Iperinsulinemia

Buongiorno sono un uomo di 49 anni normopeso della provincia di Roma,circa 1 anno e mezzo fa ho scoperto di essere iperinsulinemico,fatto che mi porta ad avere spesso ipoglicemie terribili,ho scoperto questa condizione dopo aver fatto un paio di curve glicemiche e insulinemiche e i risultati erano che dopo 60 minuti dall'aver bevuto il bibitone di zucchero la glicemia era 165 e l'insulina 225,difatti dopo 5 minuti dalla fine di ogni curva mi sono sentito male con glicemia scesa a 47!! In principio ho sentito un'endocrinologa che mi aveva prescritto la metformina,ma per avere una seconda opinione sono andato anche da un diabetologo che invece mi disse che per la mia condizione la metformina sarebbe stata deleteria!!Dunque che fare?Nel dubbio chiaramente non l'ho presa. Allora ho cominciato a mangiare come mi avevano consigliato loro,ossia insalata per cominciare il pasto,poi proteine e per finire pochi carboidrati,piccoli pasti......risultato ero andato preoccupatamente sottopeso e comunque le ipoglicemie le avevo,oltretutto avendo quasi del tutto eliminato gli zuccheri,notavo un rallentamento cognitivo......dunque ho rimesso qualcosa e ho fatto pasti piccoli e frequesti,risultato sto prendendo peso (quasi totalmente pancia e fianchi) nonostante mangio poco e in piu' ho degli attacchi di sonnolenza forte che mi durano svariate ore,o per meglio dire la mattina e il primo pomeriggio ho una sonnolenza quasi continua con gli occhi pesanti,la sera invece ho energie e non ho mai sonno!! Chiaramente questo oltre che mi sta facendo fare una vita terribile mi sta penalizzando molto anche al lavoro,dunque spero che abbiate non la soluzione ma perlomeno qualche consiglio da darmi,grazie

La risposta

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Gentile utente,grazie per aver spiegato tutto nel dettaglio, provo a darle una risposta in generale sulla problematica a titolo informativo e solamente di tipo nutrizionale. Ordine degli alimenti nel pasto: iniziare con verdure (es. insalata), poi proteine e grassi, e consumare per ultimi i carboidrati a più alto indice glicemico. Mangiare prima fibre e proteine e lasciare i carboidrati per ultimi riduce significativamente la glicemia post-prandiale (in uno studio, di circa il 29% a 30 minuti dal pasto) e comporta livelli di insulina più bassi rispetto a quando si assumono prima gli zuccheri. In altre parole, l’insalata come antipasto non è solo un luogo comune: le fibre rallentano l’assorbimento del glucosio e attenuano il picco glicemico e insulinico. Pasti piccoli e frequenti: distribuire l’introito in 5–6 piccoli pasti/spuntini durante la giornata (ogni ~3 ore) anziché fare poche abbuffate. Questo evita sia lunghi digiuni (che poi predispongono a rimbalzi glicemici) sia carichi di carboidrati concentrati in un solo pasto. In teoria, mantenere la glicemia più stabile con pasti frazionati dovrebbe prevenire i cali repentini. Tuttavia, come ha riscontrato, questa pratica può essere difficile da bilanciare: pasti troppo piccoli o poveri possono portare a dimagrimento eccessivo e a una sensazione di scarsa energia, mentre spuntini troppo frequenti o non ben calibrati possono mantenere l’insulina sempre elevata favorendo l’aumento di peso. È dunque cruciale trovare un equilibrio adatto a lei. Riduzione degli zuccheri semplici: ha tentato di eliminare quasi del tutto gli zuccheri dalla dieta. Effettivamente evitare dolci, bevande zuccherate e carboidrati raffinati è una colonna portante della dieta per ipoglicemia reattiva. Questi alimenti causano rapide impennate glicemiche seguite da crolli. Però eliminarli drasticamente senza adeguate sostituzioni può portare a calo di energie e “mente annebbiata”, dato che il cervello ha comunque bisogno di un minimo di glucosio. Quindi è meglio sostituire gli zuccheri semplici con carboidrati a basso indice glicemico anziché toglierli del tutto, garantendosi così carburante graduale per il cervello. Dato il suo feedback (dimagrimento e rallentamento cognitivo con troppi pochi carboidrati, poi aumento di peso e sonnolenza reintroducendoli), suggeriamo di adottare alcune strategie dietetiche mirate: Scegliere carboidrati complessi a lento assorbimento: prediliga alimenti integrali e ricchi di fibre. Ad esempio, pane integrale o di segale, pasta e riso integrali (in porzioni moderate), orzo, quinoa, legumi (ceci, lenticchie, fagioli). Questi cibi hanno un indice glicemico più basso e rilasciano glucosio più gradualmente, riducendo i picchi insulinici. Possono fornire energia senza quelle fluttuazioni brusche che causano i sintomi. Se nota fastidio dopo l’assunzione bisognerebbe controllare se il microbiota li fermenta troppo.  