Social freezing, il congelamento degli ovuli: cos’è e perché è sempre più richiesto

Si chiama Social freezing: è la conservazione degli ovuli sottozero per mantenere alto il potenziale riproduttivo anche col passare degli anni. Una scelta che fanno sempre più giovani italiane



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Meglio un uovo oggi, ma da riporre nel congelatore. È la nuova tendenza delle giovani italiane under 35: crioconservare il proprio patrimonio riproduttivo per poterlo usare, intatto di tutte le sue potenzialità, nel futuro, anche dopo la boa dei 40. Per motivi economici, perché non si è ancora pronte, perché non si è trovata l’anima gemella… Non importa. Il freezing, cioè il congelamento degli ovuli, è diventato “social”, cioè pianificato non per cause di salute, ma per strategia procreativa.

«Siamo in una società dove tutto è ritardato », commenta la dottoressa Valeria Vanni, ginecologa presso l’Ospedale San Raffaele di Milano. «L’uscita di casa, l’ingresso nel lavoro e l’indipendenza economica sono da anni spostati in avanti, e questo ritarda la maternità. Quello che è cambiato in questi ultimi tempi è invece la consapevolezza di poter preservare la fertilità e una maggiore scientificità nell’approccio alle tecniche di conservazione, partite inizialmente, soprattutto in altri Paesi come la Gran Bretagna, all’insegna del business: si congelavano gli ovociti di quarantenni che poi avevano un tasso di natalità molto basso, contro il 30-40% ottenibile se la procedura si fa sotto i 35 anni (sotto i 30 si alza ulteriormente)».


Congelamento degli ovuli, richieste in aumento

Il fenomeno del Social freezing è dunque in espansione, ma è diventato più consapevole, e quindi più efficace in termini di riuscita.

«Arrivano da noi ragazze sempre più giovani, e quindi con grandi probabilità di successo una volta deciso di avere la gravidanza», spiega la dottoressa Vanni. «Merito dei medici curanti di famiglia e dei ginecologi, che oggi conoscono queste possibilità anche in quei casi in cui non c’è una patologia che le suggerisce come opzione quasi necessaria. Ormai le richieste sono centinaia all’anno nella nostra realtà, e in costante crescita».


Crioconservazione, un percorso abbastanza veloce

Ma come si svolge oggi il percorso di una donna che vuole crioconservare i propri ovociti? «Tutto inizia con un colloquio con il ginecologo specializzato in queste tecniche, al quale segue la misura della riserva ovarica, che si ottiene grazie a una semplice ecografia e alcuni dosaggi ormonali nel sangue», spiega l’esperta.

«Se la riserva ovarica è buona si può programmare di conservare il numero di ovociti ideale, cioè superiore alla decina (almeno 10-15 ovociti). Tale piano segue i cicli mestruali, e quindi parte con il primo utile, sospendendo l’eventuale contraccettivo orale. Inizia così la stimolazione farmacologica, con delle punture a base di gonadotropine (ormoni che servono a regolare le funzioni riproduttive) che la paziente può fare agevolmente da sola a casa per circa 12 giorni, durante i quali si viene periodicamente nel Centro di medicina della riproduzione per fare dei monitoraggi ecografici e ormonali (4-5 controlli in tutto, per vedere come stanno agendo i farmaci).

A mano a mano che la procedura va avanti, si inseriscono altri farmaci per completare il processo di maturazione, al termine del quale si fa il prelievo ovocitario. Tale procedura richiede solo una sedazione (non un’anestesia generale) a scopo antidolorifico: con un piccolo ago posto su una sonda transvaginale (nessun taglio) si accede alle ovaie e si aspirano i follicoli e, nello stesso giorno del prelievo, vengono congelati gli ovociti. La conservazione (in azoto liquido e in stanze dedicate) è possibile a lungo termine: in Europa sono nati bambini che erano “in attesa” da oltre 15 anni, senza problemi».


