Coronavirus, genitori e figli adolescenti: consigli di convivenza forzata

Tra comportamenti oppositivi e atteggiamenti evitanti, ecco l’identikit degli adolescenti “in gabbia” che si trascinano tra le mura domestiche. Qui trovi una miniguida per convivere con i nostri figli



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Sono come leoni in gabbia. Chiunque abbia un adolescente in giro per casa di questi tempi sa cosa significa: ciondolano, sbuffano, sono perennemente attaccati al cellulari e fanno la spola tra frigorifero e televisione, borbottando di malumore. Oppure si isolano in camera loro ed è impossibile riuscire a ottenere risposte diverse da monosillabi ringhiosi.

La convivenza forzata sta mettendo a dura prova la relazione genitori-figli: abbiamo perciò chiesto il parere di due esperti per capire i motivi di questi comportamenti. E qualche consiglio su come ridurre la conflittualità in famiglia, per fare in modo che questa situazione eccezionale diventi un’occasione di incontro.


Perché si comportano così

«I ragazzi in questo momento sono disorientati. Non tutti riescono ad avere la maturità per comprendere l’emergenza della situazione», afferma Bruno Intreccialagli, psichiatra e docente della Sitcc, Società italiana di terapia comportamentale e cognitiva a Roma.

«Anzi, la minaccia che percepiscono dall’ambiente circostante spesso li fa regredire a una fase infantile (quella di protezione e rassicurazione materna) e si muovono nell’ambiente domestico come se fossero al centro dell’universo, come bambini piccoli. E proprio come questi non sono in grado di riconoscere la differenza tra sé e l’altro (e quindi le esigenze e i bisogni degli altri familiari): occupano tutto lo spazio a disposizione. Potremmo spiegarlo in questo modo: dai 10 anni in poi inizia la pre-adolescenza», continua Bruno Intreccialagli.

«È una fase di esplorazione: i ragazzi prendono le misure del mondo per capire come muoversi. In tempi normali sono spericolati, imprudenti, a volte perfino incoscienti. Stanno in pratica “stressando il sistema” per capire fin dove possono spingersi», avverte Bruno Intreccialagli.

«Ovviamente in questa fase sospesa, non possono farlo, riavvolgono il rocchetto e tornano bambini», continua lo psichiatra. «Altri fanno il contrario e diventano oppositivi su qualunque regola di casa», continua Patrizia Vaccaro, psicoterapeuta e responsabile dello studio clinico San Giorgio di Milano.

«Come tutti gli adolescenti, costruiscono la propria identità staccandosi dalle figure genitoriali. A maggior ragione in questo momento in cui si sentono reclusi in casa, il “no” per loro diventa uno strumento per farsi sentire: “Ci sono anch’io” sembrano dire con questi rifiuti. In questo modo esprimono il bisogno e l’esigenza di essere visti e considerati dagli adulti di casa», afferma la terapeuta.

«Non solo: esprimere rabbia è anche un modo che adottano i ragazzi per reagire alla paura e al senso di impotenza che tutti stiamo vivendo in questi giorni. Arrabbiarsi e mostrare comportamenti aggressivi in pratica diventa una forma di controllo su una situazione in cui si sentono completamente passivi», prosegue Patrizia Vaccaro. «E serve anche a scaricare energia emotiva, che in questo momento è particolarmente compressa. Un po’ come quando facciamo una corsa o una qualunque attività fisica per abbassare la tensione: per i ragazzi un’urlata può significare esprimere vitalità e il surplus di energia accumulata», continua Patrizia Vaccaro.


Costruire un linguaggio comune

Per far capire ai nostri figli come affrontare al meglio, e tutti insieme, queste giornate sospese, è importante sviluppare in loro (ma anche in noi adulti) un atteggiamento cooperativo. «Per farlo è necessario iniziare a costruire una fiducia reciproca, un terreno emotivo comune in cui impariamo a riconoscere i bisogni dell’altro», precisa Bruno Intreccialagli.

Non è sempre facile, visto che già in tempi normali la vita in famiglia è frenetica e poco ricettiva aill’ascolto del prossimo. Come si può cominciare? «È importante imparare a esprimere le reciproche emozioni», afferma Patrizia Vaccaro. «Possiamo per esempio provare un esercizio di empatia nei loro confronti», continua la psicoterapeuta.


Lo spazio condiviso

«Per iniziare, diciamo loro la verità. La situazione è grave, è un momento difficile per tutti, ma è temporanea e finirà», continua la psicoterapeuta.

«Però se io fossi in te, sarei molto arrabbiato, possiamo dire ai nostri figli. Non poter uscire, né vedere gli amici, nemmeno fare sport o dedicarti a tutte quelle attività che ti piacciono di più. Allora, cosa possiamo fare insieme per rendere la convivenza più semplice? A quel punto si possono stabilire insieme una serie di regole condivise proposte anche da loro, non imposte dall’alto. Non devono solo essere le corvée per pulire la casa, ma anche attività piacevoli. Per esempio si può decidere che a un orario prestabilito ci si ritrova in salotto e ognuno fa ascoltare all’altro un brano musicale.

O si può scegliere di girare insieme ogni giorno un minivideo da inoltrare ai familiari lontani o agli amici. O, ancora, lanciare una gara di cucina in cui ogni membro a turno si occupa del menu familiare», suggerisce Patrizia Vaccaro. «La condivisione delle attività offre ai ragazzi una cassetta degli attrezzi per riconoscere i confini tra le relazioni e per muoversi nel rispetto di sé e dell’altro», conclude Bruno Interccialagli.


Supporti digitali alla convivenza forzata

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  • Un video della società italiana di medicina dell’adolescenza spiega i comportamenti corretti da tenere:




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Articolo pubbicato nel n° 15 di Starbene, in edicola e nella app dal 24 marzo 2020


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