Bilanciare ogni pasto con proteine e grassi “buoni”: non consumi mai carboidrati da soli a stomaco vuoto. Abbini sempre una quota proteica (carne magra, pesce, uova, latticini magri o proteine vegetali come tofu/legumi) e una quota di grassi sani ad ogni pasto/spuntino. Proteine e grassi rallentano la digestione e l’assorbimento degli zuccheri, evitando impennate glicemiche. Inoltre apportano sazietà e nutrienti importanti. Esempi: uno spuntino potrebbe essere uno yogurt greco (proteine) con qualche noce (grassi buoni) invece di cracker da soli; a colazione, meglio uova o frutta secca assieme a una piccola porzione di cereale integrale, piuttosto che solo fette biscottate e marmellata. Nell’ambito dei grassi sani, sono ottimi l’olio extravergine d’oliva, l’avocado, le noci/mandorle, i semi oleosi, il pesce azzurro ricco di omega-3. Una combinazione esemplare di pasto bilanciato potrebbe essere: insalata mista iniziale condita con olio EVO e arricchita da qualche noce/avocado, a seguire un secondo di pesce o carne bianca con verdure, e un piccolo contorno di carboidrato integrale (es. 40–50 g di pane integrale). Così si ottiene un assorbimento lento e costante dei nutrienti. Evitare bevande alcoliche e stimolanti a stomaco vuoto: l’alcol può indurre ipoglicemia reattiva perché interferisce con la produzione epatica di glucosio, quindi andrebbe limitato e assunto solo insieme al cibo. Anche la caffeina (caffè forte soprattutto) può accentuare i sintomi in alcuni casi, perché stimola un rilascio di adrenalina che può far oscillare la glicemia; meglio non prenderla da sola a digiuno o in grandi quantità se nota che peggiora tremori/ansia. In generale, moderi l’assunzione di caffè e tè, e preferisca eventualmente il tè verde o tisane. Variare l’alimentazione e micronutrienti: segua una dieta il più possibile variata, ricca di verdura e frutta (fibre, vitamine), con adeguato apporto di proteine sia animali che vegetali, e cereali integrali diversi. Eviti di mangiare sempre gli stessi alimenti raffinati. La varietà migliora l’apporto di micronutrienti coinvolti nel metabolismo (es. cromo, magnesio, zinco sono importanti per la funzione insulinica). Una carenza nutrizionale potrebbe peggiorare l’instabilità glicemica. Inoltre, un’alimentazione monotona può contribuire a uno stato infiammatorio di basso grado e a squilibri metabolici. Varietà e cibi “veri” aiutano anche il microbiota intestinale (come vedremo dopo). Attività fisica regolare: l’esercizio fisico è un alleato fondamentale. Un’attività aerobica moderata e/o esercizi con i pesi praticati regolarmente migliorano la sensibilità all’insulina dei tessuti. Durante l’esercizio i muscoli consumano più glucosio e diventano più efficienti nel captarlo dal sangue grazie all’azione sui recettori insulinici. Ciò significa che dopo qualche settimana di allenamento potrà avere risposte glicemiche più stabili (il corpo gestirà meglio lo zucchero con meno insulina in circolo). L’ideale è combinare esercizi cardiovascolari (camminata veloce, corsa leggera, bicicletta, nuoto) con potenziamento muscolare. Anche 30 minuti di camminata al giorno sono utili. Faccia però attenzione a non allenarsi a stomaco vuoto prolungato per non rischiare ipoglicemia durante l’attività: meglio uno spuntino leggero pre-allenamento se sono passate molte ore dall’ultimo pasto. Gestione dello stress e sonno: stress elevato e privazione di sonno possono peggiorare l’equilibrio glicemico, perché alterano gli ormoni (cortisolo, adrenalina) che influenzano la glicemia. Cerchi di dormire a sufficienza con orari regolari – anche se riferisce di non avere sonno la sera, provi tecniche di rilassamento per favorire il riposo notturno. Un sonno adeguato aiuta a ridurre l’iperinsulinemia e migliorare la sensibilità insulinica. Inoltre adotti tecniche antistress (respirazione profonda, yoga, meditazione o semplicemente passeggiate) per tenere sotto controllo l’attivazione adrenergica che a volte accompagna i cali glicemici e può creare un circolo di ansia. Monitoraggio dei sintomi e della glicemia: continui a tenere un diario di ciò che mangia e dei sintomi che seguono. Questo può aiutarla a identificare quali alimenti o situazioni le provocano maggiore ipoglicemia o sonnolenza. Potrebbe anche essere utile, se non già fatto, misurare la glicemia capillare col glucometro quando avverte la sonnolenza diurna, per verificare se corrisponde effettivamente a un calo sotto i ~60–70 mg/dL (a volte la sonnolenza post-prandiale può avvenire anche senza ipoglicemia franca, ma per rapido declino glicemico). Avere questi dati aiuterà il medico a modulare la terapia. Le linee guida dietetiche sopra descritte sono in linea con quelle generalmente consigliate per l’ipoglicemia reattiva. Lei ha sperimentato sulla propria pelle che non è facile mantenerle a lungo termine in modo rigoroso, ma piccoli aggiustamenti possono fare la