Data di scadenza dei cibi: si possono mangiare alimenti scaduti?

Superata la data di scadenza, gli alimenti più deperibili possono costituire un pericolo per la salute. Per quali cibi il periodo di conservabilità va rispettato senza eccezioni? Ci risponde l’esperta



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Gli ultimi dati parlano di circa 65 chili all’anno di rifiuti alimentari che ogni italiano produce, 7 in più rispetto alla media europea di 58 chili. La fotografia, scattata dal Food Sustainability Index realizzato dalla Fondazione Barilla, punta il dito contro lo spreco alimentare, che rappresenta uno dei principali paradossi globali e manda in fumo 10 miliardi di euro solamente nel nostro Paese. Per contrastare il fenomeno, ciascuno di noi può fare la sua parte e il primo passo è verificare con attenzione la data di scadenza dei prodotti che vogliamo acquistare, in modo da capire quanto tempo abbiamo per consumarli ed evitare inutili eccessi in dispensa.


Cos’è la scadenza dei cibi

Ogni prodotto possiede determinate caratteristiche di conservazione e la cosiddetta data di scadenza, stampigliata sulla confezione, serve a identificare il periodo temporale entro il quale possiamo consumarlo nelle sue massime qualità organolettiche, ma soprattutto senza correre rischi per la nostra salute. «Dalle aziende viene calcolata sottoponendo l’alimento a specifici test», spiega la dottoressa Angela Valentino, biologa nutrizionista presso l’Ospedale MultiMedica di Castellanza, Varese.

«A seconda dei prodotti, infatti, vengono condotte analisi visive, organolettiche, chimiche e microbiologiche complete, in base a un piano di autocontrollo stabilito dai produttori d’intesa con i vari laboratori».


Attenzione alla scritta “entro”

A differenza della dicitura “da consumarsi preferibilmente entro”, che concede la possibilità di sgarrare senza pericoli ma con un potenziale cambiamento delle proprietà organolettiche (come odore e sapore), la scritta “da consumare entro” è perentoria. Significa che quel prodotto è molto deperibile e non va consumato oltre quella data.

Per lo più, questa indicazione si trova sulle confezioni di cibi come latte fresco, yogurt, latticini, insalata in busta, pasta fresca ripiena, uova, vaschette di carne e pesce. «Dopo la data indicata, il prodotto può essere nocivo per la salute a causa della proliferazione batterica, da cui possono derivare tossinfezioni alimentari, provocate dall’azione diretta dei batteri, oppure intossicazioni alimentari, dovute alla presenza di tossine create dagli agenti patogeni», avverte la dottoressa Valentino.


I rischi maggiori

Nel nostro Paese, le tossinfezioni alimentari più comuni sono quelle da Salmonella (può trovarsi in uova crude, carne e latticini), da Clostridium perfringens (per cibi poco cotti, in particolare carne rossa, carne di pollo, pesce e sughi già pronti) e da Bacillus cereus (alimenti amidacei).

«Le intossicazioni più frequenti, invece, sono il botulismo e quelle da Stafilococco aureo», avverte l’esperta. «A grandi linee, il deterioramento degli alimenti può essere causato da microrganismi come batteri e muffe, enzimi, macrorganismi come insetti o larve ed errate condizioni ambientali di luce, temperatura, umidità e ossigeno».

Ma quella data è davvero perentoria o ci possono essere eccezioni? «Un alimento che ha superato la scadenza non deve essere mangiato. Diverso è il discorso dei prodotti etichettati come “da consumarsi preferibilmente entro”, che possono essere consumati fino a tre mesi successivi se indicano giorno, mese e anno. Si può arrivare invece a diciotto mesi se l’involucro riporta solamente mese e anno di scadenza, cioè senza indicare un giorno preciso, mentre si possono addirittura superare i diciotto mesi quando viene precisato solamente l’anno. Un esempio fra tutti è il caffè, che consumato dopo la scadenza può perdere l’aroma intenso che lo caratterizza, ma senza comportare rischi per la salute».


