Disturbo da deficitdi attenzione e iperattività (ADHD)
Con il nome di sindrome da deficit di attenzione e iperattività, più comunemente nota come ADHD (acronimo dell’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder), si indica un disturbo neurobiologico nella elaborazione delle risposte agli stimoli ambientali caratterizzato da iperattività, impulsività, incapacità a concentrarsi. Si tratta di un problema conosciuto da tempo: il primo a descriverlo, nel 1902, […]
Con il nome di sindrome da deficit di attenzione e iperattività, più comunemente nota come ADHD (acronimo dell’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder), si indica un disturbo neurobiologico nella elaborazione delle risposte agli stimoli ambientali caratterizzato da iperattività, impulsività, incapacità a concentrarsi. Si tratta di un problema conosciuto da tempo: il primo a descriverlo, nel 1902, fu il dottor George Still.
Si stima che il 3-5% della popolazione in età scolare sia affetta da ADHD e che il disturbo sia circa quattro volte più frequente nei maschi rispetto alle femmine. L’esordio avviene prima dei 7 anni di età, ma le manifestazioni cliniche cambiano dall’età prescolare all’età adulta, compromettendo le tappe dello sviluppo e l’integrazione sociale del bambino, il quale diventa poi predisposto ad altre patologie psichiatriche e a disagio sociale.
Come si fa la diagnosi?
L’ADHD viene diagnosticato seguendo i precisi criteri descritti nel DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, manuale dell’American Psychiatric Association che distingue e classifica i vari disturbi mentali) e raccogliendo informazioni sul comportamento e sulla compromissione funzionale del bambino; a tal fine gli specialisti impiegano appositi questionari e interviste appositamente studiate e validate, che sottopongono a genitori, insegnanti e ai bambini stessi. I sintomi del disturbo devono comunque manifestarsi in almeno due contesti (famiglia, scuola, sport) per un tempo minimo di 6 mesi, comparire prima dei 7 anni di età e soprattutto risultare di tale intensità da interferire col “buon funzionamento” del bambino. Gli specialisti identificano tre sottotipi di ADHD:
- 1. iperattivo-impulsivo, nel quale prevalgono i sintomi relativi all’iperattività e all’impulsività;
- 2. attento, nel quale prevalgono la disattenzione e la difficoltà a mantenere la concentrazione;
- 3. combinato, nel quale sono presenti le due caratteristiche.
Il bambino con ADHD a scuola
Durante gli anni della scuola materna, i bambini con deficit di attenzione e iperattività mostrano in genere un comportamento meno maturo rispetto ai coetanei, ma è con l’inizio della scuola elementare che impulsività, iperattività e facile distraibilità appaiono più evidenti, in quanto interferiscono con l’insegnamento e l’apprendimento.
Questi bambini appaiono distratti, giocherellano con la gomma, passano da un compito all’altro senza finirne alcuno, perdono i libri, si alzano continuamente dal banco, lanciano oggetti, cambiano spesso posizione e hanno difficoltà a rimanere seduti; sono inoltre spericolati, precipitosi, non riflettono prima di agire, non aspettano il proprio turno e così facendo attirano su di sé rimproveri e la riprovazione dei compagni. Le difficoltà relazionali con i coetanei sono sempre presenti nel quadro dell’ADHD: ne deriva che, a causa del comportamento impulsivo e invadente, i bambini con deficit di attenzione e iperattività finiscono per essere degli emarginati, senza amici o con amici scelti tra i più piccoli e più instabili.
Il rendimento scolastico risulta inferiore alle potenzialità reali, poiché si sommano gli effetti del disturbo dell’attenzione, di un’alterata memoria di lavoro e di uno stile cognitivo impulsivo.
Un bambino con deficit di attenzione e iperattività vive un profondo disagio per il suo disturbo; un modo per aiutarlo è allora scoprire i suoi lati positivi, ciò che sa fare, gli piace e gli riesce meglio, rafforzare e incoraggiare i suoi “punti di forza”. Ciò aumenta l’autostima del bambino e crea i presupposti per un buon rapporto con l’insegnante e i coetanei.
