di Stefania Lupi
La rottura del tendine della spalla è un problema diffuso, che colpisce le persone con l’avanzare dell’età. Ma non solo. L’incidente può capitare anche a chi fa sport (specie basket e football), poiché i tendini sono sottoposti a stress da sforzo, e quindi sono ad alto rischio di rottura.
Che fare? A tutt'oggi la lesione si ripara con un'operazione in artroscopia: il chirurgo interviene all'interno dell'articolazione praticando un'incisione di pochi millimetri. Quindi procede "ricucendo" grazie all’uso di particolari microscopi.
Ma ora un nuovo intervento, messo a punto in Italia, permette addirittura di rigenerare i tendini della spalla, utilizzando il grasso addominale del paziente, ricco di cellule staminali. A realizzarlo sono gli specialisti dell’Istituto Ortopedico Gaetano Pini (CTO) di Milano, coordinati da Pietro Randelli, direttore della Prima Divisione dell’Istituto.
COME FUNZIONA LA NUOVA TECNICA
La tecnica è semplice: prelevato dall’addome, il grasso, contenente cellule staminali, viene “lavorato” in modo da ottenere un prodotto che, durante l’intervento in artroscopia, può essere applicato nel punto in cui il tendine è danneggiato, in modo da favorire e accelerare in modo naturale la guarigione.
«Questa procedura permette un recupero più veloce e riduce il dolore postoperatorio», spiega il professor Randelli. Ma non solo. «Poiché il paziente può contare su un impianto che deriva dal suo stesso organismo, si eliminano i rischi di una ricaduta, inconveniente che può capitare con l’artroscopia tradizionale, anche se viene eseguita alla perfezione (non è possibile, infatti, riportare il tendine lacerato alle condizioni originarie).
Sull’intervento al Pini-CTO di Milano è in atto anche un protocollo di ricerca di oltre un anno e mezzo. «In questo momento la sperimentazione è eseguita su due gruppi di pazienti: uno viene trattato con tecniche standard; al secondo gruppo, invece, viene applicato sul tendine danneggiato il grasso addominale della persona. I risultati preliminari confermano già una riduzione del dolore postoperatorio. Alla fine della sperimentazione in Italia la tecnica potrà avere maggiore diffusione anche negli USA, dove viene già valutata come molto innovativa», conclude il professor Randelli.
febbraio 2017
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