MATERNITY BLUES

La condizione detta maternity blues rappresenta la più comune delle problematiche di salute che possono insorgere nel puerperio: la sua frequenza è particolarmente elevata e, da diverse casistiche, risulta che dal 25 all’85% di tutte le donne che hanno partorito sperimenta una certa instabilità emotiva nelle prime due settimane dopo il parto. La sintomatologia comprende […]



La condizione detta maternity blues rappresenta la più comune delle problematiche di salute che possono insorgere nel puerperio: la sua frequenza è particolarmente elevata e, da diverse casistiche, risulta che dal 25 all’85% di tutte le donne che hanno partorito sperimenta una certa instabilità emotiva nelle prime due settimane dopo il parto. La sintomatologia comprende facilità al pianto (che ne costituisce il sintomo centrale), labilità emotiva, ansia, irritabilità, cefalea, astenia, diminuzione della capacità di concentrazione e talora un leggero stato confusionale; il quadro clinico si evidenzia generalmente nei primi 3-4 giorni dopo il parto e ha una durata di circa una settimana, entro la quale si risolve spontaneamente. Questa sindrome, pur essendo generalmente benigna e di scarsa rilevanza clinica, costituisce dal punto di vista psicologico il momento in cui inizia il “lavoro” della maternità e si decide la sua elaborazione: nei primi giorni dopo il parto, infatti, le angosce di separazione e di perdita sono vissute intensamente, l’orientamento affettivo della neomamma è mutevole e l’incertezza sulle proprie capacità materne, non ancora sperimentate, è molto presente.

Questo periodo si può considerare quindi una sorta di tempo di latenza affettivo, necessario per realizzare la rottura del legame fusionale con il feto e iniziare la relazione con il bambino reale e i suoi bisogni. Il fatto che questa condizione rientri nello spettro emotivo dei disturbi psichiatrici è confermato da una serie di fattori di rischio, che comprendono la presenza in famiglia di altre persone che hanno avuto disturbi psichiatrici e una storia clinica in cui sono già comparsi problemi di depressione o di disturbo disforico premestruale. Altri fattori di rischio evidenziati dagli studi scientifici e pubblicati in letteratura sono la presenza durante la gravidanza di eventi di vita stressanti, uno scarso adattamento sociale, sentimenti ambivalenti e modalità ansioso-depressive.


Trattamento

Data la transitorietà del fenomeno, non sono necessari interventi medici né psichiatrici specifici: rassicurazione, supporto e informazione sono generalmente sufficienti per aiutare la neo-mamma a superare il periodo problematico. In effetti, sebbene la sintomatologia sopra descritta possa essere dolorosa, di solito non si riflette sulle capacità della mamma di prendersi cura di sé e del proprio bambino. Le donne e i loro partner traggono beneficio dal supporto e dalla rassicurazione rispetto al fatto che sintomi di questo tipo sono comuni, transitori e di rapida risoluzione. Dato che le neo-mamme vengono generalmente dimesse dall’ospedale pochi giorni dopo il parto, esse spesso non ricevono informazioni su questa condizione: è quindi utile che, nel caso in cui compaia qualcuno dei disturbi sopra descritti, ne parlino con il loro medico sia per saperne di più sia per evitare di accrescere il loro stato di ingiustificata preoccupazione.

Le neo-mamme con maternity blues, rimanendo in contatto con il medico, potranno infine essere controllate nel tempo anche per assicurarsi che i sintomi non persistano o evolvano in una depressione puerperale; è importante infatti sapere che una donna su 5 che sviluppa uno stato di maternity blues presenta un episodio depressivo maggiore nel primo anno dopo il parto.


