Fratture, le alternative al gesso

Dai tutori alle biotecnologie: ecco le tecniche che hanno rivoluzionato questo campo, presentate dal professor Giorgio Maria Calori, tra i massimi esperti di tecniche
riparative delle fratture



«I tutori, le biotecnologie (anche con iniezioni di cellule multipotenti e
fattori di crescita) e la chirurgia, che è così mininvasiva da
permettere di guidare solo una settimana dopo la frattura, hanno
rivoluzionato davvero questo campo», spiega il professor Giorgio Maria
Calori (nella foto)
, presidente Estrot (Società Europea di Rigenerazione Tissutale in
Ortopedia e Traumatologia)
e uno dei più grandi esperti in tecniche
riparative delle fratture.

Il gesso da usare in ortopedia veniva estratto dalla creta del passo della
Cisa e lavorato dai gessisti, che riuscivano a modellarlo per qualsiasi
parte del corpo da bloccare. «Oggi si usa ancora, soprattutto nei bambini,
ma spesso è sostituito da gessi sintetici con polimeri plastici già fatti.
Gessi "vecchi" e più recenti, tuttavia, non ottengono i risultati delle
nuove tecniche mininvasive, che assicurano la ripresa anche in una
settimana, invece dei 3 mesi di un gesso», spiega il professor Calori.
«Inoltre, i gessi possono avere effetti collaterali. Come la rigidità
delle articolazioni a monte e a valle della frattura, a causa della lunga
immobilità. O allergie al cotone che li riveste. Persino infezioni
cutanee, se ci si gratta col ferro da calza (la ferita rimane nascosta nel
gesso). Infine, se c’è una compressione eccessiva, possono risentirne
circolazione e nervi, in modo anche grave».

Ma quali sono le rotture che non si ingessano più? E le alternative? Ecco tutte le risposte

Se hai le dita rotte: niente più gesso, si usa la chirurgia mininvasiva.
«Oggi, senza tagli, si possono sistemare bene le ossa delle dita inserendo
per via percutanea i fili di Kirschner, fili rigidi e sottili in grado di
immobilizzare frammenti ossei di una frattura scomposta», spiega il
professor Giorgio Maria Calori. «Oppure si usano viti speciali senza
capocchia (così non sporgono dall’osso) che, praticando un solo forellino,
risolvono il problema».

Per il polso: addio ai fissatori esterni, quegli strumenti metallici che
spuntano dalla pelle e servono a tenere in sezione (o allungare) la parte
da guarire. «Oggi si fa un taglio di pochi centimetri sul palmo della mano
(accesso volare), si riducono i frammenti del polso e si inseriscono delle
miniplacche che permettono una ripresa immediata», spiega il professor
Calori. «Bisogna operare subito, ricostruendo al più presto il polso
danneggiato, anche utilizzando le biotecnologie (vedi ginocchio) per
ottenere una rigenerazione veloce e perfetta. Altrimenti si rischia di avere la mano storta e, nel tempo,
di soffrire di una dolorosa artrosi».

Se la frattura del braccio è minima e composta: cioè l’osso non è a
pezzettini e la rottura è ridotta (per esempio fra la parte finale
dell’avambraccio e il polso) non si ingessa più, ma si punta su un tutore (ortesi). «Sono già pronti, sono costruiti con materiali che non danno problemi alla cute, si possono regolare, togliere per lavarsi e proteggono dai colpi», spiega il nostro esperto. «Si dividono in statici (tengono ferme le due parti
rotte) e dinamici, che permettono o inducono un movimento del braccio (con speciali molle) in
modo da farlo guarire mantenendo la funzione articolare a monte e a valle,
preservando così anche i muscoli, che non diventano fragili (è uno degli
effetti collaterali più comuni del gesso). Se la frattura è complessa si
punta sulla chirurgia e sulle placche. L’intervento si fa in un’ora e il
paziente muove subito il braccio senza gesso».

Per il gomito: buone notizie per chi incorre nella diffusa frattura del
capitello radiale, quella parte del gomito che fa da cardine e si innesta
sull’avambraccio. «Uno studio condotto per 30 anni del Club italiano di
Osteosintesi dimostra che la ricostruzione con microviti e microplacche
(valide in molti i casi) dà risultati sovrapponibili alla resezione del
capitello radiale, che però permette una ripresa immediata».

Il mosaico ricomposto: quando il ginocchio si frattura è come un mosaico
che crolla a terra. «Per ricostruirlo va risollevato inserendo una speciale rete che lo tenga in posizione», spiega il professor Giorgio Maria Calori. «Questa struttura può essere fatta di cemento (bicompatibile per uso ortopedico), di osso sintetico o altri materiali biologici».

Se manca l’osso: in tutti i casi in cui la frattura sia tale da dare o
portare nel tempo a una perdita d’osso, le biotecnologie rigenerative sono oggi un vero asso nella manica, per il ginocchio ma anche per la testa del femore, il gomito, la spalla e altre parti. «Si chiama Politerapia, e consiste nell’utilizzare, insieme o singolarmente, le cellule multipotenti mesenchimali stromali, i fattori di crescita messi a punto in laboratorio e altre sostanze che inducono la
ricrescita dell’osso nella parte lesionata», spiega Calori, che è un pioniere in questo campo. «Queste terapie possono essere inserite su piccoli contenitori (scaffold) chirurgicamente inseriti nella zona da
guarire, ma in certi casi si possono iniettare. Riusciamo così a far ricrescere l’osso laddove manca, garantendo guarigioni fino a ieri impossibili».

Per la gamba: nonostante ci sia ancora qualcuno che li fa, i gessi che coprono tutto l’arto non dovrebbero più vedersi. «Se siamo lontano dalle articolazioni sono innanzitutto i mini-chiodi e le mini-viti la soluzione meno invasiva per rimettersi subito in piedi», spiega il nostro esperto. «Per la tibia e i malleoli, invece, puntiamo su placche anatomiche che rispettino al massimo la forma di queste parti dello scheletro».

Per il femore: l’osso più famoso per le rotture, soprattutto dopo la menopausa (quando l’osteoporosi e l’artrosi remano a favore delle fratture), a seconda del punto lesionato può essere riparato in fretta e con piccoli tagli. «Per la precisione di un centimetro, se è colpita la
parte mediale», dice Calori. Si praticano dei forellini per inserire le viti di biomateriali che si riassorbono fissando l’osso. Se è coinvolta la parte laterale, si evita il fissatore esterno utilizzando speciali chiodi
bloccanti con fili guida che richiedono tagli di 2 centimetri. Il paziente può caricare la gamba immediatamente, cosa che prima non era possibile.

Per il piede: come per la mano, basta con lo stivaletto di gesso. Si usano i fili di Kirschner o le viti cannulate. E cammini subito.

PER SAPERNE DI PIU':

Estrot

Studio Calori

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