Infermieri di famiglia e comunità: cosa fanno e perché sono importanti

Il loro perimetro di lavoro è fuori dagli ospedali: assistono persone di tutte le età nei loro spazi abituali, per farli sentire meno soli e più seguiti. Angeli custodi delle esigenze di salute (e non solo) di ciascun paziente, sono i protagonisti di un nuovo docu-film



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Esserci, sempre. Per una visita o una medicazione, un consiglio pratico o semplicemente un sorriso. È questo l’imperativo per gli infermieri di famiglia e comunità, professionisti ancora rari ma estremamente preziosi che assistono le persone fuori dall’ospedale.

La loro figura è stata introdotta da pochissimo, grazie al Patto per la Salute 2019-2021, ed è stata confermata dal Decreto “Rilancio” del 2020. Oggi ci sono circa 3mila infermieri di famiglia e comunità in servizio su tutto il territorio nazionale, ma ne servirebbero almeno 25mila secondo gli standard indicati per il PNRR. Lavorano nelle case, nelle scuole, nelle situazioni di emarginazione e disagio per le fasce più fragili della popolazione.

“Ovunque per il bene di tutti”, come recita il titolo del docufilm promosso dalla FNOPI (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche) per raccontare questo spaccato del servizio sanitario ancora sconosciuto a molti. Il documentario, disponibile su RaiPlay (la piattaforma di streaming video gratuita della Rai), raccoglie le voci dei protagonisti che hanno dato vita a progetti premiati come eccellenze infermieristiche in tutta Italia. Vengono così presentate le storie di infermieri di comunità che si sono distinti nei diversi campi dell’assistenza sul territorio, abbracciando ambiti particolarmente sensibili come la salute mentale, la pediatria, l’ausilio domiciliare, gli anziani e la scuola, con l’obiettivo di offrire un servizio di assistenza sanitaria vicino ai cittadini e ai loro bisogni di salute.


È una realtà che supera la fiction

C’è ad esempio Franca che, nonostante la pensione, ha deciso di continuare ad assistere i pazienti in fase avanzata di malattia a casa, e con il sostegno dei loro familiari ha affittato un ambulatorio per le visite a Falconara, nelle Marche. C’è Antonella, che con i suoi gruppi di cammino permette agli anziani dei paesi dell’entroterra ligure di fare attività fisica in mezzo alla natura socializzando. C’è Maria Lidia, che a Portici (Campania) segue le neo mamme a domicilio, assistendole insieme a un’ostetrica nei fatidici primi mille giorni di vita del neonato. Ed esistono tante altre storie vere, molto diverse da quelle che vengono solitamente dipinte nelle fiction televisive, e proprio per questo ancora più sorprendenti e inaspettate.

«Il docufilm racconta la figura dell’infermiere scardinando i luoghi comuni: vediamo questo professionista in azione in contesti in cui generalmente non siamo abituati a incontrarlo, fuori dall’ospedale, riuscendo ad avere anche il polso del nostro sistema sanitario dopo gli anni difficili del Covid», afferma il regista Gianluca Rame, nipote di Dario Fo e Franca Rame. «Il progetto è nato come una sorta di viaggio in Italia».


Professionalità al servizio del rinnovamento

L’esperienza on the road è partita simbolicamente il 12 maggio 2021 da Firenze, nella Giornata Internazionale dell’Infermiere, ed è finita un anno dopo a Palermo. «Abbiamo visitato tantissimi posti e selezionato le storie che ci sembravano più significative da fare conoscere, in modo che rispecchiassero in modo omogeneo la geografia del Paese mantenendo un certo equilibrio tra Nord, Centro e Sud», spiega il regista. «Ad accomunare gli infermieri al centro del racconto è la grande professionalità e preparazione», sottolinea Rame.

«Lo abbiamo visto, per esempio, a San Marco in Lamis, un piccolo paese in provincia di Foggia, dove c’è una delle esperienze di teleassistenza più innovative di tutta Italia: attraverso dei device collegati a una centrale operativa, gli infermieri riescono a monitorare da remoto i pazienti sparsi sul territorio, per valutare le loro condizioni e intervenire in caso di necessità, ottimizzando le risorse disponibili. Ma è bellissima anche la storia del centro diurno per i senza fissa dimora nel pavese, così come quella dell’infermiere scolastico, una figura che già c’era in passato e che ha aiutato moltissimo nella gestione dei ragazzi durante la pandemia. In tutti questi professionisti, ho visto una grande dedizione al lavoro. Durante il Covid hanno passato momenti estremamente difficili: c’è stata la retorica dell’infermiere “eroe” che in un certo senso li ha anche danneggiati, perché in realtà non sono eroi, ma professionisti della sanità che applicano le loro competenze per alleviare il disagio del paziente. Ora però sono pronti a reinventarsi. Al netto della stanchezza accumulata, esiste la volontà di reagire e ricominciare, ripensando l’assetto delle professioni sanitarie in modo più dinamico e intelligente».

Proprio la pandemia ha fatto scattare la molla, ricordando ancora una volta l’estrema importanza della medicina sul territorio per rispondere ai bisogni delle persone anche al di fuori delle tradizionali strutture sanitarie. «Il fatto che ci sia un’inversione di tendenza, che l’infermiere esca dall’ospedale per prestare assistenza, porta dei vantaggi enormi», osserva Rame. «Si alleggerisce il carico sugli ospedali, che si possono dedicare meglio alle emergenze mentre l’infermiere sul territorio lavora sulle cronicità. Poi c’è un impatto positivo sui pazienti, che ricevono assistenza nei luoghi dove vivono evitando l’incontro con l’ospedale: si sentono più seguiti e, quindi, meno soli e insicuri».



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