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Pizza: quale mangiare se sei a dieta

Ogni anno consumiamo 7,6 chili di pizza a testa, più di tutti gli altri paesi europei. Il piatto simbolo della cucina italiana è proposto in mille varianti, ma la versione salutare e leggera è una sola

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Sarà perché è un piatto versatile, o perché richiama lo street food tanto amato negli States, o per la passione degli americani per il cibo italiano. Fatto sta che la pizza nei Paesi a stelle e strisce ha conquistato una ricorrenza, il Pizza day, che si celebra il 9 febbraio.

Ma siamo sicuri che si tratti dell’originale? Guardando ai piatti serviti negli States variazioni sul tema e aggiustamenti esotici fanno rabbrividire: cheddar o gruviera al posto della mozzarella nostrana, salse di dubbia provenienza a sostituire l’italica pummarola, avocado, feta e chili nelle farciture. È stato proprio di fronte a un impasto legnoso innaffiato di ketchup, che Walter Caputo e Luigina Pugno, rispettivamente divulgatore scientifico e psicoterapeuta, hanno deciso di spiegare in un libro come la pizza sia un capolavoro di scienza e amore.

«Esistono tanti modi per fare un’autentica pizza», spiega Caputo in La pizza al microscopio (Gribaudo). Quello più famoso è regolato da un preciso disciplinare, a opera dell’Associazione verace pizza napoletana. «Ma ben vengano anche pizze che seguono altre tradizioni o presentano ricette innovative», prosegue l’esperto. «L’importante è che non siano crude o bruciate, “biscottate” o poco lievitate, con ingredienti di scarsa qualità».


Le varianti poco ortodosse

In patria non siamo messi tanto meglio: 2 pizze su 3 nascondono ingredienti di origine straniera e nei ristoranti la ricetta originale subisce drastiche trasformazioni. Pizze nascoste da montagne di patatine fritte o travestite da kebab, o ancora trasformate in dessert con crema al cioccolato o frutta secca.

«La napoletana verace si riconosce perché morbida ed elastica, incorniciata da un bordo rialzato gonfio e privo di bruciature, con l’alveolatura (i “buchi” nell’impasto) che testimonia una corretta lievitazione», spiega Angelo Iezzi, presidente dell’Associazione pizzerie italiane.

La ricetta originale? Prevede solo la base, pomodoro, fior di latte, basilico e olio extravergine d’oliva. Il rispetto della tradizione assicura un piatto nutrizionalmente perfetto: leggero, digeribile, perché prevede la scelta di materie prime di qualità, una corretta lievitazione e tempi di cottura adeguati.

A questo proposito, diventano più stringenti le regole per i locali: da aprile 2018 ristoratori e pizzaioli dovranno rispettare un nuovo Regolamento europeo per la scelta degli ingredienti e le modalità di cottura, per evitare che l’acrilammide, una sostanza tossica e potenzialmente cancerogena che si forma normalmente durante cotture ad alte temperature, superi i livelli di guardia, bruciacchiando le pizze e mettendo a rischio la salute dei consumatori.


Le versioni che fanno bene

Ogni giorno in Italia si sfornano circa 5 milioni di pizze. «È un piatto economico, fatto al momento, non richiede lunghi tempi di attesa», spiega Caputo. «La pizza semplice (margherita, marinara o alle verdure) può essere ammessa sia in una dieta dimagrante sia di mantenimento, una volta alla settimana», assicura Evelina Flachi, specialista in scienza dell’alimentazione, presidente di Food Education Italy. «È un ottimo piatto unico. Inoltre fa stare bene: è simbolo di convivialità, di ritrovo sociale, e fornisce triptofano, precursore della serotonina, il neurotrasmettitore del benessere».

C’è addirittura chi parla di dipendenza. «La “colpa” è della caseina, una proteina che si trova nei formaggi», conferma Luigina Pugno. «Favorisce il rilascio di casomorfina, che stimola i recettori degli oppiacei, coinvolti nel meccanismo della ricompensa».

Intanto nel menù delle pizzerie tornano alla ribalta l’antico lievito madre e i cereali di una volta, come il farro e il grano khorasan, e vengono persino aggiunti ingredienti salutisti, come erbe medicali. «Dal punto di vista psicologico questi ritorni al passato hanno qualcosa di rassicurante», spiega la psicoterapeuta. «Che i grani antichi siano migliori di quelli moderni, però, è ancora da dimostrare».


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Articolo pubblicato sul n. 8 di Starbene in edicola dal 06/02/2018



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