I prodotti più pericolosi

Al contrario, i cibi freschi su cui è applicata la dicitura “da consumare entro” si deteriorano più in fretta: in particolare, il latte rappresenta un perfetto terreno di coltura per i patogeni, per cui il rischio di effetti nocivi è molto alto. «Il pericolo aumenta con il latte crudo non pastorizzato, che si conserva solo per uno o due giorni in frigorifero, mentre se bollito poco dopo l’acquisto può arrivare a quattro o cinque giorni», chiarisce la dottoressa Valentino.

«Possiamo affermare che mangiare un cibo scaduto e non avere nessuna conseguenza significa avere fortuna. Il periodo di conservabilità, infatti, viene calcolato secondo un principio di precauzione per limitare al massimo i rischi, ma non è possibile prevedere con certezza la velocità di proliferazione batterica e, di conseguenza, quando l’alimento diventerà realmente pericoloso».

Consumarlo ugualmente potrebbe comportare un lieve stato di malessere (mal di pancia, vomito o diarrea), ma nei casi più severi potremmo procurare danni agli organi, più o meno permanenti. «Per non correre inutili rischi, atteniamoci scrupolosamente alla data indicata e buttiamo i cibi dopo la scadenza. Ecco perché non bisogna mai comprare più del necessario, pianificando i pasti in modo da consumare per tempo tutto quello che abbiamo in dispensa».


Quando il cibo è aperto

Ovviamente, la data di scadenza non vale più quando la confezione viene aperta. Spesso, sulla stessa etichetta sono riportate le modalità e i tempi di conservazione successivi all’apertura, ma queste informazioni non sono obbligatorie per legge.

«In linea di massima, gli alimenti aperti vanno sempre conservati in frigorifero e consumati entro breve tempo. Per esempio, il pollo fuori dalla confezione può stare in frigo uno o due giorni se crudo, tre o quattro giorni se cotto. La carne rossa fresca, invece, resiste dai tre ai cinque giorni come gli affettati, mentre la carne macinata va consumata entro uno o due giorni al massimo».


Conta anche la stagione

Siccome la durata dei prodotti più deperibili è strettamente legata al rispetto della catena del freddo, ci sono periodi dell’anno in cui la conservabilità può essere ancora più ristretta. Per esempio, nei mesi estivi conviene anticipare il consumo di 24 ore rispetto alla data indicata sulla confezione, perché il trasporto a casa potrebbe aver avviato dei processi di alterazione organolettica se non utilizziamo le apposite borse termiche.

«Se invece ricorriamo alle borse gelo e prestiamo massima attenzione in fase di acquisto, non ci sono problemi neppure nella stagione calda. Piuttosto, monitoriamo la temperatura del frigorifero domestico, regolandolo mediamente fra gli 1,5 e i 3,5 gradi Celsius, perché è sopra i 4-5 gradi che iniziano crescita e proliferazione batteriche».

Attenzione, però. È accaduto a tutti di trovare in frigorifero un prodotto andato a male già prima della scadenza. Com’è possibile? Probabilmente c’è stato un gap nella catena del freddo oppure il lotto in commercio presentava dei difetti. «Pertanto, prima di consumare un prodotto deperibile, facciamo sempre attenzione alla presenza di rigonfiamenti sulla confezione, a un eventuale odore di rancido, a colore e consistenza diversi rispetto a quelli tipici dell’alimento».


Quando la scadenza non c’è

Un’ultima considerazione la meritano i prodotti venduti sfusi, come frutta e verdura fresche, che non essendo confezionati non riportano una data di scadenza precisa (fatta eccezione per quelli già tagliati o sbucciati).

«Questi cibi vanno riposti negli appositi cassetti del frigorifero, in modo da evitare il contatto con altri alimenti. Sono particolarmente deperibili e vanno consumati in tempi brevi per salvaguardarne la qualità e le proprietà organolettiche», conclude la dottoressa Valentino. «La verdura dapprima appassisce, degradando le vitamine contenute al suo interno, e superato un determinato periodo di tempo inizia a sviluppare muffe e marciume, che la rendono non più commestibile e pertanto da eliminare».


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