Psicosi

L’impiego nel linguaggio comune del termine psicosi può talvolta comportare un’estrema confusione, poiché si finisce per far riferimento a un’ampia gamma di manifestazioni psichiatriche che spaziano dai disturbi psicotici propriamente detti, come la schizofrenia e il disturbo delirante, a disturbi dell’umore quali la depressione psicotica e il disturbo bipolare, quest’ultimo definito un tempo psicosi maniaco-depressiva. […]



L’impiego nel linguaggio comune del termine psicosi può talvolta comportare un’estrema confusione, poiché si finisce per far riferimento a un’ampia gamma di manifestazioni psichiatriche che spaziano dai disturbi psicotici propriamente detti, come la schizofrenia e il disturbo delirante, a disturbi dell’umore quali la depressione psicotica e il disturbo bipolare, quest’ultimo definito un tempo psicosi maniaco-depressiva.

Il concetto di psicosi è stato ed è ancora talvolta utilizzato in modo fuorviante persino dagli stessi psichiatri, appunto perché riferito ai più disparati disturbi psichici.

Per seguire in modo corretto le indicazioni della terminologia psichiatrica, verranno di seguito strattati i disturbi psicotici e, in modo sintetico, gli aspetti psicotici dei disturbi dell’umore, anche se questi ultimi esulano dall’argomento da trattare.


Cenni storici

Il motivo per cui anche tra psichiatri spesso non ci si intende quando si parla di psicosi trae le sue origini dalla psicopatologia ottocentesca: già allora esistevano varie scuole di pensiero (per esempio quella francese o quella tedesca) e ancora oggi far riferimento a scuole di pensiero diverse potrebbe portare a errori diagnostici, in quanto magari si pensa di riferirsi a una sola malattia mentale, mentre in realtà si sta parlando di malattie diverse.

Per porre rimedio alla possibilità di fraintendimenti, ci si basa oggi su veri e propri manuali di classificazione delle malattie mentali che impiegano un linguaggio chiaro e condivisibile tra i vari operatori della salute mentale, in modo da chiarire buona parte delle differenze tra le varie patologie.

Fu Benedict Morel, psichiatra francese del XIX secolo, che descrisse un particolare tipo di psicosi che conduce a deterioramento cognitivo e che utilizzò il termine demenza precoce per indicare quel disturbo che oggi definiremmo schizofrenia. Morel aveva individuato pazienti che sviluppavano quel disturbo nell’adolescenza e tendevano a deteriorare precocemente sul piano cognitivo. Quell’accezione di demenza precoce, un tempo impiegata, non va però confusa con la demenza vera e propria (per esempio di origine circolatoria o degenerativa), che ha caratteristiche completamente diverse e il cui sintomo cardine è la perdita di memoria, a differenza della schizofrenia, nella quale, come di seguito verrà chiarito, esistono sintomi diversi.

Lo psicopatologo Emil Kraepelin, vissuto tra il XIX e il XX secolo e contemporaneo di Freud, aveva distinto nettamente la dementia praecox, cioè la schizofrenia, da un’altra forma di psicosi, che definì paranoia, e dalla psicosi maniaco-depressiva, attualmente classificata come un disturbo dell’umore; il termine demenza precoce venne poi definitivamente sostituito dal termine schizofrenia da Eugen Bleuler, contemporaneo di Kraepelin.


Breve cenno alla psicopatologia delle psicosi

Per psicosi si intende un’alterazione del rapporto di realtà, cioè della relazione che la persona ha con l’ambiente circostante oppure anche con l’ambiente interno a sé, dato che la realtà può essere esterna o interna al soggetto.

Il rapporto di realtà può essere alterato dalla presenza di deliri o di allucinazioni, che caratterizzano appunto la condizione psicotica.


Il delirio

Il delirio è una convinzione falsa, impermeabile alla critica e incorreggibile dall’esperienza: il paziente non si rende affatto conto di essere delirante e nonostante l’esperienza altrui cerchi di dimostrargli il contrario, questi non riesce a correggersi, cioè non modifica in alcun modo il proprio delirio.