differenza nel suo caso (ad esempio, aggiungere fonti di grassi e fibre per evitare di dimagrire troppo, oppure ridurre leggermente la frequenza dei pasti se sta mangiando troppo spesso e ciò la porta a iperinsulinemia costante). L’obiettivo è stabilizzare la glicemia senza penalizzare né il peso forma né le energie mentali. Può valere la pena farsi seguire da un nutrizionista esperto, che la aiuti a elaborare un piano alimentare personalizzato, tarato sui suoi orari di lavoro e sulle sue esigenze caloriche, in modo da uscire dal circolo “ipo-iperglicemia” mantenendo un peso sano. Negli ultimi anni si è scoperto che il microbiota intestinale (l’ecosistema di batteri che vive nel nostro intestino) gioca un ruolo importante nel metabolismo degli zuccheri e nella regolazione dell’insulina. Un microbiota equilibrato produce sostanze benefiche e comunica con il nostro sistema ormonale; al contrario, uno squilibrio della flora intestinale (disbiosi) è stato associato a vari disturbi metabolici, compresi l’obesità, l’insulino-resistenza e il diabete di tipo 2. Come potrebbe il microbiota influenzare l’iperinsulinemia/ipoglicemia? I batteri intestinali fermentano le fibre alimentari (che il nostro intestino tenue non digerisce) producendo acidi grassi a catena corta (SCFA) come acetato, propionato e butirrato. Questi metaboliti hanno effetti positivi sul metabolismo glucidico: ad esempio migliorano la sensibilità all’insulina nei tessuti periferici e modulano la produzione di glucosio dal fegato. In uno studio su pazienti con ipoglicemia reattiva, una dieta macrobiotica ricchissima di fibre (dieta Ma-Pi 2) ha aumentato significativamente la produzione di SCFA da parte del microbiota intestinale, suggerendo un possibile effetto protettivo di questi metaboliti nel controbilanciare le alterazioni metaboliche tipiche della condizione. In sintesi, nutrire bene la flora intestinale con fibre potrebbe aiutare a smussare le fluttuazioni glicemiche. Il microbiota interagisce con il sistema endocrino intestinale. Ad esempio regola la secrezione di incretine come il GLP-1 e il GIP, ormoni rilasciati dall’intestino quando mangiamo che servono a potenziare la secrezione insulinica. Alcuni metaboliti batterici possono stimolare la produzione di GLP-1. In condizioni come la sindrome da bypass gastrico (dove il GLP-1 è eccessivo) si sospetta che cambiamenti del microbiota contribuiscano alle ipoglicemie post-pasto. Nel suo caso specifico (non operato) il concetto chiave è che un microbiota sano aiuta a modulare meglio la risposta ormonale ai pasti, evitando risposte insuliniche abnormi o disfunzionali. Alcune componenti del microbiota producono molecole che influenzano l’infiammazione sistemica e il metabolismo. Per esempio, determinati batteri intestinali possono produrre aminoacidi o derivati (come l’imidazolo propionato) che peggiorano la tolleranza al glucosio e l’azione insulinica. Viceversa, altri batteri producono sostanze (es. indolo-propionato, alcuni acidi biliari secondari, vitamine) che sembrano migliorare la funzionalità metabolica e ridurre l’infiammazione insulino-resistenziante. Un microbiota “favorevole” può quindi contribuire a tenere sotto controllo i processi infiammatori e ormonali legati all’iperinsulinemia. Cosa significa questo in concreto? Continuare a consumare abbondanti fibre da verdure, frutta a basso indice glicemico (frutti di bosco, mele, pere…), legumi e cereali integrali. La varietà di fibre nutre diverse specie benefiche nel microbiota, aumentando la produzione di SCFA utili. Se tollera bene i legumi, sono eccellenti sia per l’indice glicemico che per l’effetto prebiotico. Limitare gli alimenti ultra-processati e ricchi di zuccheri semplici, che non solo sballano la glicemia ma possono alterare negativamente la composizione batterica intestinale. Invece, alimenti fermentati naturali (yogurt, kefir, crauti non pastorizzati) e cibi integrali favoriscono una flora equilibrata. Valutare con il suo specialista l’uso di probiotici o prebiotici specifici: ad oggi non c’è un protocollo clinico standard per l’ipoglicemia reattiva, ma alcuni ceppi (ad esempio Bifidobacterium e Lactobacillus selezionati) e integratori di fibre solubili (inulina, psyllium, gomma di guar) hanno mostrato benefici metabolici. Un approccio prudente potrebbe essere provare, sotto consiglio medico, un prebiotico (fibre solubili aggiuntive) ai pasti per vedere se aiuta a ridurre i picchi glicemici: aggiungere ~5–10 g di fibre solubili a un pasto può abbassarne l’impatto glicemico. Le fibre vengono fermentate dal microbiota producendo SCFA benefici e rallentano l’assorbimento del glucosio.Tutto questo ovviamente va poi bilanciato in base alla terapia che le dara’ il medico competente. 

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