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Colesterolo: le statine sono davvero inutili?

Uno studio inglese punta il dito contro le statine, i farmaci anti-colesterolo, accusandole di essere spesso inefficaci. Ma alla base dei fallimenti terapeutici in molti casi ci sono ostacoli che è possibile eliminare. Ti spieghiamo tutto qui

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Non c’è pace per le statine: spesso accusate di indurre un carico di effetti collaterali più pesante dei benefici, adesso vengono addirittura definite inutili. Uno studio dell’Università di Nottingham, nel Regno Unito, pubblicato sulla rivista Heart, ha verificato gli effetti dei farmaci anti-colesterolo su 165 mila pazienti, dimostrandone l’inefficacia nella metà dei casi. E allora: come mai in alcune persone funzionano e in altre no? «Una delle possibili spiegazioni è che i medici le prescrivano a dosi troppo basse», commenta il professor Giulio Stefanini, cardiologo dell’Istituto Clinico Humanitas IRCCS e docente dell’Università Humanitas di Rozzano, Milano. «O magari sono gli stessi pazienti a non seguire rigorosamente le indicazioni del medico, interrompendo la cura di propria iniziativa o variando tempi e modalità di assunzione. La “cattiva fama” delle statine, infatti, ha determinato una certa resistenza nei loro confronti, inducendo una scarsa aderenza alla terapia».


Le variabili sono molte
Non a caso, in pieno contrasto con i risultati di Nottingham, altri studi randomizzati e controllati – dove i pazienti sono stati “marcati stretti” durante il trattamento – hanno mostrato una buona efficacia di questi farmaci nel ridurre sia il colesterolo Ldl (quello cattivo) sia, di riflesso, il rischio di eventi cardiovascolari. «Ecco perché di fronte a nuove evidenze scientifiche, come quelle pubblicate su Heart, bisogna sempre tenere conto delle numerose variabili che possono avere inciso sul risultato finale», raccomanda Stefanini. «Talvolta c’entra il corredo genetico individuale, che controlla il metabolismo del colesterolo e può influenzare anche quello delle statine, ma può entrare in gioco persino l’interazione con altri medicinali di uso comune. Insomma, i fattori che possono ostacolare una risposta ottimale sono davvero tanti».

Per questo motivo, negli ultimi anni, sono state messe a punto nuove soluzioni farmacologiche, come gli anticorpi monoclonali inibitori del PCSK9: a differenza delle statine, vanno somministrati una o due volte al mese per via sottocutanea e non si limitano a bloccare la produzione di colesterolo, ma aiutano anche a eliminarne gli eccessi presenti nel corpo. «Si tratta di potenti strumenti terapeutici, ancora molto costosi, al momento riservati a chi soffre di ipercolesterolemia familiare, a chi ha già avuto eventi ischemici o, in generale, a chi necessita di un’importante riduzione dei livelli di colesterolo ma risulta intollerante alle statine», riferisce lo specialista.


Ogni paziente è un mondo a sé
Per tutti gli altri, invece, le statine rimangono la terapia d’elezione, a patto di utilizzarle quando sono davvero necessarie. «La prescrizione è appropriata se i valori di colesterolo Ldl superano i 120 mg/dl, ma in alcuni casi le indicazioni possono cambiare radicalmente: per esempio, in chi ha già avuto un infarto o un ictus è bene mantenere il livello sotto i 70 mg/dl».

Questa personalizzazione della terapia può contribuire a scongiurare l’inefficacia denunciata dai ricercatori di Nottingham: «Ogni paziente rappresenta un mondo a sé. Sia la dose sia la tipologia di statina vanno valutate con attenzione, tenendo anche conto che questi farmaci non agiscono nell’immediato, a differenza di altri medicinali, ma necessitano di qualche mese per esercitare i primi effetti e ancora di più per regalare benefici clinici». Questo meccanismo a lungo termine ha acceso alcuni dubbi sulla loro reale efficacia nei soggetti molto anziani, tenendo conto dell’aspettativa di vita più ridotta e quindi dell’orizzonte temporale non sufficientemente lungo per vedere i risultati. Inoltre, la maggior parte delle ricerche è stata condotta su persone relativamente giovani, mentre sono abbastanza rari gli studi clinici controllati nei soggetti più avanti negli anni. «Siccome poi l’uso delle statine è spesso associato a svariati effetti collaterali a livello muscolare, come dolore, debolezza, ipersensibilità, crampi e rigidità, si teme che questi disagi possano aumentare la tendenza alla sedentarietà degli over 80, nonché la loro sensazione di fatica e scarsa energia».



Conta lo stile di vita
In realtà, stando alle statistiche, si tratta di disturbi manifestati solo nel 5-10 % dei casi, una percentuale decisamente inferiore rispetto ai timori diffusi. Eppure, queste rassicurazioni non bastano a tranquillizzare i pazienti, che negli anni hanno sentito muovere pesanti accuse nei confronti di questi farmaci, come quella di aumentare la probabilità di sviluppare il diabete di tipo 2. Anche in questo caso, però, si tratta di un’eventualità rarissima, che tra l’altro riguarda soggetti predisposti a sviluppare la patologia. Insomma, il ruolo delle statine non va messo in discussione, ma certamente le valutazioni da fare prima di iniziare il trattamento sono tante. «Senza dimenticare che questa terapia farmacologica non può sostituire una revisione completa dello stile di vita. Per controllare il colesterolo non basta una pillola», conclude Stefanini. «Bisogna seguire un regime dietetico sano, ricco di fibre e povero di grassi saturi; tenere sotto controllo il peso e praticare una regolare attività fisica».


Naturale non significa innocuo

Se l’ipercolesterolemia è lieve o moderata, come alternativa alle statine possono essere suggeriti integratori a base di riso rosso fermentato (si ottiene dalla fermentazione del riso da cucina grazie a un lievito). Seppure la materia prima sia naturale, il risultato non va preso a cuor leggero: il lievito infatti arricchisce il riso di una serie di sostanze, fra cui la monacolina K, una molecola che esercita nell’organismo un’azione molto simile a quella della lovastatina, uno dei farmaci più diffusi per il trattamento del colesterolo. Ciò significa che anche questi supplementi possono indurre reazioni indesiderate da non sottovalutare, in particolare lesioni epatiche e muscolari.


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Articolo pubblicato sul n. 29 di Starbene in edicola dal 2 luglio 2019


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