È necessario che l’insegnante sia adeguatamente informato sulle caratteristiche del disturbo, su come utilizzare procedure di modificazione del comportamento in classe, su come strutturare l’ambiente-classe e le strategie didattiche per facilitare l’apprendimento dell’alunno con ADHD e per favorire il suo miglior inserimento tra i compagni.
L’adolescente con deficit di attenzione e iperattività
Con la crescita alcune manifestazioni tendono a diminuire, per esempio l’iperattività si attenua o viene avvertita come senso di irrequietezza interiore, ma tendono ad aumentare i comportamenti legati all’impulsività e le condotte a rischio. Un ragazzo con ADHD è probabilmente cresciuto nella convinzione di non essere “bravo” come gli altri, vive sentimenti di diversità , ha scarsa fiducia in sé stesso, non tollera la frustrazione, ha difficoltà a organizzare lo studio e a mantenere le amicizie; spesso ha inoltre accumulato una serie di insuccessi scolastici che contribuiscono a minare la sua autostima e rendono difficile il suo inserimento nel mondo lavorativo.
Questi presupposti rendono frequente l’insorgere di un disturbo del comportamento con negativismo e atteggiamenti provocatori, aggressività, litigi con i coetanei e con gli adulti e tendenza a porsi in situazioni di pericolo.
Prognosi
L’ADHD va considerato una malattia cronica, con un picco di prevalenza in età scolare.
Nel 35% dei casi il decorso prevede una graduale attenuazione dei sintomi, tale da permettere lo svolgimento di una vita normale; nel 50% dei soggetti si assiste a una progressiva riduzione dell’iperattività e a una maggior capacità di concentrazione, anche se resta un ritardo cognitivo e relazionale rispetto ai coetanei; nel 15% dei casi, infine, i sintomi persistono e vengono spesso complicati dalla coesistenza di altri disturbi psichiatrici, condizioni che rendono frequenti per questi soggetti l’abbandono scolastico, i continui cambiamenti o la perdita del lavoro, oltre che comportamenti antisociali.
Trattamenti
Scopo principale degli interventi terapeutici deve essere il miglioramento del benessere globale del bambino: ciò significa cercare di migliorare le relazioni interpersonali con genitori, fratelli, insegnanti e coetanei; diminuire i comportamenti dirompenti e inadeguati; migliorare le capacità di apprendimento scolastico; aumentare le autonomie e l’autostima; migliorare l’accettabilità sociale del disturbo e la qualità della vita dei bambini affetti.
La terapia dei soggetti con ADHD segue generalmente tre indirizzi principali:
- ▪ psicocomportamentale;
- ▪ farmacologico;
- ▪ combinato (psicocomportamentale e farmacologico).
La terapia psicocomportamentale prevede incontri di parent training, finalizzati a migliorare le abilità genitoriali nel gestire i problemi che quotidianamente insorgono, e la consulenza sistematica agli insegnanti su argomenti quali le caratteristiche dell’ADHD, l’utilizzo di procedure per modificare il comportamento, l’organizzazione dell’ambiente classe, le strategie didattiche più efficaci per facilitare l’apprendimento nel bambino con ADHD e migliorare la relazione tra il bambino e i suoi compagni.
Gli interventi psicocomportamentali sono indicati principalmente nelle forme inattentive e in quelle meno gravi, nelle quali non sono presenti forte impulsività o disturbi comportamentali.
La terapia farmacologica in Italia prevede la somministrazione di metilfenidato e atomoxetina. Questi farmaci agiscono modulando le capacità di attenzione, autoregolazione e memoria di lavoro, migliorando inoltre l’interazione sociale. La comparsa dell’effetto del farmaco è rapida, e già entro la prima settimana di trattamento si ottengono benefici valutabili; l’utilizzo può protrarsi per anni, anche nell’età adulta, e non comporta la riduzione degli effetti terapeutici. La terapia farmacologica è indicata soprattutto per le forme più gravi e invalidanti di ADHD.
Le terapie combinate si sono dimostrate quelle con i migliori risultati: nel caso in cui la sola terapia psicocomportamentale non fosse sufficiente, è consigliabile combinarla alla terapia farmacologica. Studi scientifici hanno dimostrato che abbinando i due tipi di trattamento è possibile utilizzare dosi minori di farmaco. [S.C.]