Italiani, quelli che non si definiscono razzisti ma…

C’è l’intolleranza gridata e poi quella sommersa di chi si dichiara aperto nei confronti degli stranieri, ma in realtà non sopporta le culture diverse. E così siamo nel pieno di una “crisi di umanità”



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Negli stadi capita che calciatori neri siano insultati dalla curva della squadra avversaria per il colore della pelle con ululati “scimmieschi”. Anche nella piccola realtà di ogni giorno ci si imbatte in episodi di razzismo. Siamo un Paese di intolleranti? Una ricerca Swg dice che il 55% degli italiani giustifica atti di razzismo, e negli ultimi 10 anni siamo peggiorati. Prima del 2010 la maggioranza non legittimava mai, oggi il dato si è invertito. Perché?


Il rifiuto del confronto

«La paura nei confronti dei migranti ha determinato la crescita del fenomeno. Siamo nel bel mezzo di una “crisi di umanità”», spiega Laura Bosio, che dirige Penny Wirton, scuola di italiano per migranti e ha scritto Una scuola senza muri (Enrico Damiani editori). Ma il razzismo ha due facce. Quella fatta di atti espliciti, la prima. Come quello subito da Maxime Mbandà, giocatore della Nazionale di rugby: dopo una lite con un automobilista a Milano, il campione azzurro ha denunciato sui social: «Sentirsi dire, da cittadino italiano e mulatto “Vattene negro di merda, tornatene nel tuo Paese” mi ha ferito, deluso, danneggiato moralmente ».

Ma il razzismo è anche implicito, nascosto, di quelli che “lo sono ma non lo dico”. A scuola flotte di mamme, prima di iscrivere i figli, si assicurano che in classe non ci siano troppi bimbi extracomunitari o escludono un istituto per l’alto tasso di migranti. «Non tollerano una cultura diversa, è una forma di esclusione velata dal perbenismo. Se solo questi genitori sapessero quanto serve confrontarsi con altre culture. Per i bambini è sempre un arricchimento», commenta Laura Bosio.


Non ci sono valide ragioni

L’intolleranza dissimulata è più frequente di quando pensiamo: «Per lavoro, seguo tantissimo i social network. Qui abbondano genitori, professionisti, insegnanti, che si professano contro ogni forma di razzismo e poi, in pratica, sono i primi a discriminare nella vita di tutti i giorni», aggiunge Maura Manca, psicologa e psicoterapeuta.

«C’è come uno scollamento tra ciò che si dice e ciò che si fa. Si ha paura di ammetterlo: spesso per paura, vergogna, e per il giudizio di se stessi e degli altri. Concordo con una spiegazione dello scrittore e poeta Tahar Ben Jelloun che definisce il razzista come “colui che pensa che tutto ciò che è troppo differente da lui lo minacci nella sua tranquillità: ha paura dello straniero senza una ragione valida”», prosegue la psicoterapeuta.


La lotta per l’inclusione

Ma abbiamo una speranza, e arriva dai giovani, l’accoglienza è nelle loro mani. «L’intolleranza trova maggiore opposizione fra i giovani della generazione Z», ha sottolineato Enzo Risso, direttore scientifico di Swg. Ragazzi che usano i social per abbattere i muri costruiti dagli adulti. Influencer come Loretta Grace, cantante e youtuber, che sfrutta la sua immagine contro le discriminazioni e perché ci sia una svolta dal punto di vista legislativo. Nata in Italia da mamma nigeriana, ha raccontato le mille peripezie per avere la cittadinanza. «Il vero problema sull’immigrazione è che non si vogliono aprire gli occhi sulla nuova Italia multirazziale».

Lo fa, invece, il canale Facebook Refugees Welcome Italia, fondato da Sara Consolato, che promuove l’accoglienza in famiglia dei rifugiati: «Un modo per conoscersi, superare pregiudizi e costruire assieme una società attiva, inclusiva e solidale», spiega Sara. Vogliono un Paese dove la ricchezza dell’incontro di culture prenda il posto dell’antisemitismo, dell’odio, di frasi come “lavorare come un negro”, entrata nel gergo comune.


Ci vogliono basi solide

«In tema di multiculturalità i ragazzi di oggi possono insegnare tante cose agli adulti: accettano i compagni di altre nazionalità, li accolgono, non vedono il problema. Sono i genitori a essere razzisti», spiega ancora la psicologa Manca. «Dovremmo allora partire dalle nostre case, mettendo all’angolo il razzismo strisciante e mascherato, invitando amichetti stranieri dei nostri figli, ospitando a cena una famiglia extracomunitaria. Perché per favorire una cultura dell’integrazione dobbiamo prima crearla. E serve agire subito su termini come rispetto, tolleranza, uguaglianza. Senza basi solide, è sempre difficile correggere il tiro in corsa», conclude Manca.


3 libri dedicati alla tolleranza

1. Grammatica dell’integrazione del maestro Vinicio Ongini è il racconto di chi da anni nella scuola pratica l’integrazione: insegnanti, presidi, alunni, genitori e altri protagonisti della convivenza nei centri e nelle periferie delle città (Laterza, 16 €).

2. Una scuola senza muri: Laura Bosio, attraverso racconti e testimonianze dei migranti, parla dell’importanza del dialogo, della tolleranza, della accoglienza. Di quanto serva, oggi, riscoprire la lingua dell’integrazione (Enrico Damiani, 14 €).

3. Non sono razzista, ma. Il pamphlet di Luigi Manconi e Federica Resta spiega come in Italia cresca l’uso di forme di razzismo nella società. Per gli autori, però, gli italiani più che essere razzisti hanno paura dello straniero (Feltrinelli, 11,25 €).



Articolo pubblicato nel n° 1 del 2020 di Starbene


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