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La formula dell’amore: allo studio farmaci per controllare i sentimenti

In America si stanno studiando molecole in grado di salvare le storie in crisi. Un’utopia? Forse. Le formule vincenti delle unioni amorose, invece, le trovi qui

Foto: iStock



Addio code di topo, ali di pipistrello e gocce di rugiada raccolte al chiaro di luna. Oggi i filtri d’amore non sono più quelli immaginari delle fiabe, ma farmaci che promettono di far trionfare la passione. La chimica dei sentimenti è una nuova prospettiva discussa soprattutto in America, in particolare dopo l’uscita del libro Love Drugs: The Chemical Future of Relationships, dove gli autori (Brian D. Earp e Julian Savulescu dell’Università di Oxford) descrivono i più recenti progressi scientifici nel controllo delle nostre vite romantiche.

Ma davvero esistono molecole in grado di farci risparmiare montagne di fazzoletti quando una storia finisce male o di salvare una relazione in frantumi?


L'amore è una questione di ormoni

Quella che sembra fantascienza per novelle streghe non lo è poi così tanto, visto che l’amore è una faccenda di ormoni prodotti nel cervello, di aree cerebrali che si attivano o si spengono e di sintomi in linea con quelli della dipendenza dalle droghe. Una visione per niente poetica ma che, considerando l’innamoramento come un fatto biologico, apre delle prospettive di “cura”, qualora non abbia l’intensità desiderata.

«Facciamo una premessa: al momento, non esistono pillole magiche. E credo che fortunatamente non esisteranno mai, visto che manipolare i sentimenti potrebbe diventare pericoloso se fatto in modo improprio», interviene Emmanuele A. Jannini, professore ordinario di endocrinologia e medicina della sessualità presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.

«È anche vero, però, che molti farmaci e tante droghe di abuso possono influenzare la sessualità. A seconda della sostanza, della risposta individuale e soprattutto dell’uso che se ne fa, possono venire meno i freni inibitori, può aumentare il desiderio ed è più facile cadere nelle braccia dell’altro. Ma questo non ha nulla a che fare con l’amore romantico».

Ci sono poi sostanze diffuse, come gli antidepressivi noradrenergici e serotoninergici che, al contrario, possono accentuare l’incapacità di provare piacere, ma anche altri psicofarmaci che diminuiscono l’attività di un neurotrasmettitore, la dopamina, che normalmente ci fa sentire sentimentalmente e sessualmente attivi. In effetti, teoricamente queste sostanze potrebbero (forse) ridurre la sofferenza per la fine di un rapporto.


Servirebbe più di una molecola

«Attenzione, però: di solito, ogni farmaco contiene una singola molecola. Pensare che desiderio e innamoramento possano essere “gestiti” in modo così semplicistico è pura utopia», commenta il professor Jannini. «Le nostre scelte sentimentali sono il risultato di un ricco cocktail di sostanze: ormoni, neuromediatori e neurotrasmettitori, che all’interno dell’organismo attivano precisi meccanismi biologici, difficili da manipolare farmacologicamente».

Ma in fondo, diciamolo, è giusto che questo settore sfugga al controllo di un ipotetico dottor Stranamore e che non esistano pozioni magiche perché dalla passione amorosa dipende la stessa sopravvivenza della specie umana. Tra l’altro, l’amore scatta sulla base di motivazioni ben precise. Perché scegliamo un partner piuttosto che un altro? Come fa una donna a capire qual è l’uomo giusto per lei? E lui, dal canto suo, quali strategie può adottare per conquistarla? Molte delle risposte sono contenute nel nuovo libro che Jannini ha dedicato all’argomento, Uomini che piacciono alle donne.

Le risposte scientifiche ai misteri della seduzione e dell’amore, che descrive le misteriose leggi alla base di un’unione. «Oltre alle modificazioni biochimiche che coinvolgono il corpo e il cervello, ci sono meccanismi ancestrali che regolano l’amore. Per esempio, già nel paleolitico la donna cercava un maschio abbastanza forte da catturare una preda e tornare nella caverna con il cibo. E a sua volta, un uomo desiderava una femmina capace di accontentarsi delle scarse risorse che raccoglieva in giro e, ovviamente, di partorire e crescere i suoi figli. Ciò significa che non solo la presenza fisica, ma anche l’intelligenza è stata la caratteristica umana di maggior importanza per entrambi i sessi negli ultimi quattro milioni di anni, rappresentando una potente arma di seduzione, perlomeno nei confronti delle persone capaci di non fermarsi all’apparenza», spiega Jannini.


Prede? Meglio di no

Ha radici lontane anche il tipo di seduzione che risale al passaggio storico da un’economia di cacciaraccolta all’agricoltura: «Rispetto all’atavico cacciatore, sano, virile, risoluto e attratto da tante “prede”, l’uomo agricoltore, che ha affiancato e talvolta sostituito la donna nel lavoro nei campi, era avvantaggiato dal possedere doti considerate più femminili: stanzialità, calma, stabilità e spirito collaborativo. Ancora oggi, il discendente dell’antico contadino seduce mostrandosi disponibile verso le donne, capace di accudire e sostenere la famiglia. Ecco perché, se deve scegliere un compagno di vita, la donna occidentale contemporanea (perché altrove e in altre epoche può essere il contrario) punta su un uomo dai tratti caratteriali più dolci, affettuosi e tranquilli».

E poi, ovviamente, vige sempre la regola del “chi si somiglia si piglia”: uno studio condotto da Eva Klohnen e Shanhong Luo, dell’università statunitense dello Iowa, ha dimostrato come condividere i valori più importanti, quali l’orientamento politico e religioso, sia garanzia di successo per un rapporto a due.

«Insomma, avere degli interessi comuni, già nel momento in cui ci si sceglie, facilita una storia a lieto fine, mentre le differenze insormontabili possono provocare attriti e conflitti che nel tempo mettono in crisi il rapporto», prosegue Jannini. «Ovvio, non dobbiamo pretendere che il partner sia un nostro clone. Ciò che non dev’essere troppo diverso è il carattere, per non finire vittime del mito della completezza che nasce dall’erronea convinzione di dover trovare nel partner ciò in cui ci si sente mancanti. Una donna timida, per esempio, può sentirsi attratta dall’uomo disinibito e quella debole dal maschio forte, ma queste relazioni sono felicemente praticabili solo a patto che non si cerchi a tutti i costi nell’altro quel che si vorrebbe in se stessi».


L'amore perfetto non esiste

In definitiva, esiste l’amore perfetto? No, ma esiste quello giusto per noi. Già nel 1809, nel suo romanzo Le affinità elettive, Wolfgang von Goethe si era ispirato al fenomeno chimico per cui due elementi chimici tendono a legarsi fra loro per natura, per descrivere il mistero delle relazioni umane, anche a scapito delle convenzioni sociali. Una specie di geometria consente a una coppia di trovare il giusto incastro e fondersi, pur mantenendo sempre la propria personalità.

«Gli uomini che piacciono veramente alle donne sono quelli che non hanno mai paura del piacere, della passione e dei sentimenti. Non temono di cambiare stile di vita quando è sbagliato; di rivolgersi al medico quando ne hanno bisogno e che, soprattutto, non parlano in termini di possesso esclusivo», conclude il professor Jannini. «Alle donne non piace essere possedute, come i “vecchi” maschi credono ancora. Aspirano solo a essere amate. Un gesto più impegnativo ma più remunerativo per entrambi».



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Articolo pubblicato sul n° 3 di Starbene in edicola dal 16 febbraio 2021



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