Coliche dei lattanti
Mio figlio ha 5 mesi e soffre di coliche sta gia prendendo le giccine (colinox) ma nessun effetto cosa altro si puo fare per fargliele passare?! Anche perché da quanto sta male la notte non riesce a dormire e ha pure i sudori freddiLa risposta
Le cosiddette coliche del lattante, chiamate anche del primo trimestre gassose, si presentano in genere da 15 giorni a 3 mesi. Sono più frequenti il pomeriggio e la sera. Il bambino inizia a piangere improvvisamente, è irritato, rosso in volto, tiene le gambe flesse sulle cosce e queste sull’addome, da cui spesso provengono dei rumori. Può continuare anche per ore e il bambino emette grida sempre più intense e acute, senza lasciarsi consolare. La verità scientifica è diversa, le coliche non esistono: si tratta solo si crisi di pianto prolungato, infatti il bambino che presenta le coliche non ha una malattia, né un’allergia, né dolore addominale (“mal di pancia”). Anche se un tempo venivano chiamate “coliche gassose” non sono provocate dall’aria penetrata con il latte nello stomaco perché viene sempre espulsa con il “ruttino”. Per gestire un bambino che piange voi genitori non dovete farvi prendere da inutili paure. Solo stando calmi potrete rassicurare vostro figlio che così smetterà di piangere. Quando il bambino piange va sempre preso in braccio. Il pianto non è l’espressione di uno stato di sofferenza del bambino ma è il suo modo di comunicare proprio perché non sa parlare. Quando un bambino piange voi genitori non dovete pensare per prima cosa che stia male. Il pianto è espressione di sofferenza o di disagio emotivo nel bambinopiù grande o nell’adulto, quando sa comunicare attraverso le parole oppure i gesti. In un bambino piccolo il pianto è il suo linguaggio che usa al posto delle parole. Per lui è un modo di comunicare come fa il cane quando abbaia o il gatto quando miagola. Per questo non si deve pensare che un bambino che piange sia malato, perché innanzitutto nella quasi totalità dei casi i bambini stanno bene e non sono malati, perciò con il principio della probabilità si deve pensare che il bambino stia bene. In secondo luogo se il bambino sta male, soprattutto quando presenta una m malattia seria, un organismo piccolo come quello di un bambino esaurisce le proprie forze, ha una minor reattività, pertanto è assopito e non ha le energie sufficienti da poter piangere.Con il pianto può voler dire “mi sento solo” o “ho fame”. I genitori devono sempre dargli una risposta. Per cercare di tradurre il pianto è sufficiente che guardino l’orologio: se à trascorsa meno di un’ora dalla poppata precedente è probabile che il bambino dica “mi sento solo” e in questo caso i genitori devono subito prenderlo in braccio, dargli il succhiotto e dondolato parlandogli dolcemente e eventualmente canticchiando una canzone melodiosa. Se entro 5 minuti non si calma gli andrà offerto il latte. Se non lo vuole continuare con le coccole. Quando invece è trascorsa più di un’ora dalla poppata precedente il bambino potrebbe aver già digerito il pasto precedente e avere fame, allora per prima cosa si deve offrirgli il latte, se non lo vuole, cioè rifiuta il seno o il biberon e continua a piangere, si deve passare direttamente alle coccole e continuare ad oltranza finché non smette di piangere. Da queste istruzioni precedenti si possono trarre alcune conclusioni. Innanzitutto che un bambino che piange pensa di parlare e pertanto i genitori devono, o con il latte o con le coccole, dare una risposta. Non devono pensare che il bambino faccia i capricci oppure che, prendendolo in braccio ogni volta che piange, acquisisca cattive abitudini, inpratica sarebbe come se a un bambino che ha cinque anni,sa parlare e dice alla mamma che ha paura del buio o vuole la merenda e la mamma per tutta risposta lo chiudesse in camera da solo o non gli desse da mangiare. La seconda conclusione è che non è necessario che trascorra un tempo minimo tra una poppata e l’altra ma si può allattare quando il bambino lo richiede piangendo. La terza conclusione è che visto che il bambino sa comunicare con l’ambiente, cioè con il pianto chiede da mangiare quando ha fame, il bambino non va mai svegliato e per questo i genitori possono stare tranquilli che nessun bambino è morto di fame perché si sia dimenticato di mangiare. In particolare i genitori devono capire che se di fronte al proprio figlio che piange loro entrano in ansia, pensando che abbia una malattia che non riescono a riconoscere, il bambino anziché essere rassicurato avvertirà maggiormente la tensione dei genitori, piangendo più forte e innescando così un circolo vizioso.
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