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Endometriosi: le strategie più efficaci per prevenirla e curarla

Questa malattia è al centro di moltissimi studi. Qui trovi le strategie più nuove ed efficaci nel campo della prevenzione e della cura

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Le donne che consumano molta carne rossa hanno maggiori rischi di ammalarsi di endometriosi. È la scoperta più recente nel campo di questa malattia, che affligge ben il 10% delle donne in età fertile.

Lo studio del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Washington, pubblicato sull’American Journal of Obstetrics and Gynecology, ha monitorato per 12 anni le abitudini alimentari di ben 81.908 mila volontarie. È risultato che chi mette in tavola due volte al giorno la fettina ha il 56% di probabilità in più di ammalarsi, rispetto a chi riduce le porzioni a una alla settimana.

I motivi? «La carne rossa influenza gli estrogeni, ormoni che stimolano la crescita della mucosa che di solito tappezza solo le pareti interne dell’utero e che in caso di endometriosi prolifera anche su ovaie, vescica, retto e peritoneo del basso addome, formando noduli e lesioni», spiega la professoressa Rossella Nappi, docente di ostetricia e ginecologia all’Università di Pavia, Policlinico San Matteo. «Promuove inoltre la produzione di prostaglandine, fattori infiammatori che fanno da carburante alla malattia».

Ma limitare il consumo di carne rossa è solo una delle tante avvertenze che aiutano a prevenire e tenere sotto controllo la malattia. Ecco tutte le armi più efficaci da mettere in campo.


PORTA IN TAVOLA LA VERDURA

Oggi si sa che esistono cibi protettivi, in grado anche di ridurre i sintomi dell’endometriosi. Quelli da privilegiare: «Verdura e cibi integrali che, per il loro contenuto di fibre, abbassano la quota di estrogeni circolanti», suggerisce la professoressa Nappi. «Ok anche a tonno, pesce azzurro, olio d’oliva e noci: ricchi di Omega 3, riducono l’infiammazione pelvica».

Chi invece diventa mamma, può garantirsi un ulteriore scudo, allattando il piccolo al seno: stando ai risultati di un recente studio condotto dal Brigham and Women’s Hospital di Boston, farlo per 12 mesi, di cui i primi 6 in modo esclusivo, riduce del 10% il rischio di ammalarsi. I segreti biologici di questa protezione? «L’assenza delle mestruazioni nel periodo dopo il parto, ma anche le modificazioni nella produzione di numerosi ormoni femminili, fra cui ossitocina ed estrogeni, che si verificano con la nutrizione al seno», spiega la professoressa Nappi.


INTERVIENI AI PRIMI SINTOMI

La strategia più importante da mettere in atto, tuttavia, resta la diagnosi precoce, che permette di identificare e curare sul nascere la malattia, riducendone i danni.

«Mai sottovalutare, perciò, dolori mestruali resistenti ai normali analgesici, fitte ricorrenti al basso addome, rapporti sessuali dolorosi (soprattutto con la penetrazione profonda), un’ovulazione molto fastidiosa, o un’evacuazione accompagnata da dolori trafittivi», mette in guardia Paolo Vercellini, professore di Clinica ostetrica e ginecologica all’Università degli studi di Milano e past president della Società mondiale per l’endometriosi.

«Anche quando la gravidanza si fa attendere troppo deve accendersi una spia d’allarme: l’endometriosi può ridurre la fertilità, anche se non preclude la possibilità di diventare mamma. Allunga però i tempi del concepimento, lo rende più difficile e nel 30% dei casi è responsabile di sterilità», aggiunge la professoressa Nappi. «È quindi importante rivolgersi subito a un centro di riferimento per il trattamento dell’endometriosi: una visita e un’ecografia transvaginale, effettuate da mani esperte, nella maggioranza dei casi sono sufficienti per smascherare la malattia, anche in fase iniziale».


SEGUI LE CURE CON GRADUALITÀ

Le terapie per ridurre il dolore e la progressione della malattia non mancano e si avvalgono di farmaci in grado di limitare la produzione degli estrogeni da parte dell’ovaio e quindi la proliferazione dell’endometrio.

Un recente studio condotto dal Centro Endometriosi della Clinica Mangiagalli di Milano, in collaborazione con l’associazione Progetto endometriosi Onlus e l’Istituto Mario Negri, suggerisce un approccio per gradi, utilizzando i farmaci oggi a disposizione step-by-step, perché questa scelta terapeutica ha dimostrato di essere efficace in più dei 2/3 dei casi e di ridurre al 5-10% l’eventualità di dover affrontare la malattia con la chirurgia.

«In prima battuta e per le forme più leggere, si possono utilizzare pillole contraccettive a bassissimo dosaggio estrogenico assunte senza pausa. Questi prodotti possono essere utilizzati in sicurezza anche per lunghi periodi. In caso di persistenza del dolore si passa a progestinici a basso dosaggio (che hanno anche il vantaggio di essere poco costosi). Questi prodotti, inoltre, sono usati in prima linea nei casi di endometriosi profonda che infiltra i tessuti intorno all’utero, alla vagina e al retto», suggerisce il professor Vercellini.

«Solo se pillola e progestinici a basso costo sono risultati inefficaci o non tollerati conviene ricorrere al dienogest: è un progestinico di quarta generazione, registrato proprio come farmaco antiendometriosi, efficace ma piuttosto costoso. Attualmente sono allo studio ulteriori soluzioni terapeutiche, tra cui una combinazione a base di dienogest e di un estrogeno naturale in quantità tale da non stimolare la crescita dell’endometrio, ma di prevenire le conseguenze a lungo termine della carenza estrogenica. Si sta inoltre valutando l’efficacia dei progestinici usati per via vaginale nelle forme di endometriosi localizzate a retto e vagina. La terapia, così somministrata agisce direttamente sulle lesioni, raggiungendo concentrazioni locali del farmaco più alte rispetto all’uso orale. Se gli studi in corso dimostreranno che questa via di somministrazione è più efficace di quella tradizionale, avremo una chance in più per curare la malattia senza sovraccaricare il fegato, impegnato a metabolizzare i principi attivi assunti per via orale».


QUANDO SERVE IL CHIRURGO

«La chirurgia rimane ancor oggi una scelta obbligata quando l’endometriosi, non curata per tempo, ha invaso nel profondo gli organi del basso addome, provocando per esempio cisti ovariche voluminose o di natura sospetta, un restringimento dell’intestino, specie nel passaggio tra il sigma e il retto, o degli ureteri, i canali che trasportano le urine dai reni alla vescica», spiega il professor Vercellini.

«Se invece la malattia è responsabile di infertilità e si desidera un bebè, ci sono due alternative per cercare di coronare il sogno di diventare mamma: ricorrere alla Fivet, una delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, o alla chirurgia. L’indice di successo è simile e, se l’aspirante mamma è under 35 e di solito si attesta intorno al 40%», spiega Vercellini.

«La chirurgia per la sterilità indotta dall’endometriosi dovrebbe essere una carta preziosa che la donna decide di giocarsi una sola volta nel corso della vita: anche se mini-invasivo (effettuato per via laparoscopica e con strumenti moderni come il laser che vaporizza le cisti da endometriosi presenti sull’ovaio) l’intervento provoca ugualmente piccoli danni che riducono il numero di ovociti e, ripetendolo, i danni si sommano, abbassando così la possibilità di una gravidanza, sia naturale sia con l’aiuto della cicogna tecnologica», conclude la professoressa Nappi.


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Articolo pubblicato sul n. 36 di Starbene in edicola dal 21/8/2018

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