Pensieri negativi e ossessivi: che cos’è e come si cura la sindrome di Cassandra

Si tratta di un meccanismo mentale che innesca numerose negatività, al punto da condizionare effettivamente il proprio futuro. L’origine del disturbo è da ricercare nella scarsa fiducia in sé stessi



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Se la tua quotidianità è accompagnata da un pessimismo costante, se ti capita spesso di dire frasi come “Non riuscirò a farcela”, “Tutto andrà storto”, potresti soffrire della cosiddetta sindrome di Cassandra, la sacerdotessa di Apollo che, secondo la mitologia greca, aveva la facoltà di prevedere pericoli e calamità, ma non veniva mai creduta.

Fu il filosofo francese Gaston Bachelar a utilizzare per primo nel 1949 il termine “complesso di Cassandra”. Oggi si parla di sindrome di Cassandra, ma per psicologi e psicanalisti non è del tutto corretto.

«In letteratura scientifica non esiste una vera e propria sindrome», tiene a precisare il professor Gianluca Castelnuovo, direttore del Servizio di Psicologia Clinica e Psicoterapia all’IRCCS Auxologico e ordinario di Psicologia Clinica alla Cattolica di Milano. «Viene chiamato così un meccanismo mentale che innesca una valanga di negatività, al punto da dare quei connotati al proprio futuro, con la convinzione di non poter essere mai felice».

L’origine della negatività

Tutto ha origine di solito da un evento del passato. «Si indaga nella famiglia e nella scuola», spiega il professor Castelnuovo. «In genere si ricerca qualcosa che è capitato, a cui attribuire l’origine del pessimismo e della scarsa autostima. Spesso non si tratta di un trauma, ma di una situazione in cui si perde fiducia in sé stessi e che, nel tempo, si ripete, al punto da prevedere conclusioni negative, che in alcuni casi si avverano anche».

Una mancanza di attenzione e di affetto che porta quindi a una bassa autostima e a una costante ricerca dell’approvazione altrui, fino a generare forme di depressione e stati d’ansia.


La costruzione dell’io

«La tendenza a formulare previsioni negative fa parte dell’esperienza umana», aggiunge Davide Carlotta, psicologo e psicoterapeuta docente presso la scuola di specializzazione in Psicologia clinica dell’Università Vita-Salute San Raffaele. «Basti ricordare la Legge di Murphy: “Se qualcosa può andare male, allora andrà male”. Esistono però delle differenze individuali: per esempio, se la rappresentazione di noi stessi è svalutata, di conseguenza anche le previsioni che si fanno saranno negative perché non si confida nelle proprie capacità».

Si tratta, dunque, di una tendenza sistematica a formulare soltanto previsioni negative e questo ha una stretta connessione con la costruzione della propria personalità.  

Nei manuali diagnostici non c’è traccia della sindrome di Cassandra, ma non è corretto chiamarla in maniera semplicistica depressione. «Non esistono dati epidemiologici a cui fare riferimento in quanto non si tratta di un disturbo classificato, ma di un fenomeno che si riferisce a molteplici situazioni», sottolinea il dottor Carlotta. «Il fenomeno è il risultato di una pluralità di ragioni che possono essere attribuite a una costellazione di manifestazioni del vissuto umano senza che necessariamente si parli di disturbo mentale». 


Sindrome di Cassandra, i soggetti più a rischio

Anche se i dati di accesso ai servizi sembrano indicare che siano più le donne a essere delle "Cassandre", in realtà gli specialisti considerano questa condizione presente in egual misura tra uomini e donne. Di sicuro negli ultimi anni è aumentata tra i giovani, come conseguenza del lungo isolamento causato dalla pandemia.

«La chiusura delle scuole e di conseguenza la mancanza di relazioni durante la pandemia hanno lasciato cicatrici profonde nei ragazzi», ammette Castelnuovo. «L’assenza dei momenti di confronto ha inciso sulla loro crescita relazionale, nella gestione delle piccole frustrazioni nei rapporti con gli altri, innescando quel meccanismo di negatività che è alla base della sindrome di Cassandra».

 

Sindrome di Cassandra, sintomi e cura

I fattori all'origine della sindrome di Cassandra sono molteplici, familiari e ambientali. Esistono comunque dei segnali da non sottovalutare. «Formulare sistematicamente previsioni negative è l’aspetto principale di ciò che comunemente si intende con l’espressione sindrome di Cassandra, ma non è l’unico», fa notare Carlotta. «Sperimentare vissuti di impotenza e del cambiamento non sono da trascurare, così come il bisogno di controllo».

Abbandonare le profezie negative autoavveranti è comunque possibile con un supporto psicologico professionale adeguato. «Le strade da percorrere possono essere diverse, ma di sicuro si può guarire con la psicoterapia», è il messaggio che lanciano gli specialisti. «Si può agire seguendo il modello psicodinamico che va a lavorare maggiormente sul passato; oppure il modello cognitivo comportamentale per correggere pensieri e comportamenti, o quello sistemico strategico per analizzare e modificare gli autoinganni con sé stessi, ma anche con gli altri e con il mondo».


Come liberarsi della sindrome di Cassandra 

Guarire è possibile. È importante lavorare su più livelli:

  • Mettersi nei panni di un altro: ovvero modificare il modo in cui ti rappresenti nelle situazioni. Come? È importante contrastare il catastrofismo considerando altri punti di vista.

  • Allenarsi a stare nel presente: formulare delle ipotesi fermando l’attenzione sul presente. Il qui e ora è più affidabile di un futuro che ancora non esiste.

  • Modificare il dialogo interno: se si è abituati a dire a se stessi di non riuscire, di sicuro la strada sarà in salita; invece, rivolgendosi a sé stessi in modo positivo, arrivare a un traguardo sarà possibile.

«Per come siamo costruiti, abbiamo la tendenza a formulare ipotesi sul futuro e a comportarci in funzione di queste previsioni», conclude il dottor Carlotta. «È possibile che agendo in funzione di quelle aspettative, con il nostro comportamento, possiamo fare sì che quella profezia si avveri».


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