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Sovrappeso e obesità: quanti rischi per quei chili in più

Esiste una sottile linea rossa che divide il sovrappeso dall’obesità. È lo spartiacque fra salute e malattia. La prima cura? Capire che basta anche una pancetta per oltrepassare questo confine. E ammalarsi

Foto: iStock



"Se perdessi qualche chiletto starei proprio bene. Ho solo un po’ di pancia, mica è una malattia!". "Gli obesi? Hai presente quegli americani talmente grossi da non riuscire a muoversi? Quella è obesità, mica i miei 5 kg in più..." In queste frasi possiamo riassumere quello che pensa l’italiano medio della sua pancetta, del sovrappeso e, oggi, soprattutto di quei chili di troppo guadagnati cucinando e mangiando senza un domani per sopravvivere ai vari lockdown dell’era Covid. Lo conferma l’ultima ricerca Action Io (Awarness, Care and Treatment In Obesity Management), pubblicata sulla rivista scientifica Eating and weight disorders, che fotografa l’obesità in Italia e in altri 11 Paesi del mondo. La realtà? Che non stiamo parlando di un problema estetico, ma di salute. E che quella sottile linea rossa che rappresenta il confine fra sovrappeso e obesità è facile da scavallare.


Obesità: per l'italiano medio non esiste

Siccome per i più l’obesità “non esiste” se non nei reality di chirurgia bariatrica, il sovrappeso grave e l’obesità di primo grado, diffusissimi, vengono gestiti in autonomia. «L’italiano medio è convinto che il suo peso sia tutto sommato giusto. Non a caso più del 60% delle persone che sono già obese, cioè hanno oltrepassato la soglia del Bmi 30 (obesità di primo grado), pensano di non esserlo.

Ma se non hai la percezione di rischiare la salute a causa degli accumuli di grasso non penserai mai, se non quando il problema è consolidato, di rivolgerti al medico», commenta il professor Giuseppe Fatati, illustre internista ed esperto di obesità. «Il peso in più è un problema estetico e, tutto sommato, facile da risolvere: mangi un po’ di meno, ti muovi di più e tutto va a posto».


Per il Servizio sanitario i chili sono a carico nostro

Dunque, per le persone la dieta non è considerata un atto medico, anzi, si gestisce bene da soli. «Come dargli torto», osserva laconico il professor Fatati. «Persino la nostra Sanità non tratta l’obesità come una patologia. Anche se il Parlamento ha decretato all’unanimità, nel novembre 2019, che è una malattia a tutti gli effetti, molte prestazioni per gestire questo enorme problema non sono comprese nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), cioè le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a dare a tutti i cittadini.

C’è poi un documento Stato-Regioni che prevede che le persone obese facciano l’Efa, cioè l’Esercizio fisico adattato, che va effettuato in specifiche strutture definite “Palestre della salute” dietro prescrizione del medico di medicina generale, dello specialista o del pediatra. Insomma, la volontà c’è, le leggi ci sono ma non abbiamo ancora il numero di codice del Ssn per prescrivere molti esami, e non ci sono farmaci anti-obesità in fascia A».


Il Bmi e la fase dinamica della bilancia

Ma quando si entra ufficialmente nell’obesità? In quella primaria avviene quando si supera il valore 30 di Bmi, l’indice di massa corporea (tutti lo possono calcolare: basta dividere il proprio peso, espresso in kg, per il quadrato dell’altezza, espressa in metri).

«In realtà, il peso diventa un problema di salute già quando il Bmi supera la soglia del 25, l’area di sovrappeso, soprattutto se si affianca a un problema metabolico, come la glicemia alta. Quindi è strategico agire quando già si va oltre a 25, cioè si entra nell’area di sovrappeso», precisa Fatati.

«Occorre farlo poi nella fase dinamica dell’obesità, cioè quella contraddistinta dal prendere peso più facilmente. Se ci accorgiamo che negli ultimi mesi si sono presi 4-5 chili, è lì che si deve intervenire, perché in questa fase è più facile ritornare indietro rispetto a quando il peso si è stabilizzato. Il problema è che se "fissiamo” un peso in crescita è difficile tornare indietro. Nella fase dinamica consumiamo abbastanza rapidamente, dopo invece il nostro organismo si tara sul peso raggiunto e per tornare indietro è come se dovessimo resettare un computer, non basta fare un aggiornamento».


Il metabolismo rallenta e va aiutato

Quando ci mettiamo a dieta, dopo un po’ il metabolismo si adatta. «Si verifica un paradosso: il metabolismo si abbassa, quindi se non si affianca al nuovo regime alimentare l’attività fisica non si riesce a ritararlo verso l’alto», spiega Fatati. «È per questo che la dieta deve far parte di un percorso integrato che non preveda solo modifiche alimentari».

Con l’età, poi, cambia la nostra composizione corporea: scende la massa muscolare e aumenta il tessuto adiposo. Ciò varia da persona a persona, perché abbiamo età biologiche diverse: ci sono donne che hanno un metabolismo più giovane rispetto alla loro età. In generale, i 55 anni sono un punto di svolta per il metabolismo, i 65 un’altro. Nelle donne, l’età della menopausa può anticipare il primo appuntamento metabolico. «In premenopausa la donna mela è più a rischio di quella a pera, perché la seconda concentra il grasso in zone come i glutei e le cosce, mentre la donna mela ha molto adipe sulla pancia», spiega Fatati. «Ed è il grasso viscerale addominale il pericolo».


