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Ortoressia, storia vera. «L’ossessione per il “cibo sano” mi stava uccidendo»

Studentessa modello e ginnasta con un fisico al top, Laura si era imposta, senza un vero motivo, di controllare la sua dieta. Qui ci racconta la sua storia, di malattia e guarigione, per convincere tante ragazze a curarsi come ha fatto lei



«La mia è una storia di controllo maniacale del cibo, iniziata 6 anni fa, quando avevo 17 anni. Mai avrei pensato che una cosa del genere sarebbe successa proprio a me», racconta Laura, nel 2014 studentessa modello di un Liceo Classico milanese e ginnasta agonista con risultati eccellenti.

«Suonavo la tastiera, amavo la musica, scrivere, viaggiare e amavo lo sport, per il benessere che è capace di generare dentro e fuori. Avevo un fisico al top: 58 kg di muscoli sani per 1,70 m di altezza, eppure… nell’ottobre di quell’anno decisi di “mangiare meglio”. Era una scelta inconsapevole, motivata forse dal desiderio di migliorare le mie performance atletiche o dall’esigenza di allinearmi alle mode alimentari sempre più diffuse. Se dovessi spiegarne ora il motivo non saprei cosa dire, a dimostrazione di quanto inconscia possa essere l’origine di un’attenzione al cibo che nell’arco di così poco tempo può diventare la più grande ossessione».


Menu sotto stretto controllo

Un’ossessione pericolosa che porta il nome di ortoressia (dal greco orthos = giusto e orexis = appetito): la meticolosa attenzione per i pasti sani. Non è ancora ufficialmente considerata una vera patologia, ma i dati del Ministero della Salute sono allarmanti. In Italia, su oltre 3 milioni di persone con un disturbo del comportamento alimentare, circa 450 mila sarebbero ortoressiche e a rischio di diventare bulimiche o, come è successo a Laura, anoressiche.


Troppi chili persi in pochi mesi

«A gennaio 2015 il mio peso era già sceso a 50 kg, 6 mesi dopo era precipitato a 43: 15 kg in meno di consapevolezza, di serenità, di lucidità», ricorda Laura.

«Avevo eliminato per primi i cibi più ricchi di calorie, come le patatine fritte e l’hamburger dei fast food, la pizza, i dolci. Poi la carne, a eccezione del pollo, la pasta, il pane e tutti i cereali, i pesci più grassi, fino ad arrivare a un menu che comprendeva soltanto verdura condita, frutta, bevande zuccherate».

Laura non aveva più forze. «Una sera il mio cuore iniziò a battere sempre più lentamente e mi sentii morire», racconta. «Eppure, dentro di me c’era una voglia di vivere così forte, che mi portò a chiedere aiuto ai miei genitori. Arrivai al Pronto Soccorso dell’ospedale Niguarda di Milano appena in tempo. Non dimenticherò mai le parole del medico che accolse me, ormai maggiorenne, dicendomi: “Se vuoi vivere, devi volerlo e richiederlo tu”. Lo feci senza esitare e mi fu chiaro più che mai quanto fossi disposta a tutto per riprendere in mano la mia esistenza. Passai diversi giorni in ospedale, alimentata artificialmente. Dopo le dimissione mi proposero un programma di ricovero in day hospital, che sarebbe durato 6 mesi».

Laura trascorreva l’intera giornata in ospedale: leggeva, scriveva, giocava a carte con altre ragazze della sua età, imparava a reintrodurre molto gradualmente tutti i cibi che aveva prima escluso dalla dieta e una volta alla settimana faceva una seduta di psicoterapia.

«Questa cura mi era servita molto per riassestarmi fisicamente e riportare i parametri vitali a un livello sufficiente», commenta Laura. «Ma una volta terminata mi resi conto che la vera sfida doveva ancora iniziare. Sarei riuscita ad affrontare di nuovo la vita senza ricadere nei vecchi “errori”?».


Le ultime ombre da scacciare

L’inizio dell’Università, alla facoltà di ingegneria, aveva aperto per Laura un capitolo nuovo, segnato dal desiderio di abbandonare il pensiero del cibo, che si faceva sempre più debole, e di abbracciare progetti nuovi.

«In cuor mio però sentivo che c’era ancora qualche ombra da scacciare. Così nell’estate 2018 ho chiesto aiuto a un medico tra i più esperti nella cura dei disturbi del comportamento alimentare: la dottoressa Arianna Banderali, che mi ha seguito per 4 mesi».


Il mostro non fa più paura

«È stata lei a darmi lo slancio necessario per superare definitivamente l’ossessione per il cibo, a trasmettermi la consapevolezza che “una caloria è una caloria” e che un’alimentazione sana è equilibrata ma non controllata, bilanciata ma non maniacalmente misurata, flessibile e compatibile con la vita sociale, oltre che artefice del benessere psico-fisico di ciascuno di noi», continua Laura.

«Sono tornata al mio peso normale e ho iniziato un percorso di autoanalisi, che ha saputo fornirmi gli strumenti cognitivi e comportamentali per affrontare quel mostro che ancora sopravviveva in me come un problema scientificamente risolvibile. Se ce l’ho fatta, e adesso sto bene, è grazie anche ai miei genitori che mi sono stati accanto, tenendomi per mano, dall’inizio alla fine, con la forza di rimproverarmi a ogni sbaglio e abbracciarmi a ogni successo».



I campanelli d’allarme

Come messo in luce dalla storia di Laura, l’attenzione eccessiva per una dieta sana può essere patologica (in questo caso parliamo di ortoressia) e aprire la strada a una malattia ancora più seria come l’anoressia. L’ultima edizione del Manuale diagnostico e statistico del disturbi mentali (DSM-5) ha riunito tutti i gravi problemi alimentari sotto un’unica sigla: Arfid (o disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione del cibo).

«Se una giovane inizia a eliminare alcuni alimenti dal menu con le motivazioni più diverse (ho paura di ingrassare, sono intollerante, non mi piace...) e/o si rifiuta di uscire a cena con gli amici, è dunque meglio sentire subito il parere di un medico esperto in disturbi del comportamento alimentare», consiglia la dottoressa Arianna Banderali, che da 30 anni si occupa di questi problemi in tutte le fasce d’età.



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Articolo pubblicato sul n. 11 di Starbene in edicola dal 25 febbraio 2020


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