Scompenso cardiaco: che cos’è, sintomi e cure

È la malattia del cuore “stanco”, che non riesce più a pompare quantità di sangue adeguate alle reali necessità dell’organismo. Ma possiamo fare molto per prevenire o trattare lo scompenso cardiaco



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Mancanza di energia, stanchezza ingiustificata, fiato corto, perdita di appetito, confusione mentale, gonfiore a livello di piedi e gambe. Una persona su tre attribuisce questi sintomi al tempo che passa, ma l’invecchiamento spesso non c’entra: la stessa sintomatologia è tipica anche dello scompenso cardiaco, una condizione tanto diffusa quanto poco conosciuta o fraintesa da chi ne soffre.


Che cos'è lo scompenso cardiaco

«Si tratta dell’incapacità del cuore di pompare quantità di sangue adeguate alle necessità dell’organismo», spiega il dottor Fabrizio Ugo, cardiologo, master in Cardiologia dello sport e responsabile dell’Emodinamica presso l’Ospedale Sant’Andrea di Vercelli.

«Il cuore può diventare così “stanco” a seguito di un evento acuto, come per esempio un infarto del miocardio, oppure progressivamente a causa di una patologia di base, come una disfunzione valvolare cronica, una patologia coronarica, un’ipertensione arteriosa non trattata, una cardiomiopatia dilatativa o un’altra malattia primitiva del muscolo cardiaco».

Mentre la forma acuta è più facile da riconoscere, perché fa avvertire un’improvvisa sensazione di soffocamento che richiede un intervento medico immediato, quella cronica si instaura poco a poco e talvolta resta a lungo silente. «Senza rendersene conto, il paziente modifica le sue abitudini in modo da poter compiere le attività della giornata: inizia a fare meno scale, diminuisce i tragitti percorsi a piedi, compie minori sforzi. Ma continuando a mantenersi in attività non si accorge delle autolimitazioni che si impone e dunque non percepisce il problema».


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I sintomi dello scompenso cardiaco
Tra l’altro, i sintomi dello scompenso cardiaco sono così aspecifici (perché possono associarsi a
diverse altre condizioni) da ingannare anche i medici, che possono, ad esempio, consigliare indagini
sull’apparato digerente anziché su quello cardiovascolare ai pazienti – per lo più giovani – nei quali
la patologia si esprime con inappetenza oppure dolore alla bocca dello stomaco dopo pranzo o sotto
sforzo.

Di certo, a insospettire deve sempre essere la cosiddetta fame d’aria o dispnea, cioè quella
difficoltà respiratoria che inizialmente compare dopo uno sforzo moderato (come salire due rampe
di scale o solamente alcuni gradini portando una cesta di biancheria) per poi peggiorare con il
tempo e presentarsi anche a riposo, da seduti o sdraiati a letto.

«Nelle situazioni più gravi, infatti, la difficoltà respiratoria è tale da non permettere al soggetto di stare disteso: in questo caso si parla di ortopnea, che costringe ad aumentare il numero di cuscini per poter riposare la notte», riferisce il dottor Ugo. Attenzione, però: non sempre la dispnea è sinonimo di scompenso cardiaco, soprattutto nelle donne. «Nella maggior parte dei casi, è solamente colpa della sedentarietà e della mancanza di allenamento oppure può essere l’esito di obesità e diabete, per cui il cuore non c’entra».

Come si previene lo scompenso cardiaco
Ma esiste una prevenzione dell’insufficienza cardiaca? «Estremamente importante è fare attività
fisica: c’è uno studio svedese, condotto su oltre 33 mila uomini ultra-sessantenni, che dimostra
come venti minuti al giorno di passeggiata a passo svelto oppure di bicicletta riducano del 20% il
rischio di sviluppare scompenso cardiaco nel corso del tempo. Per chi invece manifesta già il
problema, il movimento è comunque utile e un ottimo compromesso è rappresentato dal fitwalking,
cioè la camminata sportiva da condurre a passo sostenuto, effettuando un giusto appoggio del piede, un’ottimale respirazione e un’oscillazione delle braccia, piegate a 90 gradi, che devono seguire in
modo sincronizzato il movimento delle gambe.