Un esempio Un paziente sviluppa la convinzione di essere inseguito e perseguitato dalla mafia e nonostante le persone a lui vicine gli spieghino che tutto attorno a lui è tranquillo, che non vi sono persecutori, che la mafia, per quanto possa davvero esistere, non ha comunque nulla a che vedere con lui, egli rimane indifferente alle spiegazioni e resta bloccato nella sua convinzione certa e irremovibile. Si tratta in questo caso di un delirio persecutorio.


Le allucinazioni

Lo stesso paziente potrebbe anche udire una o più voci che gli parlano alle spalle, lo minacciano, commentano tra loro oppure che gli impartiscono ordini: in questo caso si tratta di allucinazioni acustiche.

L’allucinazione è infatti una percezione che si ha “senza oggetto da percepire”, secondo la definizione del francese Enri Ei.

Il paziente ode per esempio una voce o un canto, ma quel suono o quel canto nella realtà è assente e dunque non può essere percepito da altre persone, fuorché dal paziente stesso. Per fare qualche esempio, il paziente (ma solo lui e nessun altro) ode suoni o voci (allucinazione uditiva), vede diavoli o luci (allucinazione visiva) o sente odori (allucinazione olfattiva) o sente traballare il terreno sotto i piedi come se il pavimento stesse per crollare (allucinazione cenestesica). Si ricorda qui per inciso che allucinazioni visive e olfattive possono riscontrarsi anche in disturbi psicotici dovuti a particolari malattie (per esempio un tumore cerebrale) o nelle intossicazioni da droghe o alcol. Per questo motivo i medici devono sempre studiare con attenzione un soggetto prima di fare una diagnosi.


I principali disturbi psicotici

Schizofrenia È un disturbo psicotico alquanto complesso, presenta in genere un’età d’esordio in tarda adolescenza ed è più precoce tra i maschi rispetto alle femmine; un importante studio ha stimato che nel corso della vita lo 0,6-1,9% delle persone può sviluppare questo disturbo, la cui durata non è mai inferiore ai sei mesi, anche se in genere tende a cronicizzare e a presentare riacutizzazioni. È stata riconosciuta per questa malattia una forte componente genetica e si ritiene che i parenti di individui che ne sono affetti abbiano un rischio di sviluppare la schizofrenia molto più alto rispetto al resto della popolazione.

Questa “predisposizione genetica” non significa che necessariamente si svilupperà una schizofrenia, bensì che la malattia è “ereditabile”: non si eredita cioè la schizofrenia in sé, ma una certa suscettibilità ad ammalarsi in presenza di determinati fattori ambientali. Detta in altre parole, il figlio di un soggetto schizofrenico potrebbe nascere anche del tutto normale e non sviluppare mai il disturbo: in sostanza, la possibilità di sviluppare la schizofrenia dipende dall’interazione tra fattori genetici e ambientali. Mediante particolari metodi di esame cerebrale (per esempio la RMN, risonanza magnetica nucleare), sono state osservate alterazioni in specifiche aree del cervello (per esempio una riduzione del lobo temporale) che peraltro non sono affatto specifiche del disturbo e tali da consentire una diagnosi certa. Al giorno d’oggi, quindi, la diagnosi si basa sui disturbi presentati dal paziente, anche se sono state descritte alterazioni a livello di alcuni cromosomi degli individui affetti da schizofrenia. La schizofrenia rappresenta una condizione in cui vi può essere una notevole disgregazione dell’identità della persona, con comparsa dei cosiddetti sintomi positivi: deliri, allucinazioni (principalmente uditive, ma anche olfattive, visive e cenestesiche), alterazioni del comportamento, disorganizzazione del pensiero (pensiero disarticolato con eloquio poco coerente e poco comprensibile) al punto che il paziente si esprime in modo apparentemente illogico e insensato. Ai sintomi positivi possono associarsi in modo variabile anche i sintomi negativi: alterazioni dell’affettività, della volontà, del desiderio e delle emozioni, cioè una sorta di “appiattimento affettivo” con abulia, apatia e ritiro sociale.

La schizofrenia in genere compromette fortemente il soggetto a livello delle relazioni interpersonali, dunque a livello familiare, lavorativo e sociale.

