Insufficienza venosa, TRAP: come rigenerare le vene senza intervento

È possibile “restaurare” dall’interno le pareti dei vasi, senza finire in sala operatoria? La risposta è sì: basta affidarsi alla TRAP (Fleboterapia Tridimensionale Rigenerativa Ambulatoriale), la metodica tutta italiana che prevede tante punturine di una soluzione curativa



L’inverno è il momento giusto per curare l’insufficienza venosa: dalle teleangectasie (le “ragnatele” di capillari spesso asintomatiche ma antiestetiche) alle vene varicose, tortuosi cordoncini blu-violacei che segnalano una vera e propria malattia varicosa degli arti inferiori e che sono spesso accompagnati da gonfiore, pesantezza, prurito, senso di indolenzimento e persino dolore. Perché curare le gambe in inverno? Perché il freddo gioca a nostro favore, al contrario delle temperature estive che, causando vasodilatazione, acuiscono la rosa di disturbi.

Ma quale terapia scegliere per ottenere un doppio risultato (estetico e funzionale), tra le tante proposte dagli studi medici? Il nostro focus ricade sulla TRAP (acronimo di Threedimensional Regenerative Ambulatory Phlebotherapy, Fleboterapia Tridimensionale Rigenerativa Ambulatoriale), una tecnica ideata dal dottor Sergio Capurro, chirurgo plastico di Genova che ha ottenuto fama internazionale grazie a decine di brevetti innovativi.

Ce ne parla la dottoressa Roberta Costanzo, esperta in medicina rigenerativa presso il “Nutrition e Anti-Aging Center Cerva 16” di Milano.


Perché ha sposato la TRAP?

Perché è l’unica metodica conservativa, che rispetta la fisiologica rete del circolo venoso. Le altre tecniche, come la scleroterapia, il laser, la safenectomia o lo stripping delle vene, si basano sul concetto di chiudere o estirpare (come nello stripping) la vena malata, che è diventata incontinente perché le sue pareti si sono dilatate a tal punto che i due lembi delle valvole interne, che dovrebbero chiudersi al passaggio del sangue venoso, non “toccano” più tra loro. E poiché le valvole non tengono, il sangue refluisce verso il basso, dilatando ancora più le vene sfiancate. Fatto che causa una profonda sensazione di stanchezza alle gambe.

I metodi che mirano a chiudere o asportare le vene malate non sono risolutivi perché l’albero circolatorio è molto ramificato: se si blocca un passaggio, il sangue trova un’altra via, un modo alternativo per farsi strada. Spesso accade, infatti, che accanto alla varice chiusa se ne formi un’altra, segno di un percorso deviato ma sempre attivo perché la natura sa come aggirare gli ostacoli attraverso la neoangiogenesi, la formazione di nuovi vasi.


L’idea di fondo della terapia alternativa?

Anziché chiuderle o asportarle, per ottenere risultati effimeri, la TRAP mira a rigenerare le vene dall’interno. Rigenerare significa ripristinare la struttura e la funzionalità delle pareti venose, che possono ripararsi da sole se le viene dato lo stimolo giusto. Il circolo venoso delle gambe è tridimensionale ed è tutto collegato, come un fiume che ha centinaia di rivoli e di affluenti. Agendo sulle vene più superficiali e visibili a occhio nudo, è possibile raggiungere e curare anche quelle più profonde, seguendo le naturali vie di diramazione. In pratica, è possibile curare i ciuffi di capillari a ventaglio, bruno-bluastri, le vene superficiali, le perforanti che mettono in comunicazione quelle superficiali con quelle profonde e persino le safene (due per gamba), piccola e grande. Gli unici non trattabili con la TRAP sono i capillari rossi molto fini, per i quali è meglio il laser vascolare.


Come avviene la seduta?

L’idea geniale di Capurro è stata quella di utilizzare la stessa sostanza usata nelle iniezioni sclerosanti, cioè una soluzione di glicerolo e sodio salicilato, ma diluita in modo da creare un piccolo stimolo infiammatorio, non così potente da causare una flebite chimica (come prevede la terapia sclerosante) ma sufficiente a creare una modesta e controllata infiammazione dell’endotelio. Così i meccanismi riparatori previsti da madre natura intervengono per rigenerarlo. Le pareti interne dei vasi, prima indebolite e sfiancate, ritrovano spessore ed elasticità, come se fossero nuovamente “cementate” dall’interno. La seduta è semplice e indolore.

Grazie a una lampada a luce rossa si visualizzano tutte le vene deformate da trattare, il loro decorso e la loro profondità. Quindi, si infiltra con la soluzione rigenerante, usando degli aghi molto sottili (25 o 27 gauge) che non richiedono anestesia. Si procede dal basso verso l’alto, trattando la parte mediale, posteriore e laterale della gamba. Nella seduta successiva, si controllano i risultati e, spesso, si ha la piacevole sorpresa di vedere che, trattando una vena laterale, anche quella posteriore si è ridotta di calibro e schiarita proprio perché si agisce a livello tridimensionale, con la soluzione iniettata che arriva dappertutto seguendo la rete di “canali” e il principio dei vasi comunicanti. Per curare le gambe si fa un ciclo di 6-10 sedute, 1-2 due volte alla settimana, che costano 120-150 € l’una.


Lei ha perfezionato la TRAP, ottimizzando gli effetti...

Esatto. Con la tecnica di Capurro mi rendevo conto che a volte si incappava in spiacevoli effetti collaterali: l’infiammazione, ricercata e voluta, sfuggiva di mano e si produceva un po’ di dolore, calore e rossore nella vena trattata, anche perché ogni donna risponde in modo diverso e non è facile riuscire a fermarsi appena prima dell’infiammazione acuta. Inoltre a volte si formavano dei pallini, minuscoli coaguli di sangue difficili da riassorbire. Allora ho modificato la TRAP classica in tre modi: ho aumentato la diluizione della soluzione iniettiva in modo da dare un input alla rigenerazione parietale molto dolce e calibrato.

Poi, prescrivo alla paziente un pool di enzimi antinfiammatori (bromelina, papaia, estratti di mirra e di soia fermentata), ovvero un integratore da prendere per tutto il trattamento: serve a fluidificare il sangue e a evitare che si formino minuscoli coaguli. Terza mossa: insieme alla soluzione, infiltro su tutta la gamba una miscela gassosa di ossigeno e ozono che è eccezionale per modulare la risposta infiammatoria, migliorare l’apporto di ossigeno ai tessuti periferici e per restringere e schiarire ulteriormente i vasi. Uso anche l’ossigeno-ozonoterapia sui capillari rossi e fini, non trattabili con la TRAP: facendo delle microiniezioni a livello perivasale si riesce a renderli meno congestionati e più chiari.


La prova che la sua tecnica funziona è l’ecocolordoppler?

No. L’ecocolordoppler venoso, spesso, non è indicativo per testare la salute delle vene. Né prima né dopo il trattamento con la TRAP. Prima perché a volte si vedono delle gambe malmesse, con le vene “a carta geografica”, che l’ecocolordoppler non mostra essere afflitte da incontinenza valvolare. Sovente risulta negativo perché valuta solo le tre grosse valvole della safena (inguine, cavo popliteo e caviglia), quando ce ne sono più di 200 per gamba. In questo caso, per capire se c’è una stasi venosa, mi baso sulla diagnosi clinica e sui sintomi riferiti invece che sugli esami. Anche dopo le sedute non occorre eseguire un test di verifica: rigenerandosi nel giro di 4 settimane le vene scompaiono o si riducono a vista d’occhio, e non servono controlli strumentali.


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