La Dexa, l’esame a colpo sicuro

Il Bmi è un indice importante per cominciare la guerra contro il peso che fa male alla salute. «Vale per gli studi sulle grandi popolazioni, ma non ci dice niente sulla percentuale di grasso. Per capirci: se io misuro il Bmi di un atleta con una grande massa muscolare, verrà definito come obeso o in sovrappeso. Invece, lo studio del grasso viscerale, cioè della prima causa dell’obesità come malattia, viene fatto ancora in modo artigianale», sottolinea l'esperto.

«Ma un sistema diagnostico valido c'è: è la Dexa, la Densitometria assiale a raggi x che viene eseguita in modo semplice, innocuo (emette pochi raggi) e indolore. Serve a misurare a colpo sicuro la quantità di grasso ed è la stessa macchina che esegue la mineralometria ossea, ma con un software diverso. Purtroppo è considerato un esame “troppo costoso” per essere a carico del Ssn (circa 50 euro)».


A chi rivolgersi e perché

Il referente numero uno per i problemi di peso è lo specialista in scienza dell’alimentazione. Anche perché, se occorre prescrivere degli esami del sangue e dei farmaci deve essere il medico a farlo. «L’ideale è rivolgersi a un Centro di cura dell’obesità dove ci siano più specialisti, compreso l’internista, lo psicologo e il laureato in scienze motorie», spiega l’esperto.

«Va innanzitutto verificato l’assetto glicometabolico con le analisi del sangue: la glicemia, il colesterolo, i trigliceridi, l’Hdl e l’Ldl. E se c’è il dubbio di un problema tiroideo, il Tsh». I farmaci quando si prescrivono? «Anche a chi ha un Bmi inferiore a 30, ma associato a un’alterazione del metabolismo, come la resistenza insulinica. Si parte dall’integrazione con le fibre, che danno senso di riempimento. Poi ci sono farmaci che riducono l’assorbimento dei grassi. Infine, possiamo utilizzare farmaci come la liraglutide: agisce a livello ormonale, favorisce il dimagrimento, aumenta il senso di sazietà e migliora il metabolismo dei carboidrati».


Scopri online La verità sul peso

C’è un nuovo spazio virtuale chiaro e con informazioni utili sulle cause del sovrappeso e dell’obesità ed è realizzato grazie a Novo Nordisk, la multinazionale farmaceutica leader nella cura del diabete, uno degli “effetti collaterali” più diffusi in chi ha problemi di peso.

A parte le notizie sulle possibili cure e i comportamenti utili per prevenire o affrontare i problemi legati all’aumento di peso, La verità sul peso offre un servizio con geolocalizzazione della tua posizione per trovare il Centro specialistico più vicino che fa parte di Io Net, l’Italian Obesity Network di cui è presidente il professor Giuseppe Fatati.


PERDERE PESO NON È UNA QUESTIONE DI VOLONTÀ

In Italia l’obesità è considerata un problema legato alla volontà delle persone: per dimagrire non serve il medico, figuriamoci la psicoterapia. Eppure, nei Centri d’eccellenza che curano il peso di troppo lo psicologo non manca. Ne parliamo con una grande esperta, Arianna Banderali, medico psicoterapeuta specialista in scienza dell’alimentazione alla Casa di cura Villa Garda (Garda – Verona).

Dottoressa Banderali, dunque la volontà non c’entra col dimagrire? No, anche perché il classico atteggiamento di chi prende costantemente peso nel tempo è quello del pensare che sì, sono aumentato di qualche chilo ma “smetto quando voglio”. Si tratta di una falsa confidenza che porta a mangiare di più e imposta la mente sul non controllo di quello che consumo. Ma la consapevolezza di quello che mangio è la base del cambiamento.

Perché è importante fare una storia del peso con il paziente?

Perché l’aumento di peso viene spesso da lontano, ed è il frutto di abitudini che risalgono ad anni addietro e che si sono consolidate. Sono questi stili di vita che portano le persone a ingrassare.

Il pericolo non è quindi l’abbuffata?

No, sono i comportamenti ripetuti. Chi aggiunge anche solo 200 calorie alla sua dieta un giorno sì e uno no, piano piano recupera peso senza neanche accorgersene, diventa una cosa normale e impercettibile. Insomma, tutto nasce dalla sottostima di quelle poche calorie in più. Non a caso l’obesità è una malattia cronica che deriva da abitudini che si sono consolidate.

Cosa risulta vincente a livello psicologico?

L’impegno a seguire un percorso di modificazione dello stile di vita. Molti italiani si mettono a dieta con l’obiettivo di smetterla appena si può, e non è psicologicamente vincente. Col paziente dobbiamo lavorare sugli ostacoli cognitivi e su quello che pensano. Per esempio, sulle sue aspettative: le ricerche ci dicono che se una persona non è soddisfatta del peso perduto lo recupera. La soddisfazione è, dunque, cruciale: ecco perché le diete che promettono e chiedono troppo falliscono, con effetti collaterali anche sulla psiche.


Articolo pubblicato sul n. 2 di Starbene in edicola e in digitale a febbraio 2021


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