Esistono vari tipi di schizofrenia:

  • disorganizzata, in cui prevale la disorganizzazione del pensiero, per cui il paziente presenta idee molto disarticolate, spesso slegate le une dalle altre, oltre ad alterazioni del comportamento;
  • paranoide, in cui dominano i deliri e le allucinazioni uditive;
  • indifferenziata, in cui sono presenti sintomi sia del tipo disorganizzato sia del tipo paranoide;
  • catatonica, in cui prevalgono alterazioni gravi del comportamento, come il blocco dei movimenti, l’agitazione o l’assunzione di posizioni bizzarre;
  • residua, in cui prevalgono i sintomi negativi come il ritiro sociale, l’appiattimento affettivo e l’apatia.

Disturbo schizofreniforme Potrebbe essere definito una sorta di schizofrenia “in miniatura”, nel senso che il disturbo dura meno di sei mesi e di solito non determina compromissione a livello lavorativo, familiare e sociale, sempre che venga adeguatamente trattato. I sintomi sono gli stessi della schizofrenia (deliri, allucinazioni, alterazioni del comportamento e così via) e talvolta questa condizione può evolvere in franca schizofrenia; rispetto a quest’ultima il disturbo schizofreniforme sembra essere meno osservato nei Paesi sviluppati e più presente in quelli in via di sviluppo.

Disturbo delirante I dati numerici di questo disturbo sono incerti, ma si ritiene che colpisca all’incirca lo 0,03% della popolazione. Tende a esordire in età più avanzata, ma talvolta compare anche nell’adolescenza. Il sintomo fondamentale è la presenza di un delirio lucido, ben organizzato e dunque comprensibile. Possono anche coesistere allucinazioni tattili od olfattive, ma in genere hanno attinenza con il delirio: per esempio, nel disturbo delirante somatico un paziente potrebbe esprimere la convinzione delirante di avere una malattia della pelle e potrebbe sentirsi infestato da piccoli parassiti (delirio da infestazione), che sente ache strisciare sulla pelle (allucinazione tattile), e potrebbe riferire di sentirne l’odore pungente (allucinazione olfattiva).

Esistono fondamentalmente cinque tipi di disturbo delirante:

  • delirio di gelosia (o sindrome di Otello), convinzione delirante che il proprio compagno o la propria compagna tradisca;
  • delirio somatico, per cui il paziente è convinto fermamente di avere una malattia o un difetto fisico, non come nell’ipocondria (disturbo ben diverso e meno grave del disturbo delirante somatico), in cui invece il paziente è soprattutto preoccupato o timoroso di avere una malattia fisica;
  • delirio persecutorio, convinzione delirante di essere perseguitato, per esempio da un vicino di casa, da un vigile ecc.;
  • delirio erotomanico, incentrato sulla convinzione del paziente di essere amato da una persona di rango superiore al proprio; è quanto capita, per esempio, a un guardiano di una villa che sviluppa un delirio in cui è convinto che la nobile proprietaria della villa sia innamorata di lui e voglia sposarlo;
  • delirio di grandezza in cui il soggetto è convinto di avere poteri speciali o doti superiori al normale, oppure di essere in contatto con personaggi famosi.


Trattamento dei disturbi psicotici

In passato i pazienti psicotici venivano trattati principalmente con farmaci neurolettici classici (altrimenti detti antipsicotici) come la clorpromazina, scoperta nel 1954 e allora definita come “una sorta di camicia di forza chimica”. In seguito sono stati impiegati molti altri neurolettici classici come l’aloperidolo e lo zuclopentixolo, tuttora utilizzati, ma si è osservato che i neurolettici classici in soggetti predisposti potevano dar luogo a effetti collaterali indesiderati come tremori, rigidità o disturbi del sistema cardiocircolatorio.

Sono stati quindi introdotti nuovi farmaci, i neurolettici atipici (quetiapina, olanzapina, clozapina, risperidone e altri) caratterizzati dal fatto di non provocare gli effetti collaterali tipici dei neurolettici classici.

[J.S., C.M.]