Maternity blues e altre condizioni psichiatriche puerperali

La condizione detta maternity blues deve essere necessariamente distinta da quella nota come depressione post-partum: nel primo caso infatti ci si trova di fronte a una condizione benigna, e in genere di scarsa rilevanza clinica, non meritevole dunque di trattamento farmacologico. Tuttavia, se tale condizione perdura nel tempo e si associa alla presenza di fattori ambientali poco protettivi (per esempio l’assenza di un supporto familiare o sociale ed elevati livelli di stress, oppure un’intensa conflittualità con il partner), potrebbe successivamente evolvere in una vera e propria depressione post-partum; in quest’ultima condizione, che in genere necessita di trattamento farmacologico, i sintomi presentano un’intensità e una durata nettamente superiori.

La depressione post-partum viene detta anche depressione puerperale, poiché interessa appunto il puerperio, ovvero la fase della donna che inizia dopo il parto e termina con la comparsa del cosiddetto capo parto (la prima mestruazione dopo il parto). Tale condizione depressiva tende in genere a insorgere entro il terzo mese dal parto, anche se si possono osservare depressioni puerperali più tardive anche a 9-12 mesi di distanza dal parto. Una depressione post-partum si può presentare con una frequenza che viene valutata tra il 9 e il 22% del totale, ma si ritiene che tali dati siano sottostimati, dal momento che molti casi non giungono neppure all’attenzione del medico. I sintomi di questa condizione clinica sono pressoché indistinguibili dagli episodi depressivi che possono insorgere in qualsiasi periodo della vita della donna. La donna tende a trascorrere buona parte della giornata avvolta in una coltre di tristezza, che le impedisce di dedicarsi al proprio piccolo, di solito si sente inadeguata e nello stesso tempo in colpa, poiché ritiene di non essere in grado di prendersi cura del suo neonato.

Talvolta la neo-mamma prova una forte tensione o irritabilità, si sente molto stanca, tende a piangere con estrema facilità, mostra una preoccupazione eccessiva per la salute del proprio figlio oppure la paura di avvicinarglisi, sino a rifiutarlo, o ancora teme di perdere il controllo di se stessa. La tristezza si protrae nel tempo (per un minimo di due settimane) e si associa alla difficoltà a concentrarsi; la neo-mamma non riesce a prestare cure adeguate al neonato né a far fronte alle varie incombenze domestiche o a dedicarsi ad attività che un tempo la gratificavano; altri sintomi sono la riduzione del desiderio sessuale, l’insonnia, l’aumento o riduzione dell’appetito. Una depressione post-partum adeguatamente trattata, anche farmacologicamente, può portare a una completa risoluzione del disturbo e al recupero di una serena relazione tra madre e figlio, soprattutto se la donna in passato non ha mai sofferto di episodi di depressione.

La psicosi post-partum è un’ulteriore condizione puerperale da distinguere: in essa i sintomi tendono a manifestarsi, entro le prime 3 settimane dal parto, in modo acutissimo. Possono comparire stati depressivi, oppure stati maniacali (cioè condizioni di estrema irritabilità o euforia con accelerazione delle idee) associati a deliri o allucinazioni uditive, con alterazioni del comportamento. Può capitare, per esempio, che la donna si trovi in una condizione di intensa agitazione psicomotoria, che non riesca a star ferma e si senta estremamente irritabile; accade anche che la neo-mamma sviluppi una convinzione delirante di tipo persecutorio (sostenendo per esempio che qualcuno voglia avvelenare il neonato) o che riferisca di udire voci (le cosiddette allucinazioni uditive) solo da lei percepite, voci che le possono suggerire azioni di vario tipo o che possono commentare quel che fa o dice. La psicosi post-partum deve essere necessariamente portata all’attenzione del medico e trattata farmacologicamente, talvolta anche ricorrendo all’ospedalizzazione, proprio per ristabilire l’armonia all’interno della coppia madre-figlio.

In sintesi, le tre condizioni appena esposte si potrebbero collocare lungo una linea immaginaria di gravità crescente, avente la maternity blues (condizione benigna) a un estremo e la psicosi post-partum (la condizione più complessa) all’estremo opposto, con nel mezzo la depressione post-partum. [C.M., J.S.]