Ognuno deve trovare la propria velocità, a seconda dello stato di forma, ma a grandi linee l’andatura è corretta se ci consente di percorrere almeno due o tre chilometri in un’ora». Fondamentale è anche conservare la massa muscolare (sollevando di tanto in tanto dei piccoli pesi, fino a due chili, con le braccia) per evitare l’instaurarsi di un circolo vizioso: la perdita di massa muscolare riduce la forza e questo induce a compiere meno movimento, ma a sua volta la sedentarietà favorisce lo scompenso cardiaco.

Conta anche la dieta
È altrettanto importante seguire un’alimentazione sana, povera di sodio e di grassi, limitando le
calorie in caso di sovrappeso e preferendo alimenti come frutta, verdura, carni magre, pesce e
cereali integrali. «Ma parlando di prevenzione, conta ovviamente la diagnosi precoce. Ogni donna sopra i 55 anni e ogni uomo sopra i 45 dovrebbero sottoporsi a una visita cardiologica di controllo», raccomanda il dottor Ugo.

«Per diagnosticare lo scompenso cardiaco, l’esame principale è l’ecocardiogramma, che consente di misurare uno dei parametri chiave, ovvero la cosiddetta frazione di eiezione, cioè la quantità percentuale di sangue che il cuore riesce a espellere dal ventricolo sinistro per ogni battito». In un cuore “normale” questo valore è pari al 55% o superiore: ciò significa che il 55% del sangue che riempie il ventricolo sinistro viene pompato nel corpo a ogni contrazione. Al contrario, una frazione di eiezione bassa (minore o uguale al 40%) indica che il cuore non pompa efficacemente e quindi non è in grado di fornire una quantità di sangue sufficiente ai vari organi del corpo.

«Ci sono anche degli esami del sangue che possono essere utili, come l’NT-proBNP, che consente di misurare chimicamente la forza contrattile del cuore. L’importante è agire con tempestività, perché arrivare tardi alla diagnosi può essere fatale. Purtroppo lo scompenso cardiaco ha una mortalità elevatissima: il 20% dei pazienti muore entro il primo anno dopo la diagnosi e il 50% entro cinque anni».

Quali terapie per lo scompenso cardiaco

Il trattamento dello scompenso cardiaco ha come obiettivo quello di rallentare la progressione della patologia, aumentare la sopravvivenza, ridurre il ricorso ai ricoveri ospedalieri e diminuire i sintomi per migliorare la qualità di vita.

Per prima cosa, abbiamo detto, è importante modificare lo stile di vita, smettendo di fumare, praticando esercizio fisico regolare e limitando lo stress. Sul fronte farmacologico, invece, per molto tempo l’approccio tradizionale si è basato sull’utilizzo in combinazione di alcuni farmaci (ace-inibitori, betabloccanti, sartani, diuretici), somministrati generalmente con un dosaggio inizialmente basso e poi crescente, ai quali si aggiungeva poi l’eventuale terapia specifica per la malattia di base che ha fatto ammalare il paziente, come una patologia coronarica o valvolare.

«Da un paio di anni, invece, la rivoluzione è arrivata con una nuova opzione terapeutica: contiene due molecole, valsartan e sacubitril, dimostrando negli studi una netta riduzione della mortalità. L’unico effetto collaterale da tenere sotto controllo è un’eventuale ipotensione, che può impattare sulla qualità di vita», conclude l’esperto. «Ora stanno emergendo ulteriori opzioni, come gli inibitori GLP-1 e SGLT2, due trattamenti usati tipicamente per il diabete ma che stanno mostrando ottimi risultati anche nello scompenso cardiaco».

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