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Sonnolenza diurna, perché ora ci viene sonno di giorno

Da quando la pandemia ha stravolto i nostri ritmi quotidiani, di notte dormiamo meno e male. Ne deriva una stanchezza diurna che non va sottovalutata. Come ci spiega un super esperto

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Stanchezza, sensazione di non aver riposato abbastanza e conseguente svogliatezza nelle attività durante la giornata. Oppure difficoltà ad alzarsi dal letto mentre la sveglia continua a suonare, martellante, ricordando che bisogna rimettersi in moto.

Disturbi piuttosto comuni che in questo periodo, con il cambiamento dei ritmi consueti, si sono purtroppo accentuati. Possono essere situazioni transitorie e lievi ma, in casi sempre più numerosi, si aggravano sino al punto da diventare invalidanti e compromettere la quotidianità.

«Eppure spesso sono sottovalutati. È un errore che stiamo facendo durante la pandemia, che ha visto l’esplosione del fenomeno», afferma il neurologo Giuseppe Plazzi, professore di Neurologia presso l’Università di Bologna e presidente dell’Associazione Italiana di Medicina del Sonno. E rivela un dato allarmante: «I disturbi del sonno e in particolare le forme di sonnolenza anche gravi, durante il giorno, sono aumentati di tre volte rispetto al pre Covid. È colpito il 50% della popolazione sopra i 12 anni. Inoltre nella metà dei casi continuano, nonostante le riaperture. Abbiamo osservato che, con il cambiamento dei ritmi di vita, si sono quasi cronicizzati e c’è difficoltà a recuperare la normalità: sarebbe necessario un programma di rieducazione al riposo notturno».


Quali sono le cattive abitudini acquisite durante la pandemia che hanno cambiato la qualità del riposo notturno e quindi della vita?

«I dati più preoccupanti si riferiscono ai giovani, agli adolescenti. È aumentato il tempo trascorso davanti agli strumenti elettronici con la conseguente diminuzione delle ore di sonno. Nel periodo della crescita servirebbero circa 9 ore di riposo, ma questo ritmo è diventato un’utopia».


Con quali conseguenze?

«Tanti giovani hanno cominciato a dormire di giorno, come effetto delle nottate passate davanti al computer. Mentre il sonno è indispensabile per la crescita del cervello, la modulazione delle connessioni cerebrali e la memoria. La mancanza di riposo notturno si manifesta con sonnolenza costante diurna, calo dell’attenzione, iperattività, aumento dell’attività fisica per reazione e disturbi comportamentali come irritabilità e forme di aggressività».


Oltre all’iperconnessione tecnologica, altre possibili cause?

«La sonnolenza è il segno di una privazione cronica di sonno o di una patologia. Nel mondo occidentale si dorme in media sotto le 7 ore, una in meno del necessario. Questo debito si accumula nel tempo e si manifesta con una stanchezza sonnolente di giorno, fino ad arrivare agli attacchi di sonno nei momenti più impensati, come durante la guida dell’auto o mentre si è al lavoro. Può accadere di addormentarsi davanti alla scrivania dell’ufficio».


Quando la sonnolenza diurna è patologica, da cosa può dipendere?

«Può derivare da una disfunzione del sistema nervoso centrale. Inoltre ci sono disturbi come la sindrome delle apnee ostruttive, nota come malattia dei grandi russatori, che intaccano la capacità ristoratrice del riposo notturno. La persona che ne soffre ha numerosi micro risvegli non percepiti nella notte, che si tramutano in sonnolenza durante il giorno, con veri propri attacchi di sonno».


Chi ha sonno di giorno quindi potrebbe essere un grande russatore di notte...

«Sì, questa sindrome colpisce soprattutto uomini tra i 35 e i 40 anni, sovrappeso e con un disturbo respiratorio, mentre per le donne può insorgere con la menopausa. È un disturbo che interessa il 7% della popolazione. Con il sovrappeso, ingrassa anche l’interno del collo e questo determina il restringimento delle vie aeree, il russamento e le apnee, che corrispondono a un micro risveglio. Un’altra causa è una particolare conformazione delle prime vie aeree, una lingua molto grande, la mandibola piccola e corta. Chi è affetto da questa patologia sviluppa un’anomala sonnolenza diurna».


Ci sono casi anche di difficoltà a svegliarsi per sonno eccessivo?

«È l’ipersonnia, determinata da disfunzioni del sistema nervoso centrale. La più nota è la narcolessia. È una malattia in cui il ritmo del sonno non funziona bene e c’è la tendenza ad addormentarsi durante il giorno. A differenza della sonnolenza, in questi casi si sviluppano anche i sogni».


Chi è colpito dall’ipersonnia?

«Si manifesta quando scompaiono le cellule che, nell’ipotalamo, producono una proteina indispensabile a mantenere la vigilanza, a farci stare svegli. La causa non è stata definitivamente chiarita, ma potrebbe essere una malattia autoimmune. Si pensa che insorga per il contatto con un batterio o un virus che attacca le cellule cerebrali e scatena una reazione abnorme. Si manifesta soprattutto nei bambini e negli adolescenti, prima dei 17 anni e le conseguenze accompagnano tutta la vita, anche se non peggiora nel tempo. È considerata una malattia rara che colpisce 4 persone su 10mila abitanti. Non esiste prevenzione ma si può curare farmacologicamente».


Per tornare alla sonnolenza diurna, si può curare?

«La sonnolenza diurna è difficilmente considerata come la spia di un disturbo. Al contrario può essere sintomo di una malattia e, come tale, va riconosciuta e curata. Le apnee, per esempio, si possono trattare con un Cpap, una macchina respiratoria utilizzata durante il sonno. Ma soprattutto bisogna riconoscere le varie forme. Talvolta per arrivare alla diagnosi corretta si impiegano anni».


Sentirsi stanchi e avere sonno di giorno influisce anche sul comportamento?

«Purtroppo sì e la sonnolenza può essere anche accompagnata da stati depressivi. Inoltre, porta la tendenza ad ingrassare, perché i meccanismi metabolici cambiano. È stato accertato scientificamente che restringere il tempo di sonno fa aumentare il peso e la resistenza all’insulina, creando una condizione di prediabete e l’aumento della pressione arteriosa».



I test che valutano se la sonnolenza è patologica

Sono di due tipi. La valutazione può essere effettuata dal paziente stesso, con un questionario. È quella che viene definita la “Scala della sonnolenza di Epworth”. La persona deve riferire sulla probabilità di sonnecchiare o addormentarsi in una serie di situazioni come quando è seduta a guardare la televisione, ferma al semaforo, dopo pranzo. Le risposte sono numerate da zero a tre per indicare se addormentarsi è molto improbabile o altamente probabile.

Il vantaggio del test è che presenta situazioni comuni e richiede risposte concrete, aumentando le possibilità che i pazienti riferiscano in modo preciso.

C’è poi una valutazione oggettiva in cui la sonnolenza è misurata tramite elettrodi posizionati sul capo. Questo è il “Test di latenza multipla di addormentamento”. Si fa coricare la persona per 20 minuti, 5 volte durante al giornata, alle ore 9-11-13-15 e 17 e si verifica se si addormenta. Se impiega meno di 20 minuti a prendere sonno, allora la sonnolenza è patologica. Questo test si fa in day hospital o in ricovero in base alla gravità, in un Centro del sonno. Qui vengono diagnosticate patologie come insonnia, disturbi respiratori durante il riposo, sonnambulismo e le ipersonnie come la narcolessia.

Nell’ambulatorio si fa una prima valutazione, mentre nei laboratori si effettua la diagnosi approfondita del disturbo del sonno.


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