Congelamento degli ovuli, i possibili effetti collaterali

Alcune donne hanno paura della stimolazione ormonale, perché temono che faccia male e possa “sconvolgere” gli equilibri femminili a lungo termine. «Il farmaco contenuto nelle iniezioni è composto dagli stessi ormoni che il nostro ciclo ovarico utilizza per sincronizzare l’ovulazione a dosaggio un po’ aumentato, quindi è come se concentrassimo l’ovulazione di tanti mesi in un mese solo. Non si stimola un solo follicolo, come avviene naturalmente, ma tutti i follicoli presenti in quel momento», spiega la dottoressa. «Sono farmaci sicuri, e i possibili effetti collaterali sono quelli che la paziente può provare durante il ciclo mestruale: gonfiore, mal di testa, dolori addominali (un po’ più forti di quelli che si provano di solito, ma che sono gestibili con gli analgesici) ma tutti in maniera transitoria, che non si replicheranno in altre occasioni».

Un’altra cosa importante è che prelevare gli ovociti non incide minimamente sulla fertilità della donna che, al di là del prelievo e dell’assicurazione di avere una riserva di uova in attesa, può avere un bambino quando vuole e senza ricorrere alle “scorte”. «Gli studi condotti dimostrano che questa è considerata la garanzia più importante per le donne, per farle decidere per la crioconservazione», sottolinea la dottoressa Vanni.


Finalmente si parte!

«Decisa la gravidanza, prima di ricorrere agli ovociti congelati si cercherà un concepimento spontaneo, che ha un tempo di tentativi ideale di un anno, prima dei 38 anni e di sei mesi, dopo», spiega l’esperta. Se la gravidanza non ha inizio si passa alla fecondazione assistita. «Non occorre un’ulteriore stimolazione ma solo dei farmaci per bocca per due settimane, che sincronizzano lo scongelamento degli ovociti con la preparazione dell’endometrio. Nel frattempo si saranno fatti il prelievo e le analisi del seme del partner, che poi verrà utilizzato per fecondare gli ovociti e produrre la formazione dell’embrione. Una volta scongelati gli ovociti e ottenuti gli embrioni, se ne trasferisce uno alla volta. Gli altri embrioni vengono ricongelati per ulteriori tentativi o gravidanze». E il nuovo nato? «Gli studi dimostrano che queste tecniche non comportano rischi di malformazioni o difetti di sviluppo rispetto al ricorrere a tecniche di cura dell’infertilità: è un trattamento quindi sicuro per mamma e figlio».


In Francia è mutuabile, da noi...

La tecnologia è diventata così affidabile che alcuni Paesi europei hanno deciso di renderla mutuabile per tutte le donne di età compresa fra i 29 e i 37 anni. In Italia purtroppo questa possibilità non c’è ancora, e non ci sono neanche tante assicurazioni sanitarie che coprono questa spesa, anche se alcune aziende la prevedono come benefit per i dipendenti. «Il costo oscilla fra i 3000 e i 4000 euro tutto compreso, e dipende da quanto i farmaci impiegati per la stimolazione siano efficaci e veloci, una variabile molto soggettiva», precisa la nostra esperta.

Il nostro Servizio Sanitario Nazionale prevede la copertura della crioconservazione degli ovuli nel caso la paziente debba sottoporsi a chemioterapia, che danneggia l’ovaio, o ad altri trattamenti anche chirurgici legati a patologie oncologiche.


Congelamento degli ovuli, quando e perché è raccomandato farlo

Dopo un intervento alle ovaie

«In questi casi si riduce la riserva ovarica e quindi è consigliabile preservare gli ovociti più “efficienti”, prima dei 32 anni. Gli interventi più diffusi sono quelli per l’endometriosi o per rimuovere delle cisti ovariche», spiega Valeria Vanni.

Malattie genetiche

Criopreservare gli ovociti in giovane età aumenta per queste pazienti le possibilità di sottoporsi alla diagnosi genetica pre-impianto sugli embrioni e quindi di non trasmettere la mutazione ai propri figli.

Prima di cure che riducono la fertilità

La crioconservazione è consigliata in tutti quei casi in cui la paziente debba affrontare una cura a rischio per la sua fertilità, come nel caso di chemioterapia con gonadotossicità. Devono essere gli specialisti che l’hanno in cura a indirizzarla verso un esperto in medicina della riproduzione. Il trattamento di crioconservazione sarà mutuabile.

Prima o durante il follow up oncologico

La crioconservazione è consigliata anche nei casi di malattie oncologiche dove occorre aspettare la fine del periodo di follow up per cercare una gravidanza (in genere 2-5 anni), per evitare che ci possano essere delle recidive.


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