e messo a punto un sistema efficace e certificato per la crioconservazione del tessuto adiposo, rendendo possibile tradurre una grande intuizione in realtà clinica. «È importante sottolineare che il sistema è serio e affidabile, per il fatto che tutti i processi sono stati sottoposti al vaglio del Centro Nazionale Trapianti che, al termine dei suoi controlli, ha concesso l’autorizzazione. Almeno al momento, l’unica banca di appoggio a cui Lipobank fa riferimento è quella di Cesena. Grazie alla sinergia con le strutture pubbliche, questa tecnologia oggi è disponibile in diversi centri del nostro Paese e sta attirando un’enorme attenzione anche a livello internazionale».
Nonostante i benefici, la procedura è accessibile attualmente in un numero ancora limitato di centri. «Le ragioni sono principalmente due», chiarisce il professor De Vita. «Da un lato c’è una ridotta conoscenza della metodica, dall’altro ci sono ostacoli di tipo amministrativo da superare. Sta alla sensibilità dei manager sanitari comprendere gli enormi vantaggi di un valido partenariato pubblico/privato che può offrire un servizio di eccellenza alle pazienti che si autosostiene grazie al sistema DRG, liberando al tempo stesso slot operatori e avendo quindi un impatto positivo anche sulle liste di attesa».
Un cambiamento che potrebbe fare la differenza nella vita di molte donne. Perché, in un’epoca in cui la medicina si orienta sempre più verso l’unicità della persona, la crioconservazione del tessuto adiposo rappresenta una strada concreta per una chirurgia che rispetta il corpo, i tempi e i desideri di chi affronta un percorso di rinascita.
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