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Bambini cardiopatici: chi sono le mamme cardio

Sono una trentina in tutta Italia. In comune hanno figli con gravi patologie cardiache e un obiettivo: aiutare anche i bimbi malati dei Paesi poveri

credits: iStock




Quello che ti colpisce di Ilaria Corona è la voce: cristallina, allegra, scaldata da tante risate. Quasi una melodia che ti mette voglia di fare. Lei di sicuro ne ha tanta, insieme alla forza con cui ha combattuto le difficoltà degli ultimi tempi. Perché questa 35enne brianzola, che fa la maestra alla scuola d’infanzia, ogni giorno lotta al fianco dei suoi bimbi, Carlotta di 5 anni e Giacomo di 2.

Tutto è iniziato durante la prima gravidanza. «Ero al settimo cielo, mi ero sposata da poco e desideravo così tanto una femminuccia», racconta con un filo di emozione. «Alla sedicesima settimana, durante un’ecografia, il ginecologo nota che qualcosa non va. Il verdetto mi lascia senza parole: la bimba soffre della tetralogia di Fallot, una malattia congenita che altera la struttura del cuore e ne compromette il funzionamento. La terra mi cede sotto i piedi e trascorro i mesi successivi tra ansia e tristezza. Poi Carlotta è nata ed è stata operata. Dovrà fare altri interventi, ma ora è stabile».


La Rete è un conforto

Qualche tempo dopo Ilaria e il marito scelgono di dare un fratellino alla piccola. Ma il destino è beffardo. «Anche Giacomo ha la stessa patologia. Lui ha già subito cinque operazioni, di cui 2 a cuore aperto. L’incubo vissuto con Carlotta è ricominciato». Questa volta Ilaria cerca conforto in Rete, soprattutto su Facebook, dove scopre due gruppi speciali: “Bambini con cardiopatie congenite” e “Bambini della Cardio di Bergamo”, visto che i suoi bimbi sono in cura all’ospedale Papa Giovanni XXIII.

Online conosce tante famiglie come la sua, alle prese con paure e dolori, sospese tra esami, interventi e cure: si appoggiano a vicenda, perché percorrere la strada insieme rende le salite meno difficili. E Ilaria non si ferma qui. «Ho fondato il gruppo “mamme cardio”. Siamo una trentina, dalla Lombardia alla Sicilia, tutte abbiamo figli cardiopatici, qualcuno in attesa di un trapianto. Ci sentiamo ogni giorno su WhatsApp: se il bimbo di una è in sala operatoria, non la lasciamo sola, ci organizziamo con visite e telefonate, ci aiutiamo e anche nei momenti più bui riusciamo a strapparci un sorriso, a sdrammatizzare. Questo gruppo ci regala tanta speranza, perché se vedi che una famiglia ce l’ha fatta, allora pensi che andrà bene anche a te».

Conforto e appoggio non mancano mai tra queste donne super-affiatate. Allora Ilaria decide di mettere questa forza al servizio di una causa importante. Quella a cui partecipa lei per prima, che è volontaria per la Fondazione Mission Bambini, che aiuta proprio i piccoli cardiopatici che vivono nei Paesi più poveri. «Li ho conosciuti nel 2016 durante il periodo di Natale: il mio Giacomo era in terapia intensiva, io dovevo comprare i regali per la grande di casa e ho visto in un negozio il loro banchetto per la raccolta fondi. Mi sono avvicinata e mi è venuta spontaneo dire che conoscevo bene queste malattie. Mi hanno “travolto” e ho iniziato subito a rendermi utile, partecipando alle varie campagne. All’ospedale di Bergamo ho conosciuto anche uno dei loro medici volontari, il dottor Matteo Ciuffreda. Così è stato naturale coinvolgere le mie “mamme cardio” in una raccolta fondi: siamo diventate fundraiser per la campagna #GivetheBeat, ovvero cerchiamo di trovare il denaro che serve per aiutare 53 malati. Alcune, come me, ci hanno messo la faccia con una pubblicità, altre si stanno occupando di far conoscere l’iniziativa sui social, altre vanno di negozio in negozio alla continua caccia di sostenitori».


La parola d’ordine è condivisione

Quando ci spiega il progetto, Ilaria sprigiona entusiasmo e le parole assomigliano a un fiume in piena. «Noi sappiamo bene cosa significhi trovare il medico giusto, quello che salva la vita a tuo figlio. Capiamo la paura, anzi il terrore che quasi ti paralizza mentre sei in attesa, prima e dopo l’intervento. Però siamo molto fortunate, perché viviamo in un Paese con strutture e personale all’avanguardia, mentre questi piccoli malati spesso faticano ad avere un pasto decente, quindi il nostro aiuto è fondamentale. Per noi “mamme cardio” è stato vitale esserci l’una per l’altra e ora vogliamo esserci anche per queste donne e per i loro bambini».


Un mondo migliore è possibile

Mentre parliamo, sentiamo dall’altra stanza le voci di Carlotta e Giacomo che giocano. «Stanno bene. Lei fa danza e nuoto, lui ha iniziato l’asilo nido ed è un terremoto. Questi piccoli cardiopatici nascono con il coltello fra i denti, hanno voglia di mordere la vita. Riconosco che la loro malattia mi ha reso una persona migliore, leggera, pronta a dare il giusto valore alle cose, e al tempo stesso più altruista. Oggi è anche più semplice: la Rete accorcia le distanze, amplifica la tua voce e le tue forze. E quando riesci a realizzare qualcosa di utile e concreto, capisci che un mondo migliore è possibile. Il prossimo obiettivo? Non ci penso al momento, mi auguro solo di poter dare speranza ad altre mamme come me, che hanno il diritto di godersi i loro meravigliosi figli».


Ecco come puoi sostenere anche tu Mission Bambin

Dare un aiuto ai bambini poveri e malati. Questo è l’obiettivo di Mission Bambini (missionbambini.org), la Fondazione che dal 2000 a oggi ha finanziato 1.450 progetti in 73 Paesi. Dal 2005 è impegnata in particolare a salvare i piccoli cardiopatici in Asia, Africa ed Est Europa.

Nel mondo nasce ogni anno un milione di bimbi con malformazioni al cuore e l’80% di loro vive proprio nelle zone più arretrate, dove diagnosi e interventi sono un’utopia. Per salvarli, Mission Bambini organizza missioni con medici volontari (durano una settimana, nella quale vengono operati in media 10 piccoli), forma personale locale e supporta i viaggi dei pazienti in Italia.

La nuova campagna #GivetheBeat, sostenuta da Ilaria e dalle “mamme cardio”, vuole garantire le cure a 53 bambini ed è aperta fino al 19 gennaio. Per info: retedeldono.it/it/givethebeat18.


Fai la tua domanda ai nostri esperti

Articolo pubblicato sul n. 51 di Starbene, in edicola dal 4 dicembre 2018



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