Sin dai tempi dell’antica Grecia, l’omosessualità ha rappresentato per molti intellettuali una condizione del tutto naturale: numerosi artisti e poeti come Saffo l’hanno esaltata, e persino celebrata, attraverso produzioni poetiche e altre forme di espressione artistica e culturale; anche nel periodo del Rinascimento l’omosessualità veniva in qualche modo tollerata e fu raffigurata in numerose opere artistiche. Nel corso della storia, d’altra parte, vi sono stati momenti di crudele repressione: dal Medioevo italiano trecentesco ai tempi della Riforma e della Controriforma europea, sino al genocidio di omosessuali perpetrato, assieme a quello di ebrei, rom e altri “diversi”, ai tempi del nazionalsocialismo hitleriano. Il fatto che in realtà l’omosessualità non costituisca una condizione patologica o una devianza è noto sin dai tempi di Freud, che la considerava una variante della sessualità umana, e in particolare dal secondo dopoguerra, con la comparsa del Movimento di liberazione omosessuale, il grado di tolleranza è andato migliorando. Il termine omosessualità venne introdotto nel 1869 da Karl Maria Benkert, un intellettuale ungherese che cercò di darne una definizione meno discriminante, nel pieno rispetto della dignità dell’essere umano, eliminando i termini più carichi di giudizio morale sino ad allora utilizzati, per esempio sodomia o pederastia. Nel 1973, persino l’Associazione Americana di Psichiatria escluse definitivamente l’omosessualità dal gruppo delle malattie mentali e sulla stessa linea si mosse anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Nonostante il concetto di omosessualità abbia subito una radicale evoluzione nel corso della storia, esistono tuttora forti pregiudizi e il problema della stigmatizzazione sociale rimane una ferita aperta; per tutte queste ragioni, si sono creati vari movimenti sociali e politici, oltre a numerose associazioni di riferimento e di solidarietà per gli omosessuali (tanto che tale fisiologica condizione umana tende a configurarsi sempre più come una sorta di “terzo genere”) che tendono a raggiungere la parificazione di diritti e opportunità tra omo- ed eterosessuali.
Dimensione del fenomeno
In questo campo i dati sono per lo più incerti, a causa dell’inaccuratezza dei risultati ottenuti da interviste scarsamente attendibili su questo specifico argomento, che costituisce per molti una fonte di tabù. Studi più recenti hanno fornito una frequenza variabile tra l’1,5 e il 4% della popolazione generale, ma tali dati potrebbero essere sottostimati, appunto perché l’omosessualità spesso non viene dichiarata.
Terminologia
L’omosessualità viene attualmente considerata una condizione fisiologica dell’essere umano, che talvolta sin dai primi anni dell’infanzia tende ad abbozzarsi, sino a prendere definitivamente corpo nel periodo dell’adolescenza o della preadolescenza. Con questo termine s’intende l’attrazione verso gli individui dello stesso sesso, mentre il termine eterosessualità definisce l’attrazione verso gli individui del sesso opposto; con bisessualità si indica poi l’attrazione rivolta sia verso gli individui dello stesso sesso sia verso quelli del sesso opposto. Ciò premesso, va detto che in ogni essere umano eterosessuale convivono naturalmente sia parti appartenenti tipicamente al proprio sesso sia parti più simili al sesso opposto, le quali, se ben amalgamate e integrate, definiscono la condizione di eterosessualità: qualora prevalga in modo netto l’una o l’altra parte o le due parti coesistano ben distinte, si parla rispettivamente di omosessualità e bisessualità. Per sfatare pregiudizi che talora possono rappresentare motivo di ansia nei genitori, impreparati di fronte a tale argomento, è importante sottolineare come non sia sempre vero che aspetti comportamentali del genere “gioco da maschiaccio” nelle bimbe o “gioco con le bambole” nei maschietti corrispondano a una condizione preliminare dell’omosessualità. Infatti, anche persone eterosessuali adulte ricordano di aver utilizzato, in epoca infantile, giochi che di solito utilizzano individui del sesso opposto; in tal caso si esplica semplicemente un’indispensabile funzione legata al gioco, nella sua varietà di manifestazioni. Alcuni genitori rifiutano l’idea che il proprio figlio o la propria figlia siano omosessuali e, con ansia e preoccupazione, pensano erroneamente che siano affetti da una malattia mentale di cui si addossano le colpe. Va ribadito allora che l’omosessualità è una condizione normale, dunque non patologica, e che i genitori non hanno motivo di sentirsi in colpa; viceversa, è importante che questi imparino gradualmente ad accettare e rispettare l’identità di genere che è andata progressivamente costituendosi nei loro figli. Con il termine omofobia (letteralmente “paura dell’uguale”) si indica un senso di profonda repulsione verso gli omosessuali, che implica assenza di tolleranza, pregiudizio e gravissime forme di discriminazione; in qualche modo affine è la condizione detta eterosessualismo, cioè la convinzione che la relazione eterosessuale sia migliore rispetto a tutte le altre forme di sessualità, che comporta anch’essa la discriminazione dell’omosessualità rispetto ad altri tipi di sessualità.
Fattori biologici
Studi recenti indicano come fattori biologici e genetici possano essere correlati all’omosessualità. Sembrerebbe che nei maschi omosessuali vi siano livelli di androgeni nel sangue (gli ormoni tipici del sesso maschile) più bassi rispetto ai maschi eterosessuali, e tale condizione pare realizzarsi sin dall’epoca prenatale, tanto da orientare l’organizzazione del cervello. Viceversa, le donne omosessuali sarebbero esposte sin prima della nascita a livelli superiori di androgeni. Altri studi, genetici, hanno mostrato come vi sia una predisposizione familiare verso l’omosessualità.
Psicopatologia dell’omosessualità
Così come tra gli eterosessuali possono insorgere vari tipi di patologie psichiatriche, così pure nell’omosessualità si possono riscontrare le stesse patologie che si riscontrano tra gli eterosessuali. Fattori fondamentali che potrebbero contribuire allo sviluppo di patologie psichiatriche nell’omosessuale sono sicuramente:
- l’isolamento;
- la presenza di un ambiente familiare, lavorativo o sociale ostile, che non accetta o che discrimina l’omosessualità;
- la mancanza di informazioni adeguate sull’omosessualità (non malattia, ma vero e proprio genere sessuale).
La persona può trovarsi a vivere una situazione di intenso disagio, con profondi sensi di colpa o di autoaccusa e in alcuni casi potrebbe persino arrivare a chiedere aiuto allo psichiatra per “curare” la propria omosessualità e diventare così come tutti gli altri, cioè non più “un diverso”; tale condizione non è certo un sintomo dell’omosessualità che, come più volte ribadito, non è malattia ma “genere”. Quest’ultima richiesta di aiuto, in realtà, non è altro che il sintomo di un forte disagio, altrimenti definito orientamento sessuale egodistonico: l’omosessuale egodistonico non si sente emotivamente in sintonia con la propria sfera sessuale, per cui tende di fatto a rifiutare la stessa condizione di omosessualità. Tale disagio o disturbo psichico, a seconda dell’intensità dei sintomi, impedisce alla persona omosessuale di accettarsi per quello che è, con la possibilità di vivere la sessualità con naturalezza. La persona dunque tenderà, nel caso in cui vi sia una forte situazione di stress, a sviluppare nella maggior parte dei casi un disturbo dell’adattamento oppure una vera e propria depressione maggiore. [C.M., J.S.]